Abbiamo incontrato Philippe Rahm il 10 dicembre scorso a Copenhagen in occasione del simposio "Climate and Architecture" organizzato dalla Nantes School of Art in collaborazione con la Royal Danish Academy of Fine Arts che si è svolto in contemporanea a COP15, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Gli abbiamo chiesto qual è oggi la responsabilità dell'architettura in relazione ai cambiamenti climatici e quale ruolo può avere l'architettura nell'urgente dibattito sul clima.

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Inoltre Rahm ha approfondito alcuni aspetti della mostra allestita con gli studenti della Royal Danish Academy of Fine Arts. Sin dal suo titolo, "The Olduvai Gorges" (area dell'Africa subsahariana che ricerche e teorie scientifiche ritengono sia stata la culla dell'umanità), la mostra porta al centro il tema della biologia dell'uomo che è 'programmato' per un ciclo del giorno e della notte di 24 ore (più vicino a quello dell'Africa che a quello di paesi come la Danimarca) e per mantenere una temperatura corporea attorno ai 37°C; per questo motivo è spinto a mettere in atto processi di termogenesi (sudorazione per diminuire il calore o movimento per produrre calore). L'architettura è vista da Rahm come una fase del processo di termogenesi e visualizzata per la mostra in tre ambienti: uno troppo buio che necessita un'aggiunta di luce, uno troppo freddo che ha bisogno di calore e viceversa uno troppo caldo che ha bisogno di freddo.
Vassoi di pesce (ricco di vitamina D) e un orizzonte di raggi ultravioletti per sintetizzare la vitamina D contenuta nel pesce suppliscono così all'assenza di luce, mentre coltivazioni di chili e, viceversa, di menta incidono rispettivamente sull'ambiente freddo e su quello caldo.

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