Settimane della moda e città: come sono cambiate nel tempo

Dal primo evento a New York nel 1943 a quello che succede oggi, con i brand alla ricerca delle location più spettacolari per le loro sfilate.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1038, settembre 2019

Ogni anno, scandite da un preciso calendario, le fashion week animano il settore della moda e le città che le ospitano con una serie di sfilate, incontri d’affari, feste ed eventi esclusivi. Il sistema della moda vola da una parte all’altra del mondo per dettare le nuove tendenze e il suo mercato cresce costantemente, moltiplicando le iniziative nei diversi continenti. Eppure, le capitali internazionali continuano a essere Londra, Milano, New York e Parigi, le Big Four. In queste città creatività, produzione, ricerca, innovazione, business e comunicazione si combinano in un’economia solida e in un ecosistema culturale che rafforzano la loro leadership a livello globale. Le settimane della moda ne sono gli eventi celebrativi, che esplorano e tracciano traiettorie del gusto e strategie di comunicazione capaci d’influenzare anche altri settori commerciali e culturali.

La storia delle fashion week ha le sue radici nelle prime occasionali sfilate organizzate a partire da metà Ottocento a Parigi e diffuse poi, nel primo Novecento, in altre città europee e americane. La nascita della sfilata rappresenta una rivoluzione paradigmatica, che trasforma la relazione tra stilisti, modelle e riviste, mettendo le basi per una vera e propria economia di mercato. Il concetto di fashion week comincia però a emergere solo nella seconda metà del Novecento, con l’affermarsi, a cadenza stagionale, di eventi lunghi una settimana dove riunire più sfilate in un programma coordinato.

La prima ha luogo a New York nel 1943, quando Eleanor Lambert (1903-2003), grande promotrice della moda americana, vede nelle difficoltà d’importare la moda francese – a causa della guerra in Europa – l’opportunità di dare visibilità agli stilisti statunitensi, e inventa la Press Week. L’Europa segue l’esempio. Nel 1958, la Camera Nazionale della Moda Italiana fonda la Settimana della Moda di Milano; nel 1973, la Fédération de la Haute Couture et de la Mode istituzionalizza in fashion week il sistema di sfilate già attivo a Parigi e portato alla ribalta internazionale dalla prima celebre sfilata di Dior nel 1947; il British Fashion Council inaugura la prima London Fashion Week nel 1984.

Oggi la necessità d’imporsi sul mercato e le pratiche della comunicazione richiedono d’impressionare e stupire. La scelta delle location diventa cruciale, innescando una competizione per i luoghi più straordinari, contemporanei o storici

Il settore cresce rapidamente, consolidandosi a livello internazionale anche grazie alla sinergia tra case di moda e stampa di settore. Già negli anni Ottanta, il sistema della moda è un fenomeno globale e le sfilate sono veri e propri show che combinano la moda con l’arte in eventi dal forte impatto visivo. Oggi le fashion week delle quattro capitali della moda si sono organizzate secondo un’agenda annuale che facilita gli spostamenti di migliaia di addetti ai lavori, impegnati nella costruzione e comunicazione di tendenze e d’immaginari, ma soprattutto nel perfezionare e chiudere accordi commerciali. Distinguersi è la parola chiave. Così, se fino all’inizio degli anni 2000, New York e Londra concentravano le sfilate in strutture temporanee per agevolare i passaggi da un evento all’altro, oggi la necessità d’imporsi sul mercato e le pratiche della comunicazione richiedono d’impressionare e stupire.

La scelta delle location diventa cruciale, innescando una competizione per i luoghi più straordinari, contemporanei o storici, dal Grand Palais a Parigi, ai pier di Manhattan e alle aree industriali dismesse della periferia milanese. Il ruolo della moda è stato determinante nelle operazioni di rigenerazione degli spazi in disuso o ex industriali, soprattutto a partire dagli anni 2000, con effetti che hanno superato la temporaneità delle sfilate, condizionando il mercato immobiliare e le politiche pubbliche ed estendendo l’impatto urbano del fashion system attraverso la realizzazione in città dei quartieri generali delle case di moda, delle boutique, delle fondazioni culturali connesse ai marchi e dei luoghi di formazione e produzione. A Milano, i casi di Prada, Armani e Gucci sono esemplari.

È chiaro però che, se da una parte la moda ha permesso a certe aree o edifici di essere rivalutati, sia in termini architettonici sia economici, dall’altra il timore che queste operazioni possano generare forme di esclusione è evidente e realistico. Emblematica, in questo senso, la ricerca di una location adatta per la New York Fashion Week, costretta prima a lasciare Bryant Park e poi anche la sede successiva al Damrosch Park del Lincoln Center, che l’aveva ospitata dal 2010 al 2015, a causa delle proteste della comunità in difesa dell’uso di questi spazi verdi. Altrettanto significativo è il dibattito suscitato a Londra nel 2018 dalla decisione di affittare gli spazi della National Portrait Gallery per la sfilata di Erdem Moralioglu, mettendo in discussione la sua dimensione pubblica. Tuttavia, i vantaggi economici sembrano prevalere.

L’indotto delle fashion week raggiunge cifre considerevoli, investendo i settori dell’ospitalità, della ristorazione, del trasporto e del commercio al dettaglio e incidendo fortemente sull’economia urbana. Per questa ragione negli ultimi decenni, sono fiorite innumerevoli imitazioni in ogni parte del mondo, alcune portatrici di un impatto economico anche superiore a quello di alcune delle storiche Big Four. Il successo economico ha reso il modello della fashion week un must per ogni città che ambisca ad avere un posto nello scenario globale, proponendo nuovi mercati dove investire, con nuove identità culturali da costruire e affermare. Le capitali della moda, intanto, s’interrogano sul futuro, tra sostenibilità e inclusione, per difendere il loro primato.

Alessandro Frigerio, ricercatore e docente, Politecnico di Milano.
Simona Galateo, architetta e curatrice.

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