Forms of Energy #9

Retrofit e tecnologie solari: un dialogo necessario per ridurre la nostra impronta sulla Terra.

Il concetto che lega le nostre azioni, il nostro modo di vivere, alle risorse del pianeta è, come noto, l'impronta ecologica. Se guardiamo alla sola parte di impronta ecologica ricollegabile ai nostri bisogni energetici, e cioè all'impronta energetica, questa può essere definita come la quantità di suolo (terra e acqua) che è necessaria per produrre una certa quantità di energia, in funzione della tecnologia di produzione adoperata. L'impronta energetica di una persona che viva oggi in una città di un paese industrializzato va oltre a quanto viene generalmente percepito, si estende ben al di là dello spazio che "sentiamo" di occupare, e la sua misura è influenzata dalla quantità e dalla qualità dei flussi di materia e di energia che si accompagnano al nostro vivere quotidiano.

Prendendo spunto da queste considerazioni, il nostro atteggiamento dovrebbe modificarsi. Tale atteggiamento, alle diverse scale in cui si esplica, e nei diversi contesti in cui avviene, dovrebbe accompagnarsi alla possibilità di saper utilizzare l'energia come una variabile di progetto non astratta, ma in grado di interrelarsi alla forma degli spazi e degli insediamenti che disegniamo, o, per arrivare al tema di questo ragionamento, sui quali interveniamo, ri-disegnandoli.
tabià, veduta laterale verso valle
tabià, veduta laterale verso valle
In campo architettonico, si tratta di trovare delle forme adeguate per utilizzare quelle tecnologie che consentono di produrre l'energia nello stesso luogo in cui viene consumata, e cioè di instaurare un dialogo tra la forma di energia e la forma degli edifici e delle città.
Il fotovoltaico è, tra le diverse tecnologie di produzione energetica, quella che meglio si adatta a questo scopo, per la sua capacità di sostituire componenti edili tradizionali, tuttavia il suo impiego in contesti se non pregevoli, almeno storici o consolidati, viene ancora guardato con sospetto e qualche pregiudizio.

Questo atteggiamento rivela una cultura progettuale che "concettualizza" ancora secondo categorie tradizionali (ad esempio pregevole, storico), che non tengono conto della necessità di concepire le nostre città ed i nostri spazi abitativi secondo categorie nuove (ad esempio sostenibile/insostenibile, produttore/consumatore), che facciano capo piuttosto alla possibilità di evolversi positivamente, e cioè di auto sostenersi. Per stimolare una riflessione su questo tema, presentiamo qui due esempi, molto diversi tra di loro, e a nostro giudizio molto ben riusciti, di impiego del fotovoltaico nel contesto dell'esistente. Li presentiamo come una risposta concreta, elaborata con strumenti da architetto (il disegno), ad un tema che viene talvolta avvicinato in maniera rinunciataria, come se non esistesse una soluzione possibile.

Il primo esempio è il recupero di un tabià – nome dialettale degli edifici adibiti a stalla e fienile che sono l'elemento di origine agricola e pastorale che più caratterizza l'architettura della valle-, a Selva di Cadore, in un'area che appartiene alle Dolomiti, patrimonio universale dell'umanità dell'Unesco. Il progetto è di EXiT architetti associati. Il secondo esempio è il recupero, di Netti Architetti, di una facciata di un albergo, l'Hotel Leon d'Oro, nel centro della città di Bari vicino alla stazione ferroviaria.
Vista del tetto a copertura mista
Vista del tetto a copertura mista
A Selva di Cadore (Belluno), un tabià è stato trasformato in un'abitazione autosufficiente dal punto di vista energetico grazie ad un piano di moduli fotovoltaici, che alimentano l'impianto di riscaldamento, quello di produzione dell'acqua calda, i sistemi di cottura, e le altre utenze elettriche.
Si è trattato di una sfida poiché il fotovoltaico è generalmente percepito come "invasivo" rispetto alla pregevolezza, o anche solo rispetto all'immagine consolidata di un luogo. Una percezione, che si trasforma in un giudizio negativo preconcetto, che trascura il fatto che, in realtà, quei moduli fotovoltaici consentono di evitare l'installazione di un impianto a gasolio (come generalmente avviene nella valle), certamente più invadente dal punto di vista ambientale, e anche di contenere l'impronta energetica dell'edifico entro la sua impronta materiale, fisica.

