Another one bites the dust

Settecento chilometri in automobile tra le province di Eastern e Western Cape offrono lo spunto per un minuzioso e ispirato racconto visivo del paesaggio sudafricano, sulle orme di Reyner Banham.

Dove e come ci siamo fatti l'idea che il deserto fosse soltanto un mare di sabbia? John Van Dyke, professore di storia dell'arte, non potè fare a meno di porsi questa domanda, dopo aver passato tre anni nel deserto del Mojave, a cavallo tra Ottocento e Novecento. Dopo questa esperienza, Van Dyke ha pubblicato The Desert: Further studies in Natural Appearances, un testo che diventerà, con Travels in Arabia Deserta di Charles M. Doughty, una potente fonte d'ispirazione per le scorribande di Reyner Banham nei deserti americani. Il fascino di Scenes in America Deserta, il libro che il teorico dell'architettura pubblicò nel 1982, sta nella paziente ricerca della sorgente più pura dei meccanismi percettivi, in particolare della vista. Il deserto è interessante per Banham in quanto regno della luce nella sua forma estrema ed è proprio la raffinata capacità di descriverla il motivo per cui lo storico inglese si infatua del testo di Van Dyke e, di conseguenza, dei deserti nordamericani.

Siamo ancora capaci di pura visione, liberi da categorie filosofiche (come la triade pittoresco-sublime-bello) e da immagini di consumo che ci rendono familiari luoghi lontani? Una condizione che sembra indispensabile, leggendo Scenes in America Deserta, è quella della totale estraneità della cultura di formazione dell'osservatore (nel suo caso la cultura protestante anglosassone e, più in generale, la filosofia occidentale) rispetto a quella che permea i luoghi attraversati (le tradizioni dei nativi americani). Immagini patinate per riviste, film western, volantini pubblicitari, progetti manifesto di architetti d'indole messianica, diventano un'ossessione da cui liberarsi e finiscono puntualmente per "sabotarlo" nel suo intento.
In apertura: Addo Elephant National Park. Qui sopra: Cradock, centro di raccolta di un sistema agricolo lineare di un centinaio di chilometri. Il principale edificio religioso della cittadina, la Chiesa protestante riformata olandese, si rifà a St.Martin-in-the-Fields di Londra
In apertura: Addo Elephant National Park. Qui sopra: Cradock, centro di raccolta di un sistema agricolo lineare di un centinaio di chilometri. Il principale edificio religioso della cittadina, la Chiesa protestante riformata olandese, si rifà a St.Martin-in-the-Fields di Londra
Certo, è quasi impossibile attraversare con sguardo vergine deserti come il Mojave, icone come la Desert Valley e la Monument Valley, frammenti malconci di utopie come Taliesin West e Arcosanti. Banham non si perde d'animo e fa del pragmatismo e dell'ostinata ricerca d'indizi il suo metodo di esplorazione e di racconto. E sono proprio le pause, gli spostamenti tra mete note o luoghi inaspettati dai nomi alieni come Zzyzx, che gli regalano – e regalano al lettore – i passaggi più significativi. La narrazione spazia da descrizioni puntigliose di edifici, altrove insignificanti, a momenti di empatia quasi estatica con le grandi distese e di aforismi apparentemente paradossali ("I deserti hanno bisogno dell'uomo più di quanto l'uomo abbia bisogno del deserto"). A trent'anni dalla pubblicazione di Scenes in America Deserta, ha ancora senso tentare di raccontare un'esperienza che parta da simili presupposti?
