Rossana Bossaglia, invitata a parlare sulla storia dell’edificio, ha subito posto sul tappeto un duplice problema. Un problema pratico fondamentale, sull’utilizzo della stazione. La Bossaglia si è chiesta come mai in queste occasioni nessuno ricorda che il fondamentale ruolo di questi edifici sia quello di un luogo dove si parte e si arriva. Considerato che è forse la stazione più comoda in Europa per l’arrivo dei taxi, perché spostarli?
Un secondo aspetto sul quale si è dichiarata contraria è la tendenza a trasformare questi luoghi in occasione di mercato, sotto l’etichetta di una maggiore agilità d’uso. E ha citato come negativa la proposta ventilata di trasferire all’interno della stazione la Gipsoteca di Brera. Rossana Bossaglia ha inoltre ricordato come in passato si era già discusso sul destino della Stazione Centrale: negli anni ’50 si era addirittura ventilata la demolizione del brutto edificio, quando una linea di pensiero affermava che nel ricostruire la città dopo la guerra si doveva applicare il linguaggio del razionalismo milanese, contro una linea avversa basata su una visione di tipo storico e sentimentale.
Ha ricordato come la stazione non abbia niente a che vedere con il liberty, mentre Ulisse Stacchini aveva progettato su modelli tedeschi o austriaci (Otto Wagner), secondo il cosiddetto gusto dell”eclettismo di ritorno”, e di come le polemiche sulla stazione fossero riprese negli anni ’70 in previsione di una modifica che ne alleggerisse le strutture. In quell’occasione erano state smontati gli arredi fissi delle sale di rappresentanza, oggi conservati a Genova e Miami.
Marco Tamino, progettista della trasformazione per Grandi Stazioni, ha esordito inquadrando le caratteristiche di questo cartello. Grandi Stazioni è una società del gruppo FFSS nata nel 2002 in seguito al progetto per il riassetto della stazione di Roma Termini. E’ per il 60% pubblica e per il restante 40% in mano a privati, ed ha per i prossimi quaranta anni un mandato di gestione sulla ritrasformazione e funzionalità delle stazioni ferroviarie della rete nazionale, con un programma che prevede altre dodici stazioni oltre a quella milanese.
Tamino ha ricordato come il metodo di intervento sia stato criticato perché rifuggiva dal tema dei concorsi, spiegando che il tema richiede competenze troppo specifiche su questo ramo, ma ha ricordato come Grandi Stazioni abbia affidato comunque la consulenza specifica a studi di architettura (Vignelli per la segnaletica, Castiglioni per l’illuminotecnica), a grandi società di ingegneria, fino ad avvalersi della collaborazione di circa duecento professionisti. Ha riassunto anche le approfondite consultazioni avvenute prima dell’avvallo finale del CIPE, attraverso l’esame e le osservazioni della Soprintendenza, delle Commissioni consiliari del Comune di Milano, delle associazioni dei commercianti. Il progettista ha poi affrontato il suo punto di vista riguardo al destino e al nuovo ruolo delle stazioni.
Di fronte ai processi inarrestabili della mobilità, il territorio non è più quella porzione controllabile che da progettisti abbiamo sinora pensato di disegnare. In questa nuova geografia dei nodi di interscambio, dove si assemblano sempre più funzioni di carattere urbano, l’aspetto solenne e celebrativo delle stazioni sta cambiando. Gli spazi delle stazioni sono i luoghi più frequentati e maggiormente accessibili. Sono quelli nei quali si sovrappongono tutti i servizi urbani. La stazione diventa una vetrina della città, un luogo in cui la città si presenta (a Roma Termini è stato fatto un Museo di Arte Contemporanea). Questi spazi possono dunque diventare piazze urbane, forse le piazze del prossimo millennio. Tamino è passato poi ad illustrare il progetto attraverso i suoi elaborati.
L’intervento prevede il recupero della spazialità che lo Stacchini aveva pensato per la stazione negli anni ’30, liberando la galleria delle carrozze dai taxi, il salone centrale dalle biglietterie, la galleria di testa dei binari da tutte le superfetazioni commerciali degli ultimi anni. Intervenendo soprattutto con un nuovo disegno dell’accessibilità, le nuove funzioni compatibili con quella del viaggio sono collocate nei grandi spazi di servizio mai utilizzati sotto la quota dei binari, attivando una galleria pedonale trasversale che collega i due fianchi della stazione al livello urbano.
L’atrio delle biglietterie sarà ripulito e pensato come piazza urbana, per concerti, mostre, incontri, usi di carattere temporaneo. Il flusso principale dei viaggiatori verrà deviato rispetto a questo spazio e ridisegnato per mezzo di tapis-roulants. Il concetto di biglietteria cambierà: 3.000 mq di ambienti climatizzati con desk e biglietterie automatiche, più simili a quelli delle agenzie di viaggio, elimineranno la separazione tra viaggiatore ed operatore. La prima fase di intervento, quella descritta nel progetto, si limiterà al fabbricato viaggiatori, mentre una fase successiva si occuperà di tutti gli enormi spazi dei depositi sotto i binari da adibire a funzioni più legate alla città. Il restauro della parte monumentale e della Palazzina Reale, che prevede il ripristino delle volte (che sono rette da una struttura metallica) e un loro consolidamento con fasciature in fibra di carbonio, è già cominciato in accordo con la Soprintendenza.
Il progetto è stato sottoposto ad una critica sistematica da Aldo De Poli, studioso del tema delle stazione ed autore di un recente libro sull’argomento. De Poli ha esordito ricordando come il tema della stazione nelle città europee si presenti in maniera diversa che a Milano, nel duplice fenomeno dei nodi di interscambio esterni alla città, numerosi in Francia e Olanda, o di luoghi simbolo radicati nella città storica, come a Parigi e Madrid.
A Milano, stazione su un’area di grandissima estensione, il progetto presentato si sofferma solo su un 20% di questa area (le poche sale storiche) e si dimentica di lavorare negli spazi urbani che circondano la stazione. Una articolata relazione intitolata “10 punti critici del progetto definitivo”, supportata da misurazioni del progetto e rendering che cercano di restituire il futuro degli spazi, è stata spiegata partendo da tre principali punti di critica: le manomissioni di un edificio vincolato, i disagi per l’utenza, l’inedita procedura adottata (la Legge Obiettivo).
Carla di Francesco, Soprintendente Regionale ai Beni Architettonici e Ambientali, ha puntualizzato le fasi del lavoro in parallelo con i progettisti e le esigenze della Soprintendenza rispetto ad un manufatto di spessore storico. La serata è stata un’ulteriore occasione di conoscenza e dibattito su un progetto già approvato che sta suscitando prese di posizione da parte di associazioni e realtà politiche cittadine.
