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Europa, turismo di massa e consumismo: l’onere della tradizione

Nel suo secondo romanzo, “Grand Hotel Europa”, Ilja Leonard Pfeijffer emette una sentenza di morte per l’Europa. Il continente sta attraversando un brutto periodo, perchési crogiola nella nostalgia e si fa comprare dai cinesi. Il turismo pare l’unico modello di redditività. Come si può rimediare alla situazione?

L’onere della tradizione

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1036, giugno 2019

Lo scrittore cinquantunenne Ilja Leonard Pfeijffer è senza dubbio un personaggio che non passa inosservato. In questa mattinata di un qualunque giorno feriale, indossa un completo grigio con cravatta a righe viola e nere; le punte delle sue scarpe sono color giallo canarino. Mentre cammina per una via di Leida si voltano a guardarlo in parecchi. E non è solo per il suo aspetto: Pfeijffer è uno dei poeti più noti dei Paesi Bassi. Un passante si avvicina per dirgli quanto gli sia piaciuto il suo ultimo romanzo, Grand Hotel Europa, uscito nel dicembre 2018. È un incontro discreto e beneducato, i suoi lettori non sono persone rozze.

Lo scrittore si trova a Leida per qualche settimana per promuovere il suo nuovo libro. Troppo, secondo lui, perché – nonostante abbia ancora un appartamento in città – preferirebbe starsene a casa sua. E casa sua, da un decennio a questa parte, è Genova. La città italiana è stata il soggetto del suo bestseller La Superba. Romanzo sull’immigrazione, La Superba non è stato solo un grande successo tradotto in otto lingue ma, dopo 24 ristampe, ha portato anche un piccolo flusso di turisti nella raccolta piazza delle Erbe di Genova, dove lo scrittore – che si autodefinisce “il maggior bevitore della sua generazione” – dava inizio al suo giro di cocktail a un tavolino all’aperto allo scoccare delle cinque, prima di lasciare lo stesso tavolino a tarda sera, più o meno sbronzo.

I turisti che hanno scoperto lo scrittore in anni più recenti non l’hanno più trovato a sorseggiare cocktail, ma a bere un bicchiere di tè freddo o d’acqua, perché Pfeijffer ha rinunciato completamente all’alcool. Bere non ostacolava la sua creatività, ma la sua nuova compagna italiana, Stella, storica dell’arte, era sconvolta dalla quantità di alcolici che ingurgitava. “Mi è parso intollerabile fare qualcosa che la spaventava. Rinunciare all’alcool è stato il mio sacrificio d’amore”. Si è liberato dell’abitudine senza alcun aiuto, e non è stato facile. “L’unico modo di fare una cosa simile è avere una narrazione alternativa, qualcosa per cui farlo, che renda attraente la nuova vita. Ed era Stella. All’inizio, la parte più difficile era dover reinventare me stesso. I turisti letterari che avevano letto La Superba cominciavano ad arrivare nella piazza. Era un po’ fastidioso, mi pareva di essere controllato. Andatevene, pensavo, il bohémien che state cercando non esiste più!”.

L’onere della tradizione
Le fotografie di Federico Sutera (Venezia, 1978), parte della serie “Venice for Sale”, raccontano gli effetti delle politiche di gestione dei flussi turistici a Venezia. La serie èstata esposta nella mostra “(Climate) Change”, Ca’ Foscari, 2017. Nel 2011, Sutera ha fondato Xframe Studio, spazio dedicato alla fotografia sull’isola della Giudecca. Foto Federico Sutera/Parallelozero

Un panorama di tragedia e tenebre
Una volta rinunciato al bere, improvvisamente Pfeijffer si ritrovò a disporre delle mattinate: riusciva a iniziare a scrivere alle 10, cosa prima inimmaginabile. Che dipenda o meno da questo, le 550 pagine di Grand Hotel Europa sono a oggi il suo romanzo migliore. Non lo pensa solo l’autore, anche critici e lettori ne sono entusiasti. Nel giro di quattro mesi, nella sola Olanda, se ne sono vendute 100.000 copie, il libro è stato candidato al “Libris Literatuur Prijs” e sono in corso traduzioni in italiano, tedesco, francese e inglese.