La cima della Valley of Desolation, il punto più spettacolare del Camdeboo National Park
La cima della Valley of Desolation, il punto più spettacolare del Camdeboo National Park
Un recente viaggio di 700 km in automobile, in un territorio a cavallo tra le province di Eastern e Western Cape in Sudafrica, ha offerto un interessante banco di prova. Non Cape Town, non Johannesburg, non le sterminate townships o le miniere che fanno del Paese uno degli emergenti membri dei CARBS, i Paesi meglio forniti di materie prime fossili. Alcuni racconti letti in precedenza, i Racconti Africani di Doris Lessing, o romanzi di Nadine Gordimer, come Il Conservatore, le storie ambientate nel vlei, nel veld, hanno in qualche modo costruito più una sfocata aspettativa che un repertorio di immagini precostituite. Il punto di partenza è l'Addo Elephant National Park (149 metri sul livello del mare), che concede le ultime rassicuranti inquadrature di un'Africa da documentario, muoversi verso Nord, per arrivare, alla fine del viaggio, al denso biancore enigmatico dello Swartberg Pass (1.583 metri sul livello del mare). Sembra che non ci siano molte alternative, qui ci si sposta a piedi o, chi può, in automobile. Autobus e treni compaiono ogni tanto senza preavviso all'orizzonte e li si guarda con lo stesso stupore con cui si guarderebbe un gruppo di zebre attraversare la strada: un saltuario fenomeno naturale, non un affidabile e frequente servizio pubblico. La qualità delle strade, asfaltate o sterrate, è mediamente buona e fa sì che l'automobile diventi un'estensione del corpo. Paradossalmente, in molte riserve naturali – come Addo – è proibito camminare, o semplicemente stare in piedi all'aperto, se non in punti prescritti. Pena multe pecuniarie o, in casi molto remoti ma possibili, la vita (alcuni animali che si aggirano nelle riserve possono essere piuttosto pericolosi). I paesaggi e la fauna sono così filtrati attraverso uno schermo, sia esso un finestrino o il mirino della macchina fotografica. A volte però la tentazione è irresistibile, si deve scendere.
A trent'anni dalla pubblicazione di Scenes in America Deserta, ha ancora senso tentare di raccontare un'esperienza che parta dai medesimi presupposti?
Il Mountain Zebra National Park, istituito per preservare gli ultimi esemplari della zebra di montagna del Capo (equus zebra zebra)
Il Mountain Zebra National Park, istituito per preservare gli ultimi esemplari della zebra di montagna del Capo (equus zebra zebra)
Da Addo in poi, carichiamo a bordo quelli che saranno inseparabili compagni di viaggio, fango e polvere. Un velo sottile sui vestiti e sul parabrezza, uno strato via via crescente sui parafanghi. Dopo aver percorso la R342 fino a Paterson, imbocchiamo la strada nazionale N10, in direzione Nord. Le fitte distese di cespugli voluminosi, che formano una sorta di enorme paraocchi vegetale, vanno via via rarefacendosi salendo al passo dell'Olifantskop. Al di là del passo, attraversata Cookhouse, seguiamo il Great Fish River, un cuneo umido che scorre in fondo alla valle, piantato in un sistema di colline brulle. Lungo il fiume e fin dove c'è sufficiente acqua, le coltivazioni e gli allevamenti si susseguono, come in trincea, fino a Cradock, centro di raccolta di un sistema agricolo lineare di un centinaio di chilometri. Qui, al mercato convergono i prodotti di tutta la valle: lana (mohair in particolare), carne, latticini, frutta e alfalfa. Non si sa con quanta consapevole ironia, il principale edificio religioso della cittadina, la Chiesa protestante riformata olandese, si rifà a St.Martin-in-the-Fields di Londra. La palette dei colori degli intonaci è sorprendentemente varia: colori caldi sulle essenziali case di muratura e lamiera di Lingelihle, quartiere popolare costruito dallo Stato, verdi ed azzurri sovraccarichi per gli edifici porticati del centro, bianco accecante per la quinta di edifici su Stockenstroom street, mentre sembra un po' fuori posto il grigio della pietra della chiesa protestante. Così come molte altre cittadine del Karoo, Cradock sembra il risultato di una meiosi urbana: due agglomerati di estensione equivalente, un quartiere di edilizia sociale economica pianificato (o insediamento informale di baracche in alternativa) abitato in prevalenza da meticci e persone di colore da un lato, la cittadina di fondazione inglese o boera dall'altro.
