Dalle vendite in realtà aumentata agli oggetti virtuali: una nuova dimensione del design

Con il lockdown, la virata verso il digitale ha subito un’accelerazione. Il retail offre già esperienze sempre più immersive e la creazione di prodotti esclusivamente digitali. Una tendenza che si rafforzerà e ci porterà a vivere in una dimensione meno sociale e più virtuale, a fine pandemia?

Vivere tra digitale e reale senza soluzione di continuità non è ormai più appannaggio delle generazioni più giovani. È una prassi che stiamo sperimentando tutti in questo periodo di domesticità forzata che ci spinge a cercare in Rete soluzioni e oggetti che non possiamo più soddisfare alla vecchia maniera, con gli strumenti tradizionali. Già prima del Covid-19 si stimava che toccassimo il nostro cellulare in media 200 volte al giorno, un dato sicuramente in grande ascesa. Oggi è ancora più innegabile che agiamo in una realtà aumentata, in cui le percezioni della dimensione fisica si mischiano agli output dal mondo digitale. È su questa dimensione ibrida che punta Il settore del retail, che potenzia l’esperienza attraverso il digitale sia con dispositivi interattivi a compendio dello shopping, sia ipotizzando merci esclusivamente digitali quali collezioni moda virtuali e ideando nuove forme di comunicazione visiva in grado di far esperire in maniera sinestesica le sensazioni legate a un prodotto. Il digitale non viene approcciato da una prospettiva meramente tecnica, quanto dal punto di vista dei bisogni e delle aspettative delle persone. Questo fenomeno, evidenziato dall’agenzia di previsioni trend WGSN come “artigianato digitale”, sarà una delle tendenze per il 2021, già in crescita nel 2020 con l’installazione in scala globale della tecnologia 5G.

The Fabricant, Hong Kong pop-up store, still image

L’esperienza virtuale diviene catalizzatrice di una maggiore espressione personale, di una connessione emotiva con i prodotti, creando per gli utenti uno spazio per sognare. Su questo assunto si basa il lavoro della casa di moda esclusivamente digitale The Fabricant, che collabora con marchi quali Tommy Hilfiger, Puma, Adidas, Under Armour e Napapijri. È specializzata nella progettazione e nell’animazione di foto realistiche in 3D, un lavoro tra moda e tecnologia con un portato etico – “l’abbigliamento non deve essere fisico per esistere”, raccontano. “Riteniamo che il settore della moda esclusivamente digitale aprirà nuove strade creative oltre i limiti del mondo fisico, promuovendo al contempo la sostenibilità e riducendo drasticamente gli impatti ambientali dell’attuale paradigma della moda”. Del resto, se gli influencer abitano gli spazi del digitale – e alcuni sono addirittura virtuali, pensiamo all’avatar Lil Miquela che conta quasi due milioni di follower su Instagram – perché non costruire una collezione di moda da poter indossare sui social media senza produrla fisicamente? “I giovani”, continua The Fabricant, “hanno una comprensione istintiva dello spazio digitale e della sua capacità di consentire l’espressione di sé. Attraverso il nostro abbigliamento digitale, torniamo al cuore di ciò che la moda deve essere: un’arena giocosa per esplorare ed esprimere identità e individualità”. Lo studio è stato coinvolto anche nella realizzazione di un film per lanciare il denim Cradle-to-Cradle di Soorty, un grande fornitore mondiale del tessuto, testimoniando quanto il settore sia alla ricerca di nuove forme di comunicazione. Ed essendo un film interamente prodotto in digitale, non ha emesso le quantità di CO2 delle tradizionali riprese cinematografiche, sottolineando la missione di sostenibilità dell’azienda.

