Una casa d’artista tra le Dolomiti: Walter Pichler a Eggental sulla Domus di inizio millennio

L’artista ed architetto austriaco realizza nei primi anni 2000 una casa di pietra a fianco del laboratorio del nonno, tra le montagne altoatesine, e Domus dedica a questa interpretazione dell’origine sia le sue pagine stampate, sia quelle digitali del sito appena nato. 

Quella di esplorare luoghi che raccontano storie è un’abitudine che affonda le sue radici molto in profondo nella storia di Domus, che si tratti dell’andare “a casa di”, del presentare case d’artista, o in generale di mostrare architetture che devono molto del loro spazio e della loro forma al percorso personale ed artistico di chi le attraversa. Nel 2002 è stato il turno di questa casa costruita, ma soprattutto pensata, dallo scultore ed architetto Walter Pichler in un luogo legato alle sue origini: la Val d’Ega (Eggental), nelle Dolomiti altoatesine.

Il testo con cui Paolo Piva traccia un ritratto dell'artista attraverso gli spazi da lui concepiti è anche una prima doppia occasione di archivio: pubblicato infatti nel luglio del 2002, sul numero 850 di Domus, era stato immediatamente seguito dalla sua presentazione su un supporto allora piuttosto giovane, per non dire pressoché neonato: il magazine online Domusweb, dove la casa di Pichler esce nellagosto di quello stesso anno.

Casa d’artista

L’architettura di Walter Pichler vista da Paolo Piva
Fotografia di Elfi Tripamer

Chi conosce la serie di disegni dedicata da Walter Pichler alla sua valle, non può non osservare l’intensità e la carica emotiva celata in quelle cornici. Le grandi pareti, la cascata di cui con attenzione si può intendere il fruscio, i piccoli squarci di cielo che grigi si aprono a volte su colori più chiari, da chi, più che narrare, ricorda. È il ricordo la chiave di lettura anche della nuova architettura di Pichler, il ricordo di un saluto bambino a una valle scura ma piena di fascino, il ricordo di una piccola casa piena di mistero, il ricordo di un luogo aspro e intenso che conserva e sempre conserverà i segreti di un’infanzia forse troppo presto interrotta. Il silenzio delle montagne racchiude questi elementi, spesso ricorrenti nell’opera dello scultore che, lontano dal chiasso dell’arte contemporanea, ricerca il suo luogo dovunque e a ogni costo.

Le architetture di Walter Pichler si staccano dai codici e dalle norme del comune mestiere e diventano luoghi dedicati alla custodia di quelle sculture, tanto fragili quanto attente a tutto ciò che le circonda, spettatrici loro stesse di un divenire inesorabile. St. Martin, luogo scelto dall’artista nel 1972, diventa così una piccola città, un borgo abitato non solo da persone ma anche da sculture che, protette da un fragile involucro architettonico, vivono al riparo degli elementi. A queste architetture viene assegnato il ruolo di contenere quanto di più importante esiste per un’artista: la sua opera.

Con questo nuovo lavoro, l’artista si riavvicina ai luoghi della sua infanzia, ritrova quella piccola casa nera, rivede le montagne del Latemar e del Rosengarten; si chiude però all’interno di un perimetro minimo e guarda quel solo squarcio di cielo visibile dalla valle. Una grande vetrata lo divide dall’esterno. E i massi di porfido rotolati nel fiume diventano guardiani di un silenzio a volte troppo rumoroso.

La casa fronteggia la vecchia fucina, restaurata e sotto tutela come monumento storico
La casa fronteggia la vecchia fucina, restaurata e sotto tutela come monumento storico

La nuova architettura si colloca a una precisa distanza dalla vecchia werkstatt e ne definisce la piccola corte. La piazzetta in pietra diventa così un luogo raccolto e permette la fruizione della nuova casa. Una facciata chiusa, rotta soltanto dalla porta di accesso in ferro e accessibile attraverso un sentiero costeggiato da monoliti porfirei, si affianca alla preesistente officina, diventando parte integrante del nuovo impianto.

