Esistono molti giovani architetti tra i 30 e i 40 anni che lavorano nel Paese e che creano opere di alto contenuto architettonico. Nonostante le difficoltà burocratiche, economiche e tecnologiche dell'Iran, queste realizzazioni sono comparabili a quelle pubblicate dalle riviste di architettura internazionali. La forza motrice dell'attuale movimento culturale è la determinazione del ceto iraniano più colto di uscire dal proprio guscio e di comunicare con il mondo esterno.
Per questo gli iraniani esplorano qualsiasi mezzo a loro disposizione utile a portare il loro messaggio al mondo. Non è un caso, infatti, che il persiano sia la quarta lingua più utilizzata in internet. Gli studenti universitari divorano le poche risorse bibliografiche internazionali a loro disposizione e dedicano tanto tempo alla ricerca in rete per conoscere le tendenze, le opere realizzate e per partecipare alle competizioni internazionali. Le numerose riviste di architettura del Paese hanno dato un contributo significativo a creare questo legame tra la realtà architettonica e il mondo esterno. Per questi motivi, la nuova generazione di architetti ha deciso di rompere con l'architettura dello stato – retorica, storicistica e priva di creatività – imposta dalle organizzazioni statali, che controllano non solo le opere infrastrutturali e i servizi pubblici (ospedali, scuole, università), ma anche gli alberghi, i cinema, i centri culturali, le industrie etc.
I giovani, pur rimanendo sui binari dell'architettura contemporanea, hanno sfruttato la cultura autoctona per diversificarsi sullo scenario internazionale e per creare opere con un tocco di originalità.
La prima realizzazione di Khazaeli, apparsa su Domus (n. 906, settembre 2007), era una villa lecorbuseriana nel Mazandaran (regione iraniana sul Mar Caspio). Il secondo lavoro era una capanna di bambù realizzata con un budget inferiore a 1.000 euro, influenzata dal periodo trascorso nell'ufficio di Shigeru Ban, prima di intraprendere la libera professione. La capanna apparve su Domus (Bamboo Structure, n. 927, luglio/agosto 2009) e vinse il primo premio indetto dalla rivista di architettura Me'mar nello stesso anno.
L'ultima realizzazione è un'abitazione monofamiliare per il weekend che si trova nel villaggio Darvishabad (anch'esso sul Mar Caspio).
Lo spazio domestico è organizzato intorno a un vuoto rappresentato da un imbuto di vetro che cattura la luce solare e la introduce al centro della casa. Khazaeli sostiene che questo elemento sia ispirato alla tradizione architettonica iraniana, nella quale la maggior parte degli spazi è organizzata intorno a un vuoto chiamato 'hayat' (cortile o patio centrale). Al piano abitativo si accede tramite una scala dritta e stretta che enfatizza lo spazio aperto della casa, divisa per lo più dai divisori mobili. Così l'edificio conserva la flessibilità tipica delle case tradizionali, nelle quali le principali funzioni (dormire, mangiare, trascorrere tempo insieme) possono essere collocate in punti variabili, a seconda della stagione o del momento della giornata.
Questo piccolo lavoro di Khazaeli è rappresentativo del percorso adottato da vari giovani architetti iraniani alla ricerca della loro identità autoctona e, al contempo, internazionale. Kamran Afshar Naderi
Progetto: Pouya Khazaeli Parsa
Localizzazione: Darvishabad, Mazandaran, Iran
Committente: Nastaran Shahbazi
Struttura: Peyman Khezri
Fotografia: Mohsen Jazayeri, Mehrdad Emrani
Film: Mehrdad Emrani
Superficie lotto: 400 mq
Superficie lorda della casa: 240 mq
Completamento: ottobre 2010
