Il cibo è stato preparato da La Kumpania, un progetto di catering interculturale che coinvolge donne disoccupate, Rom e italiane, attraverso la cucina. Il cibo come collante. Ma non è banale come sembra: condividere il cibo e le sapienze è un atto pacifico che prevede di aver superato i pregiudizi e aver fatto prevalere l'istinto delle "madri nutrici" su quello delle "madri belve".
Timidamente il pranzo ha inizio e piano piano emergono le differenze. La rappresentante del gruppo di Roma (parla solo dopo aver scambiato sguardi e parole col marito) è una Rom italiana nomade e tradizionalista, veste in lungo e sembra essere particolarmente in imbarazzo di fronte alla platea.
Racconta la sua storia e tiene molto a dire che è casalinga e che il suo campo è pulito, pulito, pulito. La prima affermazione contro uno dei 'classici' dell'emarginazione: la sporcizia. Poi si scusa per tutti coloro che fra i Rom si comportano male. Contro il secondo pregiudizio che li vuole ladri, tutti.
In realtà quello di Scampia non è un campo nomadi in senso proprio, piuttosto un insediamento composito dove le famiglie Rom hanno costruito degli "chalet", così li chiamano, abusivi, ci racconta Argentina. Di case comunque si tratta che dicono di una scelta non più nomadica.
In alcuni paesi dell'est europeo, tra cui la Romania, la risposta politica, durante il socialismo reale, al 'problema nomadi' è stata quella di offrire, in alcuni casi di forzare, l'insediamento fisso in case popolari in nome dell'uguaglianza. Lo stesso si è fatto ad esempio in Spagna, in anni recenti, dove, in particolare a Barcellona, sembra meglio riuscita.
Interessante è l'approccio alla questione della regolarizzazione di queste abitazioni. I Rom di Scampia, che rifiutano l'idea di 'campo nomadi', hanno cominciato a contrattare col Comune di Napoli, il riconoscimento di queste abitazioni e chiedono di poter restare nelle case che hanno costruito. La questione è complessa per molte ragioni di ordine tecnico – tra queste, ad esempio, il fatto che i terreni su cui sorgono sono in parte privati – ma non solo. La lotta all'abusivismo edilizio messa in atto in Italia mette seriamente in forse la possibilità di un'ipotesi di questo tipo, ma il rifiuto di essere nuovamente messi in un campo nomadi pone comunque un problema di fondo che riguarda anche il modo in cui si progettano gli insediamenti.
Il punto cruciale da cui possono discendere future politiche abitative è quello differenziarne l'approccio: è necessario pensare le varie comunità come singoli gruppi, perché esse sono differenti, spesso composte dai membri di una o due famiglie allargate
Nella sola Italia i Rom sono un mondo piuttosto eterogeneo. Sono italiani oppure cittadini di altre nazioni, con tutti problemi che ne conseguono, analoghi a quelli dei migranti di altra origine. Le volute lentezze e pastoie che riguardano l'immigrazione e che sono strumenti non dichiarati di contenimento del numero di persone che possono accedere ai diritti, assumono però, nei confronti dei Rom carattere di protervia e si sommano ad altri più violenti mezzi, alimentati dal razzismo diffuso.
Gli stessi Rom si trovano di fronte a diverse opzioni: integrarsi e in quale forma? Fino all'assimilazione? Oppure no. Diventare stanziali o restare nomadi? La vicenda della diaspora ebraica presenta diverse analogie, oltreché, è bene ricordarlo, uno stesso orrendo destino nei campi di sterminio nazisti. E viene da dire che guarda caso la parola campi, scelta per definire gli insediamenti urbani, progettati dalle amministrazioni o spontanei dei Rom – è il rappresentante dei Kalderash a dircelo, l'idea di 'campo nomadi' nasce in Italia negli anni Ottanta a seguito di un primo censimento – è la stessa di quel confino mortale che erano i campi di sterminio.
La lingua non è neutra, lo hanno dimostrato le studiose femministe (si vedano, ad esempio, gli studi di Luce Irigaray e Luisa Muraro); e come rileva Marc Augè quando inserisce i campi nomadi nella lista dei non-luoghi, questi spazi continuano a essere lo specchio di città che non sanno progettare per tutti. Ascoltare, dunque, sembra essere lo strumento per passare ad altre politiche: a ciascuno il diritto di scegliere il modo di abitare, agli amministratori e ai progettisti il compito di tradurre questo diritto in realtà. Simona Bordone
Irina Bancescu è architetto e Assistente nel Department of History and Theory of Architecture and Heritage Conservation alla Ion Mincu University of Architecture and Urbanism di Bucarest. È ricercatrice negli ambiti dell'architettura contemporanea e pianificazione urbana, dell'eredità del comunismo, dell'architettura vernacolare e della povertà estrema. Ha partecipato come attivista a EU-ROMA Project (2007–09) e ha preso parte al Padiglione Rom per la Biennale di Architettura di Venezia nel 2008.
Leah Whitman-Salkin, è pubblicista e professionista negli ambiti dell'arte contemporanea, dell'architettura e del 'discorso pubblico'.