L’ultima volta che ho sentito parlare di Leon Krier è stato quando Frank Gehry mi ha detto che riceve continuamente sue lettere. Ne fui sorpreso, un po’ perché non avrei mai creduto che a Krier potesse piacere un tipo di architetto come Gehry: ma soprattutto perché mi ha ricordato come la figura di Krier è scomparsa in maniera così netta dalla scena architettonica.
Prima di questo episodio – molti anni prima, in effetti – vi era stato un po’ di rumore in Gran Bretagna su Poundbury, la New Town che Krier aveva progettato per il Principe di Galles. L’architetto, si vociferava, era scontento del modo in cui il progetto (considerato l’occasione per realizzare il suo sogno di costruire una città ideale contemporanea, radicata nei valori tradizionali dell’urbanistica) si stesse indebolendo e diventando un luogo dagli intenti propagandistici. Krier voleva dimettersi, ma i cortigiani del principe non glielo permisero. Come poteva semplicemente abbandonare il progetto? Sarebbe stato troppo imbarazzante. Lì, ironicamente di fronte alla realtà della vita di corte, stava un ex-marxista; l’autore di un benevolo studio sull’architettura di Albert Speer, in cui deplorava la logica di un mondo dove si demolivano gli arredi urbani della Berlino di Speer ma si rifiutava di incarcerare Werner von Braun; un polemista che aveva inciso le parole A Mon Prince sul frontespizio di uno dei suoi libri. Semplicemente, non c’erano altre strade da seguire.
Così Krier non si dimise – semplicemente scomparve dalla scena architettonica. Vi fu un silenzio totale, interrotto solamente da avvistamenti dell’architetto disperso in terra francese, dove Krier – si diceva – viveva in tranquillità in compagnia del suo pianoforte. Quando Richard Ingersoll pubblicò un accattivante lamento dal titolo “Sei, o sei mai stato un post-modernista?” in un recente numero di Architecture America, il nome di Krier, significativamente, non comparve. È un risultato sorprendente per un architetto non ancora sessantenne, che è stato molto più di una giovane promessa: e che non porta, come una palla al piede, l’imbarazzante fardello di lavori realizzati in tempi lontani. Per due decenni e incarnando ruoli diversi, Krier è stato un architetto che ha dato un forte senso di autorità morale a tutto il suo lavoro: dalla diffusione dei suoi pamphlet propagandistici - per cui era particolarmente dotato - ai suoi disegni di inquietante bellezza.
Krier ha sempre posseduto la capacità di essere al posto giusto nel momento giusto. Dopo aver lasciato il suo paese di origine, il Lussemburgo, lavorò nello studio londinese di James Stirling momento fondamentale del suo passaggio, dal vetro e acciaio di Leicester e Cambridge al monumentalismo di pietra del suo periodo intermedio. Con la grafia sottile dei suoi disegni ad inchiostro, Krier elaborò alcuni tra i progetti più importanti di Stirling, contribuendo alla definizione della loro forza. In alcuni casi fece ancora di più: fu Krier infatti ad avere l’idea di utilizzare la facciata delle sale riunioni a Derby, come un frammento avvolto dal colonnato in vetro di Stirling.
I disegni inconfondibili di Krier, popolati da anacronismi tecnologici curiosamente fuori luogo – il biplano sopra l’odierna Lussemburgo, le macchine ante-guerra nella Berlino post-bellica, le figure provocatorie caratteristiche del XIX° secolo che facevano il verso a Schinkel, la stessa figura ingombrante di Stirling seduto in uno delle sue poltrone Thomas Hope – hanno cambiato la maniera di pensare e disegnare di una generazione.
Erano immagini piene d’atmosfera che indicavano un mondo architettonico di una raffinatezza apparentemente irraggiungibile nel grigiore degli anni Settanta.
Krier infine abbandonò Stirling, disilluso dall’idea del modernismo architettonico e dal mondo moderno nel suo insieme. Stava per diventare un fondamentalista militante, del tipo che Pugin non avrebbe esistato a riconoscere, il critico più feroce della professione architettonica, dal suo punto di vista colpevole di tradimento nei confronti della tradizionale città europea e di aver vergognosamente collaborato alla sua distruzione. Tutto questo successe però non prima di aver fatto da tutor a Zaha Hadid presso l’Architectural Association, lasciando un’impronta duratura sul personaggio più carismatico della nuova generazione.
E poi ci fu il suo contributo al new-urbanism con la creazione di Seaside in Florida, un insediamento di abitazioni, civili e compite ma almeno progettate da architetti. Qui Krier riuscì a firmare con il suo nome qualcosa di costruito, per quanto modesto: ma anche a definire un insieme di regole urbane che, per un momento, sembrarono la panacea per salvare lo sviluppo delle città, e da cui sono derivate una lunga serie di imitazioni.
Dopo questo episodio, nulla. Nell’attuale tempesta di virtuale informatico, di neo-brutalismo portato avanti dai “duri-del-quartiere”, e dallo spettacolo in stile “Apocalypse Now” delle scoppiettanti città della costa Pacifica, si delinea una preoccupante prospettiva per l’architettura: che Krier, con il suo silenzio, stia ancora una volta facendo la cosa giusta al momento giusto. E se così fosse, solleva l’intrigante quesito: su cosa succederà se e quando Krier ricomparirà?