E, comunque, si tratta di un libro relativamente sobrio, dal messaggio serio e critico. Confezionato come il resoconto di una storia d’amore fallita, Grand Hotel Europa parla del futuro del continente, di come rischi di soccombere alla nostalgia, alla mancanza di idee e al turismo di massa. Dopo il collasso del suo rapporto, il protagonista si ritira in un vecchio albergo veneziano. L’albergo è stato appena acquistato da un investitore cinese che adatta l’heritage alle esigenze dei turisti asiatici, proprio come la tradizione viene dilapidata in tutta Europa.

“Venezia è il simbolo più drammatico dell’Europa che, in mancanza di meglio, vende il suo passato e si arrende al consumismo. È stata rovinata dal turismo, ed è una situazione irreversibile. Le cifre dimostrano chiaramente gli aspetti negativi. Nel Trecento, Venezia aveva una popolazione di 140.000 abitanti ed era una delle più grandi città europee. Della popolazione originaria ora rimangono meno di 50.000 persone. Di questo passo, Venezia nel 2030 sarà vuota e potremo costruirle attorno un recinto. È terribile che una città perda l’anima in questo modo”.

Pfeijffer è stato a Venezia l’ultima volta alla fine del novembre 2018. “C’erano degli striscioni che dicevano ‘Venezia è una vera città’. Basta questo a dimostrare che non è più una città. È un processo che si autoalimenta: quando i turisti scoprono una città, ne arrivano sempre di più. I servizi utili ai cittadini devono fare posto a quelli per i turisti. È quello che succede, per esempio, quando i negozi di souvenir si sostituiscono ai supermercati di quartiere. Già a Venezia è impossibile trovare un cinema o comprare un mazzo di rose. I residenti originari, allora, sono tentati di trarre il miglior partito possibile da un pessimo affare, di vendere la propria casa con un valore aggiunto. A un certo punto, non c’è modo di fermare l’esodo”.

Per Pfeijffer non è detto che qualunque città turistica debba subire lo stesso destino di Venezia: città come Amsterdam e Berlino, per esem- pio, sono state abbastanza elastiche da trovare un’alternativa al turismo.
“Tutti gli studi dimostrano che possiedono ancora un’economia reale e vitale. Ma è urgente riflettere su come affrontare il problema perché, a un certo punto, sarà semplicemente troppo tardi. Se guardiamo ad Amsterdam, il quartiere a luci rosse di De Wallen è un grosso problema. È diventato uno zoo, e l’attrazione sono le prostitute. I turisti ululano alle porte. Non ha senso e non è nemmeno più sessualmente eccitante. È sparito il brivido della clandestinità, non entra più nessuno”.

L’onere della tradizione
Le fotografie di Federico Sutera (Venezia, 1978), parte della serie “Venice for Sale”, raccontano gli effetti delle politiche di gestione dei flussi turistici a Venezia. La serie èstata esposta nella mostra “(Climate) Change”, Ca’ Foscari, 2017. Nel 2011, Sutera ha fondato Xframe Studio, spazio dedicato alla fotografia sull’isola della Giudecca. Foto Federico Sutera/Parallelozero

“Come si deve”
Ora stiamo camminando per strada, così Pfeijffer può fumare. “È una dipendenza cui non voglio rinunciare, perché cos’altro mi resta?”, dice ridendo. Da quando si è trasferito in Italia, 10 anni fa, lo scrittore è diventato meno olandese, un po’ più italiano e soprattutto più europeo. “La questione di che cosa significhi sentirsi europeo è alla radice di questo romanzo. Una delle mie conclusioni è che due degli aspetti specifici del nostro continente sono la ricchezza e la concretezza del suo passato. Un passato che è tanto una ricchezza quanto un fardello. Quando passi la vita in mezzo a tesori d’arte, l’idea che l’età dell’oro sia ormai dietro le spalle è una tentazione. In Europa ci sono ragioni oggettive per arrivare a questa conclusione.

L’Europa ha drammaticamente perduto importanza sulla scena mondiale. In Brasile, in Cina e negli Stati Uniti ci vuole un bel po’ prima che pensino all’Europa”. Nostalgia e glorificazione del passato possono finire per mettere l’Europa fuori gioco, ritiene lo scrittore. “Anche in termini figurativi, spirituali, c’è poco spazio per l’innovazione. L’Italia, in particolare, è bloccata nel passato sotto ogni aspetto. Metà del patrimonio culturale mondiale si trova sul territorio italiano. E in gran parte dev’essere fatto ‘come si deve’, è si è fatto così per secoli. È una cosa che vale per molti aspetti, dall’andare in vacanza in agosto a come gli italiani si aspettano che ci si debba comportare in cucina.