Il rapporto di scala architettonica tra i due edifici diventa rapporto di ‘attenzione’ quasi filosofica tra due epoche e tra diverse generazioni. Le due realtà lontane nel tempo e diverse nella destinazione d’uso, insistendo nello stesso luogo, sono accomunate dalla stessa Haltung: la prima, legata alla storia e alle vicende vissute, la seconda, la ‘nuova’, determinata dall’intensità del ricordo, dalla gratitudine, dal senso di appartenenza.

Il manufatto completamente rivestito da pietre si sviluppa su due piani. Il piano interrato, arieggiato da un cavedio periferico coperto da grandi massi di fiume, è adibito a cantina ed è vissuto attraverso un grande tavolo centrale in legno. La luce penetra nei cavedi attraverso i vuoti lasciati dalle pietre e l’acqua che nei momenti di pioggia li inonda viene poi convogliata nel vicino ruscello.

La zona giorno è ispirata alla essenzialità: al lavello angolare in porfido si affianca un piccolo pensile, seguito dal piano cottura e dalla stufa con forno, intonacata
La zona giorno è ispirata alla essenzialità: al lavello angolare in porfido si affianca un piccolo pensile, seguito dal piano cottura e dalla stufa con forno, intonacata

Al piano terra è situata la zona abitabile, che prende luce dalla grande vetrata superiore.Tutto ciò che appare chiuso dall’esterno si apre in uno spazio interno dove ogni cosa è collocata nella logica elementare della funzionalità. Uno spazio minimale, non minimalista, completamente funzionante. La stufa ricalca le stufe in ceramica tipiche del luogo, ma è solo intonacata quasi a negare ogni elemento di decoro e di nostalgia. Il lavello, blocco scavato in porfido, è incassato nel muro e la vetrina di acciaio e vetro che contiene i bicchieri ci ricorda la fragilità degli elementi contenuti. Il tavolo, in legno, può essere affiancato da un elemento mobile usato così nella doppia funzione di allungamento e di tavolino da lavoro vicino alla zona cottura. La sedia è un oggetto che viene ridisegnato con attenzione, riproporzionato e realizzato in piccola serie con il legno degli alberi da frutta. Tutto nella semplicità complessa di chi è consapevole che la vita viene vissuta nel quotidiano, che ogni gesto, semplice, racchiude la grandezza delle grandi opere.

La grande copertura è l’unico elemento che data il progetto. L’uso sapiente dei timpani in acciaio e la composizione della doppia vetrata garantiscono l’utilizzo della struttura anche nei momenti di particolare rigidità climatica. Come l’acqua penetra nei cavedi e poi viene convogliata all’esterno, anche la neve si poserà sulle strutture di vetro, inonderà di luce bianca l’abitazione sottostante e se ne andrà attraverso una vasca esterna raccolta attorno alla canna fumaria della stufa, elemento centrale dello spazio interno. Il calore della stufa dovrà sciogliere la neve e raccoglierla nella vasca prima di riconsegnarla al fiume. Tutto questo è semplice, ma proprio in questa semplicità è racchiusa la complessità del lavoro di Pichler: ogni oggetto, ogni scultura raccoglie dei frammenti di un flusso continuo e inarrestabile, non vi è compiacimento e nostalgia, ma certezza. La certezza che nel gesto normale è racchiusa la grandezza dell’opera.

È in questa chiave che va interpretata questa piccola grande Architettura: non un grattacielo, non un grande complesso industriale, ma una “piccola casa” che deve soltanto farci riflettere.

Un disegno del 1999 mostra uno schema delle fondazioni in cemento del volume regolare. © Sammlung Architekturzentrum Wien
Un disegno del 1999 mostra uno schema delle fondazioni in cemento del volume regolare. © Sammlung Architekturzentrum Wien
Progetto:
Walter Pichler, Vienna
Strutture engineering:
Christian Rigliaco
Muratura:
Hans Weissenegger
Lavori in pietra nello spazio interno:
Josef Dalle Nogare
Cliente:
Walter Pichler, Bolzano

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