Living

Al Lousiana Museum, una grande mostra esplora l'incontro dell'architettura con l'antropologia e le scienze sociali, e racconta cosa significa "sentirsi a casa".

Cosa è "casa"? e cosa significa "sentirsi a casa"? È una sensazione che possiamo provare solo all'interno del nostro spazio privato o ci si può sentire a casa anche in quanto partecipi di una rete basata sulla condivisione di interessi, o di una comunità, seppur magari temporanea? Questo il tema della mostra Living, in corso presso il Louisiana Museum di Copenhagen. Curata da Kjeld Kjeldsen con Mette Marie Kallehauge, Living occupa l'intero spazio del museo e chiude un ciclo di tre grandi mostre riunite sotto il titolo Frontiers of Architecture / Frontiere dell'architettura dedicate, nell'arco degli ultimi cinque anni, all'architettura sperimentale e innovativa. Le prime due sono state Cecil Balmond: The Hidden Order, dedicata alla relazione tra architettura e matematica e Green Architecture for the Future, riguardante l'architettura sostenibile e la sua contiguità con la logica della natura. Living conclude la trilogia esplorando l'incontro dell'architettura con il campo dell'antropologia e delle scienze sociali.

È strutturata secondo tre temi maggiori che trovano espressione in progetti architettonici e in installazioni artistiche: il Sogno, il Cell Network e Homeland. A questi si aggiungono tre focus su tre specifici case stories di cui vengono approfonditi aspetti morfologici e contesti sociopolitici di riferimento. Il primo dei tre è costituito dall'architettura di massa basata sui grandi edifici a blocchi in Russia dal periodo staliniano a oggi: un modello abitativo diffusosi poi nel mondo intero. Il secondo verte sui Rom, e più precisamente sulla storia dell'incontro tra il modo di vivere tradizionale dei Rom europei e la società moderna, globalizzata e ferreamente regolata, che li accerchia da ogni lato. Difficile dire che esista un'architettura Rom, ma certo esiste un'estetica Rom, e le case che i Rom costruiscono hanno un forte valore simbolico come veicolo d'identità e un ruolo importante all'interno della loro narrativa di sé. Il terzo case story riguarda la storia di un laboratorio digitale e di un'istituzione che cresce in un modo organico e funge da luogo di pratiche alternative all'interno di un'area abitativa, funzionando come centro culturale, scuola, studio e galleria. Il progetto è sorto a Delhi in India, ma potrebbe costituire un modello di integrazione sociale in altre aree in fase di sviluppo urbano.
<i>Frontiers of Architecture III-IV, LIVING</i>, veduta dell'installazione al Louisiana Museum of Modern Art. Photo © Brøndum & Co/Poul Buchard.
Frontiers of Architecture III-IV, LIVING, veduta dell'installazione al Louisiana Museum of Modern Art. Photo © Brøndum & Co/Poul Buchard.
Lungi dall'intendere l'architettura come isolato esercizio formale, Living parte dall'assunto che i modelli di abitazione riflettano il modo in cui ci troviamo a vivere, come individui e come collettività, e che casa, abitare siano luoghi non solo fisici, ma mentali; che siano condizioni fondamentali per la sopravvivenza, ma anche riferimenti primi dell'identificazione individuale e sociale. Che l'architettura riguardi quindi il modo in cui ci relazioniamo fra persone e in cui, come individui, entriamo in diversi sottoinsiemi sociali, compresi quelli virtuali.

