Jean Nouvel: “L’architettura e la (in)giustizia del tempo”

Nell’editoriale Domus 1066, il guest editor Jean Nouvel descrive le architetture come esseri viventi di cui prendersi cura nel tempo, valorizzandole e integrandole nello spazio urbano. 

L’architettura dura nel tempo. Accompagna il tempo. Nella sua genesi, si immagina reale. Attende, spesso per molto tempo, in un limbo. Oppure segue il filo di misteriose, disperse anticipazioni che si depositano su certe pagine. Poi, talvolta, l’architettura si concretizza, prende forma, si stabilisce e inizia essa stessa a porre domande.

Quando, infine, diventa reale è in grado di accogliere, proteggere, esistere e, da subito, riesce a resistere ai perpetui attacchi del tempo. Cerca allora di farsi amica di questo compagno inseparabile, che può anche mettersi ad accarezzare, patinare, lucidare, appendere muschi e tralci, e perfino svelare la tessitura dei suoi muri e dei suoi tetti. Grazie alla comprensione del tempo, l’architettura diventa familiare, appartiene alla strada, ai passanti e contemporaneamente alla città e al paesaggio. La sua ragione di vita è però, più spesso, interiore: è abitata, racchiude, esibisce i suoi assiti, i suoi soffitti, le sue scale, le sue logge o i suoi terrazzi e, attraverso le finestre, le sue imposte, diventa teatro di inquadrature, luci, ombre, alberi.

Dante Bini, la Cupola, Costa Paradiso, Sardegna, 1970. Foto Volker Sattel
Dante Bini, la Cupola, Costa Paradiso, Sardegna, 1970. Foto Volker Sattel

È una spettatrice, un belvedere. Moltiplica gli scorci sui dintorni e perfino sul cielo. Gli interni sono spesso riservati a vedute intime, a chi le ama e si delizia nella sua stanza, nel suo salotto rivestito di legni o di tendaggi colorati, sotto i quadri e i disegni. L’architettura decide che cosa mostrare e che cosa nascondere. È esclusiva, unica e complice dei cambiamenti provocati dal tempo e dai desideri della vita. 

I nostri beni culturali devono essere curati da terapeuti, psicologi, chirurghi funzionali ed estetici.

Le architetture, come gli esseri viventi, sono troppo spesso irresponsabilmente abbandonate, dimenticate o sfruttate. Perché un’architettura duri negli anni bisogna poterla conservare viva, per permetterle di adattarsi alle situazioni del momento. I nostri beni culturali devono essere curati da terapeuti, psicologi, chirurghi funzionali ed estetici. Il tempo propone soluzioni di riconversione, di restauro, di trasformazione inventiva. Le epoche possono rivelarsi l’una sull’altra. Il trauma delle espressioni e delle tecniche può essere un’invenzione architettonica totale. La creatività architettonica del XXI secolo suscita spesso più emozione quando si prende cura di ciò che le sta accanto, quando lo sposa, quando gioca con generazioni differenti per rigenerarle meglio.

Domus 1066 marzo 2022
Domus 1066 marzo 2022

Il carattere di una città si afferma attraverso le interferenze. Con l’esibizione di architetture disprezzate, diventa patetico. Lo sviluppo urbano oggi deve integrare ogni tipo di recupero e di riabilitazione del patrimonio edilizio, considerando che quest’ultimo è spesso il punto di partenza di nuove situazioni urbane dimenticate. 

Una volta di più, lo sviluppo urbano umanistico è ciò che prima di tutto suscita queste sovrapposizioni, queste invenzioni, assicurando che nessuna sia disprezzata. Si realizzerà così la dimensione metafisica che permetterà di valutare il peso emotivo di queste architetture e il loro potere di fascinazione.

Immagine in apertura: GGeorges Adilon, Lycée Sainte Marie, Lione, Francia, 1976. Foto Roberto Conte

Speciale Guest Editor

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