Regionalismo e globalità

Quello degli Eames in Gran Bretagna non è tanto e solo un ritorno a 15 anni dall’ultima mostra. È una possibilità di ripensare all’attenzione con cui la cultura architettonica britannica ha osservato, commentato e fatto propria l’opera dei due designer americani.

The World of Charles and Ray Eames
Nel rivisitare la moltitudine di dimensioni che compongono “Il mondo degli Eames”, la mostra curata da Catherine Ince alla Barbican Art Gallery di Londra permette di collocare il lavoro dei due designer americani tra due categorie che, per usare termini ormai usati e abusati, si potrebbero definire regionalismo e globalità.
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Top: Study for a Glider Nose, 1943, Barbican Art Gallery, London. Above: le copertine della rivista Arts & Architecture progettate da Ray Eames, Barbican Art Gallery, London. Photos © Tristan Fewings/ Getty Images
Il regionalismo è inteso come dimensione trasversale del lavoro degli Eames, una costante diacronica brillantemente riassunta da Reyner Banham nel 1971 come “Lo stile che quasi…”. È la costruzione di uno stile di vita, di una rappresentazione dell’uomo nello spazio che si presentava originale e carica di “californità”, e si costruiva a cavallo della metà del secolo scorso attraverso il contributo delle arti in senso lato – architettura, musica, product design, arti figurative. La California diventava il riferimento per una generazione, e le pratiche artistiche la elevavano a mito, a terra promessa.   
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Mobili in faggio curvato, Barbican Art Gallery, London. Photo © Tristan Fewings/ Getty Images
La globalità, nel lavoro di Charles e Ray, appare invece come la registrazione di un processo storico, che si sviluppa nel tempo. L’opera degli Eames cattura il farsi di un mondo globale attraverso fasi che fanno da preludio all’oggi. Si inizia con il design al servizio delle pratiche di guerra: nel 1942-43 gli Eames testano le possibilità offerte dal legno compensato, realizzando prototipi di alianti per l’aviazione americana e producendo migliaia di attrezzi da soccorso per la marina. Questi primi esperimenti faranno da preludio alla progettazione di una vasta serie di sedie – dapprima in metallo e compensato e, successivamente, in fibra di vetro – che segneranno in maniera indelebile il paesaggio domestico del design. Oggetti in attesa di un salto di scala, che avverrà puntualmente nel 1949 con il progetto e la rapida realizzazione della propria abitazione fronte oceano a Pacific Palisades.
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“The World of Charles and Ray Eames”, Barbican Art Gallery, London. Photo © Tristan Fewings / Getty Images
Una fase successiva del lavoro di Charles e Ray si definisce intorno al confronto con la divisione ideologica del mondo in due blocchi, catturato perfettamente nella sua più totale retorica nel film Glimpes of the U.S.A., collage di alcune migliaia di foto perfettamente orchestrato da Charles e Ray come propaganda dello spirito americano, e proiettato alla American National Exhibition di Mosca nel 1959. Un bombardamento di immagini attraverso il quale si arriva, infine, all’emergere della dittatura delle grandi corporation dell’informazione su scala globale, che promettevano nuovo ordine all’interno di una crescente ridondanza d’informazione.
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Ricostruzione in scala del modello realizzato da Eames Office per il progetto dell'Ovoid Theater per il padiglione IBM Pavilion, alla World’s Fair di new York, 1964-65, Barbican Art Gallery, London. Photo © Tristan Fewings / Getty Images
In un certo senso, si traccia così una parabola che trasforma ed eleva la ricerca di una fusione di arts and crafts del primo modernismo in una sintesi totale di scienza e arte, trovando nella produzione cinematografica degli Eames la più efficace rappresentazione. Powers of Ten, film di vastissima diffusione all’interno del sistema scolastico americano, appare oggi come impressionante anticipazione dell’esperienza multiscalare della realtà offerta da Google Earth. Il film Think, presentato all’interno del padiglione IBM durante l’Esposizione Mondiale di New York nel 1964, perfezionava il tentativo di catturare un mondo sull’orlo di un’overdose d’informazione, promuovendo le capacità salvifiche del computer.
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Ricostruzione della model room progettata da Charles e Ray Eames per la mostra “For Modern Living” nel 1949, Barbican Art Gallery, London. Photo © Tristan Fewings/ Getty Images
Quello degli Eames in Gran Bretagna non è tanto e solo un ritorno dopo quindici anni dall’ultima mostra. Piuttosto, è una possibilità di ripensare all’attenzione con cui la cultura architettonica britannica del secondo novecento ha osservato, commentato, e fatto propria l’opera dei due designer americani.
Nel 1966 Peter Smithson riassumeva così il modo con cui gli Eames, sul finire degli anni Quarante, impressero per sempre una nuova direzione alla cultura del progetto: “alcune sedie e una casa”. Pochi anni dopo, a conclusione del proprio elogio alle ecologie urbane di Los Angeles, Reyner Banham portava il lettore proprio in quella casa, costruita in poco meno di un anno tra gli eucalipti a Pacific Palisades e parte del programma Case Study Houses, lanciato dalla rivista californiana Arts and Architecture nel 1945.
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“The World of Charles and Ray Eames”, Barbican Art Gallery, London. Photo © Tristan Fewings / Getty Images
È proprio nella diaspora personale del critico inglese – e della cultura progettuale che si portò con sé – dall’Inghilterra alla costa ovest degli Stati Uniti, che si consumò l’incontro tra due culture progettuali in forte contrasto. Un contrasto reso tanto più esplicito da Banham attraverso l’ufficializzazione di due “stili” di cui uno – il nuovo brutalismo – pienamente realizzato, e l’altro rimasto allo stato potenziale: “Lo Stile che quasi…”
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Prototipo della Revell Toy House, 1959 (dettaglio), Barbican Art Gallery, London. Photo © Tristan Fewings/ Getty Images
Da un lato vi era un’Inghilterra che tentava di inventarsi una nuova vita post-Movimento Moderno attraverso la “riscoperta della strada” e la sofferta convivenza con la dittatura dell’automobile. Una vita che si costruiva sempre più di cemento a vista e di cui il Barbican, con le sue “strade nell’aria” – retorica promessa di una nuova dimensione “umana” per la città – rimane il più imponente lascito.
In opposizione a un mondo di cemento, colato per rimarginare le ferite della guerra nel centro di Londra, Los Angeles prometteva la possibilità di uno stile di vita altro, impresso in una forma urbana che portava all’estremo il superamento, e quindi la reinvenzione, dell’idea di una dimensione umana per la metropoli.
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G.E.M slide show, Barbican Art Gallery, London. © Tristan Fewings / Getty Images
L’aspetto chiave diventava la totale progettabilità di questo stile di vita – dall’oggetto al soggetto. La sua immagine era fissata nella foto di Charles e Ray intrappolati dalla struttura metallica delle loro sedie, ma ancor di più in quelle che li ritraggono nella loro casa, rifugio all’uscita di un’autostrada di Los Angeles, compensazione per un’urbanità perduta ricercata nell’overdose di design che confonde gli autori tra i loro stessi prodotti. Prodotti oggi sovrapposti sulle strade nell’aria del Barbican a rinnovare, nelle parole di Alison Smithson, “un messaggio di speranza da un altro pianeta.”
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