I Rom, circa dieci milioni di persone in Europa, vivono fra noi da più di ottocento anni; ne sappiamo poco e quel poco, nella migliore delle ipotesi, è fatto di stereotipi e, per la maggior parte, di pregiudizi.
Questo libro è il parziale resoconto di una ricerca durata quasi due anni, il cui presupposto è di una semplicità dirompente: la conoscenza è lo strumento indispensabile per scalzare il razzismo. Perché di questo si tratta, da secoli, quando si parla di Rom.
Questo stesso progetto è stato ostacolato, in maniera anche cruenta, e in modo particolare in Italia, dove è in corso in questi anni una vera e propria guerra contro i Rom (nella sola Milano vi sono stati negli ultimi quattro anni 278 sgomberi, fonte tg3). Eppure il progetto che è stato realizzato con un finanziamento europeo, ha visto al lavoro quattro gruppi di ricerca –LAN, Laboratorio architettura nomade, Napoli; Asociata pentru tranzitie urbana, Bucarest; London College of Fashion, University of the Arts, Londra; T.A.M.A., Temporay Autonomous Museum for All, Grecia– e ha coinvolto studiosi, studenti, curatori, fotografi avvalendosi della collaborazione di moltissime istituzioni e università anche in altri paesi. Il solo avvicinare queste persone, il loro mondo, significa mettere i piedi su un terreno minato.
Una delle ragioni del nostro timore sembra risiedere in ciò che essi rappresentano: il nostro possibile futuro –si vedano, ad esempio, il destino delle decine di migliaia di americani che hanno perso la casa con la crisi e la tipologia degli insediamenti di automobili e camper ai margini di Los Angeles o le file di tende sui marciapiedi– e il richiamo ad un passato dell'umanità di cui non sappiamo più. Specchio inquietante di un presente incerto. E poi, contraddizione straordinaria nel mondo globale degli spostamenti continui, la vita nomade o seminomade, è percepita come destabilizzante rispetto al modello stanziale largamente maggioritario nella cultura occidentale.
Il modello stanziale ha avuto un momento di rilevante affermazione nel secolo scorso, e in altre forme sopravvive anche in questo secolo. Sotto il profilo degli insediamenti e della loro struttura architettonica, che, per un verso, sono oggetto di studi in questo progetto, vale la pena di sottolineare che secondo Jorgos Tzirtzilakis una delle ragioni del rifiuto dei campi nomadi risiede nel Modernismo e in particolare nell'idea che ciò che non rientra nel modello del pensiero astratto, ciò che proviene dalla tradizione o da culture non occidentali è visto come inferiore o esotico. La distinzione tra cultura alta e bassa diviene un assioma. Da qui, il passo è presto fatto, la marginalizzazione e poi il razzismo. Non a caso il Modernismo è contestuale all'epoca dei grandi regimi totalitari –lo sterminio dei Rom nei campi di concentramento nazisti è cosa tristemente nota.
Contraddizione straordinaria nel mondo globale degli spostamenti continui, la vita nomade o seminomade, è percepita come destabilizzante rispetto al modello stanziale largamente maggioritario nella cultura occidentale.
Gabi Scardi, a proposito di artisti, afferma che "l'arte può essere vicinanza e incarnazione di temi" e che corrisponde all'attitudine degli "artisti disposti a mettere in gioco un futuro ancora da delineare". Vorrei chiosare: solo i migliori. Il progetto, tutto al femminile, T.A.M.A., la vede protagonista insieme a Lucy Orta e Maria Papadimitriou di una ricerca sui Rom che è stata presentata alla Biennale di Lyon 2009. Si è messa in gioco.
Nel cercare i fili intorno a questo popolo percorsi dall'arte, non si può dimenticare Pinot Gallizio: l'artista è stato tra coloro che si sono avvicinati ai Rom e ne hanno difeso il diritto ad esistere attraverso azioni artistiche ma anche politiche (è stato anche assessore comunale ad Alba). Come dire che la questione rimane eminentemente politica. Nel senso più alto del termine.
Il libro, edito nel 2010 da Black Dog Publishing, è dedicato alla mermoria del professor Claudio Marta, antropologo.