A un cuoco non verrebbe mai in mente di essere creativo con un piatto come gli spaghetti alle vongole, per esempio. Nessuno lo apprezzerebbe. Deve fare gli spaghetti alle vongole come si deve, come si fanno da sempre. E non vogliono nemmeno che sia creativo un calzolaio, vogliono solo che faccia il suo mestiere”. Per salvare l’Europa ci occorre una narrazione alternativa, ritiene Pfeijffer, proprio come ci voleva una nuova narrazione per liberarsi della dipendenza dall’alcool.
I populisti di destra lavorano a questa narrazione alternativa, e anche con parecchio successo: in Olanda il politico nazionalista Thierry Baudet la primavera scorsa ha nettamente vinto le elezioni dei Consigli provinciali partendo da zero.

L’onere della tradizione
Selfie di ordinanza di alcuni turisti davanti al Ponte dei Sospiri. Foto Federico Sutera/Parallelozero

Diversamente dai suoi concittadini e colleghi, Pfeijffer non è molto preoccupato dell’ascesa della cometa Baudet: “È fastidioso, ma il panico cieco che si è visto nei media olandesi all’annuncio dei risultati delle elezioni mi pare sorprendente. Baudet ha parecchi evidenti punti deboli. Se diventa un polo di potere sarà zoppo, non fosse altro che per il suo narcisismo. Baudet è davvero chiaro in modo disarmante sulla sua aspirazione a tornare all’Europa ottocentesca. Credo che sia entrato in politica solo per trovare più donne. I partiti populisti sono in crescita ovunque. Chi se ne accorge solo ora, negli ultimi 15 anni deve aver dormito. Questo genere di partito nostalgico-populista può arrivare al 20%. Di questi tempi, è una percentuale decisamente stabile”.

Le parole di Pfeijffer sono rassicuranti perché mettono le cose in prospettiva. Allo stesso tempo, non è l’unico europeo a sollevare il problema della crisi dell’Europa. In Francia, lo stizzoso Michel Houellebecq proclama la morte della cultura occidentale praticamente in ogni romanzo. Quando, un paio d’anni fa, Houellebecq ricevette in Germania un importante premio, non si fece scrupolo di affermare nel suo discorso di ringraziamento che, a causa dell’immigrazione, l’Europa stava andando incontro al suicidio. Se un politico dicesse quel che Houellebecq dice nei suoi romanzi sarebbe accusato di razzismo. “Be’, io però penso che sia giusto: da scrittore puoi fare la parte del buffone di corte e devi poter dire cose che sono considerate scandalose, ma il ruolo del politico implica delle responsabilità”.

Ma se, da scrittore, vede chiaramente dove sta il problema, non dovrebbe anche essere in grado di proporre una soluzione? Non potrebbe cioè essere Pfeijffer a scrivere quella narrazione alternativa di cui abbiamo bisogno? “Il ruolo dello scrittore ha i suoi limiti. Se mi si chiede adesso che cosa succederà... Io formulo soprattutto delle domande in relazione a quello che vedo. La risposta starà soprattutto nel rinnovamento e nell’innovazione. Il fatto che il messaggio della nostalgia abbia una cassa di risonanza di massa in tutta l’Europa è un segno inquietante della direzione che stiamo prendendo. Se una parte significativa della popolazione vuol credere che un’abitudine sia, in ogni caso, la cosa migliore, allora possiamo ben parlare di un continente vecchio e stanco, un continente che, come un uomo anziano, guarda davanti a sé senza aspettarsi nulla dal futuro”.

Ilja Leonard Pfeijffer (1968), poeta e scrittore, debutta nel 1998 con Van de vierkante man. Del 2002 è il suo primo romanzo, Rupert (Open Letter, 2009) e del 2014 La Superba (Nutrimenti, 2018), seguito da Grand Hotel Europa (Nutrimenti, 2019).
Irene Start (1970) è responsabile dell’ufficio stampa per MVRDV e scrive per diverse riviste olandesi, tra cui Elsevier Weekblad e FD Persoonlijk. Ha studiato Filosofia a Utrecht, Amsterdam e New York.

Immagine di apertura: lo scatto di Federico Sutera pone l’accento sul problema delle grandi navi da crociera che attraversano la laguna di Venezia. Si tratta di navi alte fino a 60 m che portano 6-7.000 passeggeri. Foto Federico Sutera/Parallelozero

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