La mostra fa continuo riferimento alla dicotomia tra il termine house, casa, e la parola home, ancora "casa", ma con riferimento al luogo reale o simbolico dove ognuno sente di trovarsi nel proprio ambiente. House comprende quindi il concetto di "casa" e quello di abitare, il rapporto di ognuno con il posto da dove viene e con quello in cui vive.
Sanei Hopkins Architects, Parody II, Peter Pan House, Suffolk, England. Photo Amir Sanei. © Sanei Hopkins Architects.
Sanei Hopkins Architects, Parody II, Peter Pan House, Suffolk, England. Photo Amir Sanei. © Sanei Hopkins Architects.
L'esposizione si dipana nel museo con inusitata ampiezza di articolazione e con una profusione di opere e di esempi, ma anche con una precisione di impaginato che lascia intendere la profondità e la cura nella ricerca. Prende avvio con la sezione dedicata al tema del sogno inteso come espressione delle necessità umane elementari. Gli architetti presenti in questa parte della mostra tendono a risalire alla forma primaria o archetipica: da lì il loro pensiero origina per poi crescere e concatenarsi in più elaborati concetti del vivere e dell'abitare: l'elaborazione di varianti dell'unità abitativa minima costituisce quindi un'attività laboratoriale per nuovi modi di concepire e costruire il mondo. Così Living apre con la grande installazione appositamente realizzata per il parco del Louisiana da Arne Quinze: una sorta di impalcatura di legno che si estende ampiamente evocando la palafitta, la capanna che ogni bambino desidera costruire, ma anche l'armatura, la struttura che ingabbia. Quinze fa così riferimento all'architettura spontanee all'idea che ognuno tende a costruire confini all'interno dei quali rifugiarsi e proteggersi.
Lungi dall'intendere l'architettura come isolato esercizio formale, Living parte dall'assunto che i modelli di abitazione riflettano il modo in cui ci troviamo a vivere, come individui e come collettività.
<i>Frontiers of Architecture III-IV, LIVING</i>, veduta dell'installazione al Louisiana Museum of Modern Art. Photo © Brøndum & Co/Poul Buchard.
Frontiers of Architecture III-IV, LIVING, veduta dell'installazione al Louisiana Museum of Modern Art. Photo © Brøndum & Co/Poul Buchard.
All'interno del museo l'inizio della mostra è affidato a Settlement di Alexander Brodsky, che è al contempo un organetto, un modello architettonico di una megalopoli e un gioco per bambini. Settlement è una città pacificamente adagiata sul fondo di un grande acquario e come immersa in un'oscurità notturna. Girando una manovella i suoi grandi edifici/dormitorio vengono avvolti in una tempesta di neve, accompagnata dalla canzone dei Beatles Your Mother Should Know. Evocando il pathos dell' esistenza moderna nella vastità del cosmo, l'opera esprime una visione magica e sentimentale della città: anche nei palazzoni dei grandi edifici dell'architettura di massa si vive e si abita, e ci sono calore e anima. Segue A Jukebox of People trying to Change the World di Ruth Evans: un vero e proprio jukebox comprendente 1.700 canti di incitamento di minoranze in lotta per battaglie di giustizia e di movimenti idealistici che hanno cambiato il mondo.
<i>Frontiers of Architecture III-IV, LIVING</i>, veduta dell'installazione al Louisiana Museum of Modern Art. Photo © Brøndum & Co/Poul Buchard.
Frontiers of Architecture III-IV, LIVING, veduta dell'installazione al Louisiana Museum of Modern Art. Photo © Brøndum & Co/Poul Buchard.
Epica, ma anche onirica, è la dimensione del mitico Burning Man Festival, in occasione del quale ogni anno 50.000 persone tra le più diverse s'incontrano per sperimentare le proprie visioni e per viverle collettivamente nel deserto del Nevada. Nulla può essere considerato troppo eccentrico in questa occasione, e gli edifici più immaginifici possono prendere forma reale, anche se temporanea. Se è dal sogno che le idee prendono avvio, se il sogno della semplicità è il laboratorio da cui partire per costruire nuovi modi di vivere e abitare il mondo, l'unità minima è stata il mito di Le Corbusier con il suo Cabanon, che della mostra apre la seconda sezione, come lo è oggi per Sou Fujimoto, che ne rappresenta il cuore. Dedicata al Cell Network, questa parte della mostra guarda all'architettura in termini di singolarità e di collettività e riguarda il modo in cui ci relazioniamo fra persone e in cui, come individui, entriamo in diversi sottoinsiemi sociali, compresi quelli virtuali. Ogni modello di abitazione riflette il modo in cui scegliamo di vivere, sia in quanto individui, sia in quanto collettività.
Singapore Chinatown, 2010. Photo William Cho.
Singapore Chinatown, 2010. Photo William Cho.