Già prima del Covid-19 si stimava che toccassimo il nostro cellulare in media 200 volte al giorno, un dato sicuramente in grande ascesa. Oggi è ancora più innegabile che agiamo in una realtà aumentata, in cui le percezioni della dimensione fisica si mischiano agli output dal mondo digitale

Il retailer scandinavo Carlings, già dalla fine del 2018, ha lanciato collezioni moda solamente digitali. L’idea è creare degli outfit per i social media a partire dalle foto inviate dai clienti, i quali scelgono tra una selezione di capi a disposizione. Si accede poi al camerino virtuale dove, caricando la propria foto, si può visualizzare il risultato finale come di fronte a uno specchio. A ordine completato, i designer del marchio procedono all’ottimizzazione della foto. Alla domanda sul perché spendere dei soldi per qualcosa che non si indossa nella vita reale, il team risponde che l’online è il posto dove la maggior parte della gente ha più visibilità e dove condurre un’esistenza con molteplici identità, per le quali è necessario trovare uno stile. Quindi, di fatto, c’è una lacuna nel mercato.

Carlings, Digital collection

L’iniziativa di Carlings risponde non solo alla fioritura del fenomeno degli influencer digitali, ma anche alla sempre più presente ‘ludicizzazione’ dell’esperienza d’acquisto, in cui la parte interattiva diventa uno degli aspetti distintivi. A tal proposito, i grandi magazzini Harrods di Londra hanno recentemente installato degli “specchi magici” nel nuovo reparto di beauty: dispositivi che impiegano l’intelligenza artificiale (YouCam di Perfect Corp) per mappare le caratteristiche del viso, generando dei rendering live. I clienti possono applicare prodotti come rossetti, fondotinta o fard senza bisogno di testarli fisicamente e provare nuovi look sia da soli, sia con un truccatore professionista. Come afferma Annalise Fard, direttrice della sezione beauty di Harrods: "Il mondo della bellezza ha visto più cambiamenti negli ultimi cinque anni rispetto ai precedenti 50. Stiamo entrando in un’era di vera espressione di sé e celebrazione dell’identità. In un ambiente inequivocabilmente Harrods, offriamo un’esperienza di marchio completamente immersiva: un parco giochi per scoprire i nuovi prodotti di bellezza e una piattaforma per la creazione di contenuti coinvolgenti e imperdibili per i nostri clienti”. Ecco quindi un altro aspetto cruciale del retail contemporaneo: la creazione di contenuti condivisibili. In questo senso si legge anche il pop-up store itinerante Armani Box, che lo scorso autunno ha portato a Milano un’esperienza immersiva nell’estetica, nei profumi e nei colori della linea beauty di Armani, con postazioni per il trucco, display interattivi sui prodotti e, in uno spazio che simulava una “cabina di regia”, la possibilità di realizzare video da pubblicare e condividere online.

L’idea è creare degli outfit per i social media a partire dalle foto inviate dai clienti, i quali scelgono tra una selezione di capi a disposizione. Si accede poi al camerino virtuale dove, caricando la propria foto, si può visualizzare il risultato finale come di fronte a uno specchio

Reale e digitale sono sempre più compresenti nei grandi magazzini del mondo.
Recentemente l’artista inglese Lucy Hardcastle ha realizzato un’animazione video per 12 maxi schermi, installata nel centro commerciale Xintiandi Plaza di Shanghai. Raffigura la trasformazione di un materiale tra fluidità ed espansione, con un movimento ritmato e rilassante che rimanda all’idea di femminile, senza il consueto riferimento alla sensualità. Per la Bentley EXP 100 GT e Chanel N° 5, Hardcastle ha rappresentato l’identità del prodotto, esplorandone concetti invisibili attraverso immagini in movimento. Questo ricorrere a forme di sinestesia, così come il sempre più frequente uso dell’“Extended reality”, dove lo spazio reale si combina con ambienti virtuali generati dalla tecnologia, sono frontiere alle quali il mondo del lusso sembra non essere indifferente, in quanto modalità per comprendere i linguaggi del loro prossimo target: la generazione Z.

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