Con il progetto di EXiT l'operazione è riuscita grazie all'attenzione con la quale i progettisti si sono mossi nella delicata operazione di sostituzione del legno della vecchia copertura con il fotovoltaico, disegnando una soluzione attenta e "rispettosa".
Il punto di partenza è stato un rilievo accurato delle parti lignee e degli incastri strutturali. Successivamente l'edificio è stato smontato - molte travi e assi del vecchio tabià sono state recuperate e ripulite, altre sono state integrate scegliendo elementi lignei di recupero, in modo da garantire una continuità cromatica e dei materiali – e rimontato. Particolarmente significativa è la scelta di non impiegare componenti fotovoltaici "mimetici" dell'elemento costruttivo tradizionale (tegole, ad esempio), quanto piuttosto moduli standard, utilizzati in un modo sapiente che privilegia una speciale attenzione ai giunti, agli spessori, alla composizione degli elementi. Una nuova struttura portante in acciaio a vista verniciato di nero, disposta secondo una geometria e una distanza tra le parti adatte alla misura e modularità consolidata dei tabià, collabora con quella originaria in legno, si svela e non viene negata, ed accoglie i moduli fotovoltaici opachi standard, mediando tra il preesistente ed il nuovo. I 51 moduli, grandi ciascuno circa 1,63m2, della potenza di 230Wp, compongono un impianto della potenza nominale pari a quasi 12kWp, e circa 84m2 di superficie. In un anno sono in grado di assicurare una produzione di circa 13000kWh, rendendo l'abitazione completamente autosufficiente dal punto di vista energetico.
È possibile ridurre la nostra impronta energetica e ridimensionarla in funzione dello spazio che abitiamo, dando forma a strategie di integrazione delle tecnologie rinnovabili soddisfacenti sia da un punto di vista energetico che dal punto di vista formale.
La facciata dell'Hotel Leon d'oro visto dalla piazza
La facciata dell'Hotel Leon d'oro visto dalla piazza
Di natura diversa, perché diverso è il contesto e diversi sono i materiali, è l'intervento di Bari, che consiste nella riqualificazione dei fronti di un edificio costruito negli Anni Settanta (1972, su progetto di Onofrio Mangini), che costituisce un angolo della piazza della stazione ferroviaria centrale della città. Nonostante le differenze, anche per NettiArchitetti intervenire in un luogo al quale corrisponde un'immagine consolidata e radicata nelle persone che quel luogo frequentano, introducendo una tecnologia e un materiale innovativi, è stata una sfida, alla quale i progettisti hanno risposto con una strategia di integrazione giocata sull'interpretazione attenta dell'esistente.

In particolare, la facciata presentava delle strutture frangisole in vetroresina, che sono state sostituite da moduli fotovoltaici in vetro, opportunamente disegnati in modo da sostituire perfettamente le lastre nella loro funzione schermante. I moduli sono ancorati su una struttura in acciaio inox strutturalmente collegata alla facciata mediante due piastre; tale struttura, costituisce anche l'alloggio dei cablaggi necessari al funzionamento dell'impianto. L'intero sistema costituito dalla struttura e dai moduli è stato studiato in modo che il suo ancoraggio alla facciata avvenga per mezzo di una piastra che riutilizza i fori di fissaggio esistenti in corrispondenza delle lesene in calcestruzzo armato caratteristici dell'edificio.
Le strutture frangisole in vetroresina del progetto originario
Le strutture frangisole in vetroresina del progetto originario
I moduli sono semitrasparenti, con celle in silicio cristallino, distribuite in modo da occupare il 77% della superficie vetrata del modulo, e garantendo, in questo modo, la funzione frangisole.
La superficie dei singoli moduli è piuttosto grande, ciascuno 2,65m2, per una potenza nominale del singolo modulo di circa 285Wp, mentre la potenza complessiva dell'impianto è di circa 24kWp; la produzione annuale stimata è di circa 34000kWh. In questo caso certamente l'energia prodotta dal fotovoltaico non è sufficiente ad alimentare l'intero albergo, ne copre poco più di un terzo, tuttavia l'intervento è decisamente significativo, poiché l'energia elettrica rappresenta il principale vettore energetico del settore alberghiero, e ciò si associa a consumi superiori di ben dieci volte rispetto al caso delle abitazioni. I progetti mostrati dimostrano concretamente che è possibile ridurre la nostra impronta energetica e ridimensionarla in funzione dello spazio che abitiamo, dando forma a strategie di integrazione delle tecnologie rinnovabili soddisfacenti sia da un punto di vista energetico che dal punto di vista formale. Sembra che vi siano premesse sufficienti affinché i progettisti colgano l'occasione per fondare una nuova estetica, che tenga conto di categorie nuove, e specialmente della definizione di produttore/consumatore.
I nuovi moduli fotovoltaici in vetro
I nuovi moduli fotovoltaici in vetro
Tabià / Località Marin / Selva di Cadore (Belluno) / Italia 2010
Ristrutturazione
Progetto: EXiT Architetti Associati - arch. Francesco Loschi
Consulente energetico: Elektroplanung - Per. Ind. Gotthard Baur
Produttore solare: BAUER Solarenergie GmbH


Hotel Leon d'Oro / piazza Aldo Moro 4 / Bari / Italia 2010
Ristrutturazione
Progetto: NettiArchitetti
Consulente energetico: Tecnomec Engineering
Produttore solare: EPC/Tecnomec Engineering  

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