David Chipperfield: “Il futuro dell’urbanità”

Nell’editoriale di Domus 1049, il guest editor David Chipperfield riflette su come le nostre idee sulla città sono messe sostanzialmente in discussione dal modo in cui esse si sono sviluppate negli ultimi 50 anni.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1049, settembre 2020.

La storia della città è la storia della civiltà. La città è la nostra più grande invenzione, il riconoscimento sul piano materiale della nostra immaginazione e del nostro ingegno, ma anche un registro dei continui tentativi di conciliare i nostri istinti mercantili e sociali. Le città sono diventate fondamentali per la nostra economia, hanno dato vita a grandi poli d’innovazione, generando opportunità e ricchezza. In cambio, ci hanno chiesto di escogitare modi di vivere e lavorare a stretto contatto gli uni con gli altri, di sviluppare i principi della vita collettiva e privata e di creare ambienti fisici che favoriscano sia l’interazione sociale sia il comfort personale. Questa storia ci ha regalato momenti di grande creatività tanto in urbanistica quanto in architettura. Ha fornito immagini e forme che ci aiutano a definire quella qualità inafferrabile che compensa la nostra perdita di privacy e indipendenza con lo stimolo legato al fare parte di qualcosa di più grande, qualcosa che ci consente la condivisione nello spazio e nel tempo, qualcosa che definiamo urbanità.

Le nostre idee sulla città sono messe sostanzialmente in discussione dal modo in cui esse si sono sviluppate negli ultimi 50 anni. La città convenzionale, definita da limiti fisici, si è allargata in seguito alla crescita continua e presenta oggi sfide più complesse, legate alla scala: sfide che richiedono la formulazione di nuove strategie. È difficile appellarci alle nostre idee di urbanità quando il territorio urbano non può più essere affrontato con le convenzionali divisioni disciplinari di progettazione o pianificazione. I problemi dell’urbanistica contemporanea derivano dall’interazione di forze eccezionali, come le migrazioni, la disuguaglianza sociale e i mercati globali, nonché dalle nuove tecnologie dell’informazione. Questi problemi si trovano in prima linea nell’ambito delle più ampie sfide sociali e ambientali dei nostri tempi.

Mentre in alcune città l’espansione è fuori controllo, spesso a causa del proliferare di alloggi informali e insediamenti illegali, in altre assistiamo alla sterilizzazione dei nuclei urbani tradizionali, trasformati in centri d’intrattenimento dominati dal turismo e dai consumi. Ovunque vediamo pochi fortunati isolarsi in piccole enclave privilegiate, mentre le aree circostanti diventano sempre più povere. Un’ampia parte degli abitanti dei centri urbani vive in alloggi provvisori, fatto che li esclude dai vantaggi della vita urbana. La città si sta modellando in modo da rafforzare queste disuguaglianze, incrementando le condizioni di svantaggio e sabotando il proprio potenziale di condensatore sociale.

Allo stesso tempo, il catastrofico impatto ambientale delle nostre forme di città e del modo in cui le abitiamo è finalmente evidente. Il loro status di generatori di ricchezza, opportunità e innovazione deve essere considerato in relazione alle inaccettabili condizioni ambientali e sociali che producono. Sebbene questi problemi possano essere affrontati nel modo in cui costruiamo edifici e, soprattutto, nel modo in cui pianifichiamo i nostri centri urbani, sembriamo reticenti o riluttanti ad affrontare questa sfida. La pianificazione è cruciale non solo per la forma della città, ma anche per la sua efficienza come sistema ecologico che attinge a enormi quantità di risorse, materiali ed energie e dipende da straordinarie infrastrutture di mobilità e servizi. Di certo, allora, dobbiamo riconoscere l’importanza e la portata della pianificazione, investendo in amministrazioni e meccanismi responsabili. Ci sono speranze fondate in città che – come illustrato in “I limiti della città”– già reagiscono contro lo sviluppo sfrenato, il turismo eccessivo, la carenza dei servizi igienico-sanitari, la mobilità limitata.

Negli ultimi mesi ci siamo fatti più consapevoli dei punti di forza e dei limiti delle nostre città. Abbiamo ridato valore alla strada, allo spazio pubblico, a parchi e giardini, e riconosciamo la nostra dipendenza dalle infrastrutture tecnologiche nonché da uomini e donne, spesso non sufficientemente apprezzati, che fanno funzionare i nostri sistemi di trasporto, di forniture e di servizi igienico-sanitari. Per troppe persone, tuttavia, la città non è né un rifugio né un luogo di opportunità. A seguito delle conseguenze incoerenti di gentrificazione e spopolamento, di costo degli immobili e carenza di alloggi, il potenziale della città quale contesto fisico positiva viene minato. Quando abbandoniamo l’idea della città come bene comune, allora viene meno anche l’idea stessa di città. La città non va vista né come un riflesso passivo della nostra situazione, né come un deposito e una memoria del nostro passato, ma come una guida per il nostro futuro condiviso. Dev’essere utilizzata e costruita in modo da rispettare e promuovere le nostre idee di comunità e diversità di fronte alla disuguaglianza, in modo che dimostri un approccio intelligente e flessibile alle sfide della costruzione e del funzionamento di fronte alla crisi climatica. Inoltre, dobbiamo vedere le città come parte del più ampio contesto territoriale da cui attingono, consapevoli del loro impatto sul territorio e sulle vite che le circondano, a livello locale e globale.

Come in tutte le questioni che coinvolgono la progettazione, la città è frutto di una negoziazione tra piano visivo, sostanziale e sociale. Non dobbiamo abbandonare le nostre idee sull’aspetto e la natura della città, poiché su di esse si fondano le nostre speranze di stabilità e di qualità della vita quotidiana. Tuttavia, possiamo vedere che, allo stato attuale, queste speranze non sono soddisfatte. Dobbiamo quindi confrontarci con le forze che hanno eroso l’idea di urbanità: il valore dei terreni in continuo rialzo e le speculazioni di un’economia troppo permissiva, la mancanza di alloggi sovvenzionati e l’esclusione dei gruppi sociali più svantaggiati, il dominio del commercio e del turismo e l’indebolimento dei sistemi di amministrazione e direzione della pianificazione. Solo affrontando questi problemi possiamo creare città che promuovano la ricchezza della convivenza e aspirino alle qualità reali dell’urbanità.

Immagine di apertura: Thomas Struth, naberežnaja Reki Fontanki, St. Petersburg 2005. Stampa a getto d’inchiostro, 41,9x58cm

Speciale Guest Editor

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