Per Sou Fujimoto, figura centrale di questa sezione, architettura è creare un luogo in cui vivere, in cui le persone si possano incontrare e relazioni diverse si possano svolgere; e l'abitazione è un potenziale: può fungere da piacere, da spazio, da attivatore di network; deve essere multifunzionale per rispondere alle necessità di base e per poter invitare chi vi si trovi a fare esattamente ciò che desidera fare. Interessato alla singola cellula, allo spazio tra le cellule e alla relazione tra le parti, Fujimoto non fa distinzione tra paesaggio e topografia, tra dentro e fuori; per lui l'architettura riguarda proprio il modo in cui interno ed esterno si connettono. Sou Fujimoto ha creato per il Louisiana la Final Wooden House, di dimensioni abitabili, una vera e propria investigazione sulla natura dell'architettura, quando l'architettura è anzitutto un rifugio per un uomo dotato di un corpo in continuo movimento; un corpo che genera uno spazio intorno a sé. Di Fujimoto è anche esposta una vasta serie di modelli creati risalendo a forme architettoniche primarie del nido e della caverna e recuperando proporzioni umane e materiali elementari. Tra questi le tre installazioni Louisiana Tower, Louisiana Cloud e Louisiana Glass Forest.
Gaby Thijsse, <i>Infinitarium</i>, by Big Art (un ambiente che permette agli utenti di interagire con l'arte), <i>Burning Man Festival 2010</i>, Black Rock Desert, Nevada. Photo © Gaby Thijsse.
Gaby Thijsse, Infinitarium, by Big Art (un ambiente che permette agli utenti di interagire con l'arte), Burning Man Festival 2010, Black Rock Desert, Nevada. Photo © Gaby Thijsse.
È nella terza sezione, Homeland, che la visione antropologica sottintesa nella mostra si fa più evidente e la polarizzazione tra house e home più stringente. Homeland indaga il modo in cui creiamo un senso di casa. La sensazione di essere a casa comporta ben altro che la struttura fisica in cui ci troviamo. È legata alle abitudini quotidiane, a come le cose sono e a come le vorremmo. Si sostanzia di pratiche e di rituali che forgiano il legame tra l'individuo e la casa e che, scandendo il corso del tempo, strutturano mentalmente la giornata, il mese, l'anno. È così che il corpo familiarizza con lo spazio diventando tutt'uno con esso, che gli spazi diventano places e le case da luoghi oggettivi e anonimi, diventano personali, unici, irripetibili.
Arne Quinze, <i>Uchronia</i>, 2006. <i>Burning Man Festival 2006</i>, Black Rock City, Nevada. Photo © Jason Strauss.
Arne Quinze, Uchronia, 2006. Burning Man Festival 2006, Black Rock City, Nevada. Photo © Jason Strauss.
Se "essere a casa" non è un posto, ma un legame e uno stato d'animo, quando e come siamo "a casa"? in che modo la casa riflette la nostra identità? Come creiamo la sensazione di casa attraverso pratiche quotidiane, rituali culturali, ma anche attraverso tradizioni e tipi particolari di architettura? Come si porta il proprio homeland con sé quando ci si sposta o si emigra? Oggi affrontare la tematica dell'abitare significa parlare della globalizzazione. In una società caratterizzata dalla diversità culturale, la domanda di una varietà nell'architettura aumenta esponenzialmente. Per gli architetti questo significa mettere in campo modalità operative che contemplano tanto la forza progettuale quanto la conoscenza delle diverse tradizioni. Non esiste un unico stile uguale per tutti. La mostra fa così ampio riferimento agli stili di vita individuali, ma tocca anche il tema dell'architettura di fusione, che può contribuire a far sentire a casa nella nostra società segmenti diversi della popolazione. Teddy Cruz dal Messico, Alejandro Aravena dal Cile, Rintala Eggertsson Architects che analizza l'idioma nordico utilizzando i quattro elementi, terra, fuoco, acqua, aria Rintala Eggertsson Architects sono alcune delle figure convocate. Ma ci sono anche molti artisti, come Kimsooja, ToroLab, Larissa Sansour, Ai Weiwei, Cao Fei, Rahmat Othman; e Marjetica Potrc, che nello spazio del museo porta un modello, individuato a Prishtina, di architettura informale e spontanea, assemblata a partire da materiali trovati; e sintetizza il tema della mostra nel motto "My home is my Castle". Gabi Scardi
Coverage "People in Cages", 2010, by Jes Randrup © Jyllandsposten.
Coverage "People in Cages", 2010, by Jes Randrup © Jyllandsposten.
Fino al 2 ottobre 2011
Frontiers of Architecture III-IV. Living
Louisiana Museum
<i>Frontiers of Architecture III-IV, LIVING</i>, veduta dell'installazione al Louisiana Museum of Modern Art. Photo © Brøndum & Co/Poul Buchard.
Frontiers of Architecture III-IV, LIVING, veduta dell'installazione al Louisiana Museum of Modern Art. Photo © Brøndum & Co/Poul Buchard.

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