Vista su Umasizahke, sulla diga e il lago artificiale
Vista su Umasizahke, sulla diga e il lago artificiale
Lasciata Cradock lungo la R61 in direzione Ovest, dopo una decina di chilometri imbocchiamo la strada sterrata che porta al Mountain Zebra National Park, istituito per preservare gli ultimi esemplari della zebra di montagna del Capo (equus zebra zebra). Questa si differenzia dalle altre zebre in particolare per il mantello dai toni bruni. Il parco si estende in gran parte su un morbido altopiano spazzato dal vento; rispetto ad Addo, frequentato da un buon numero di visitatori, qui non c'è nessuno. La vegetazione è bassa, cespugli sparsi o secche distese d'erba permettono allo sguardo di spaziare sulle pianure e montagne del Bankberg circostanti. Un incessante e ipnotico alternarsi di ruvidezza e morbidezza: è questo il veld allora? Nuovamente verso Ovest, la R61 attraversa un passaggio di dimensioni colossali tra due montagne iconiche (una delle quali è il Salpeterkop, fra le testimonianze più evidenti dell'intensa attività vulcanica che ha modellato quest'area), che segna l'ingresso nella porzione più estesa del Karoo, quella semi-arida del Great Karoo. La sagoma appuntita del Kompasberg (letteralmente la montagna bussola) sembra indicare il punto in cui svoltare verso Sud, sulla N9, verso il Naudeburg pass spazzato dal vento e, più in là, Graaff-Reinet. La crudezza degli intonaci bianchi dei palazzi storici, le corti e strade punteggiate da piante e fiori dai colori carichi, la rendono per contrasto un'oasi cromaticamente satura sullo sfondo di un paesaggio brullo. In modo ancor più eclatante rispetto a Cradock, la cellula definita della città storica, con la sua sagoma quasi perfettamente circolare abbracciata dall'ansa del Sundays River, qui sembra essersi non solo scissa, ma improvvisamente esplosa e aver generato i nuovi quartieri a Nord ed Est. Questo s'intuisce arrivando da Nord in automobile e diventa evidente quando si raggiunge la cima della Valley of Desolation, il punto più spettacolare del Camdeboo National Park. Ai piedi di questo sorprendente microcosmo, disegnato da piante e formazioni geologiche, si aprono viste sulla diga e il lago artificiale, su Umasizahke e Graaff-Reinet, sui rilievi totemici e le distese punteggiate di cespugli. Su tutto, il canto premonitore degli uccelli della pioggia (Centropus burchelli), calura e luce stordenti. Misurare con lo sguardo queste terre è un'operazione che sembra esigere tempi lunghi, contemplazione. Non un'operazione neutra, bensì fortemente influenzata da quella che F.L. Wright, in un altro continente, definì come una "strana, severa, armata, estensione di terra astratta": armata sì, a volte di armi violente, stordenti, e più spesso di lente, quasi impercettibili insidie.
Vista su Graaff-Reinet
Vista su Graaff-Reinet
Astratta è proprio la definizione che meglio si addice all'attraversata del Karoo tra Graaff-Reinet e Beaufort West, lungo la R61. La sfiancante monotonia del paesaggio, la mitologia legata alla strada e alla natura spingono ad evasioni verso memorie di immagini familiari, dai cliches dei deserti americani a sequenze di film western. Passata Aberdeen, un fatto inatteso riporta improvvisamente l'attenzione a questa strada: un uomo cammina sotto il sole battente, avvolto in un maglione di lana, declamando non si sa quale litania. "Il deserto è là dove si trova Dio e dove non si trova l'uomo": è un proclama che molti hanno scandito negli anni, parafrasando Victor Hugo. Slogan molto parziale e tendenzioso, come Doughty prima e Banham poi hanno testimoniato: il deserto è il luogo delle possibilità, "barriera scaltra e lusinghiera, ostruttivo più che proibitivo", dove fondare nuovi modelli sociali, credenze, fedi. Meglio sarebbe dire, allora, dove si trovano uomini, che cercano Dio. E se proprio non si trovano risposte esistenziali, capita almeno di trovare un'occasione di sosta, di ristoro. Questo e poco altro offre Beaufort West, a mezza via sulla famigerata N1 da Cape Town a Johannesburg. Il poco altro è un museo di cimeli di Christiaan Barnard, primo chirurgo a praticare il trapianto di cuore, cresciuto in questa cittadina. I macchinari d'epoca custoditi sotto teche vetrate, dopo ore di guida, sabbia e cespugli, fanno lo stesso effetto delle navicelle aliene dei b-movies di fantascienza del secolo scorso.
Valley of Desolation, nel Camdeboo National Park
Valley of Desolation, nel Camdeboo National Park
La N1 è una delle strade più pericolose del Sudafrica, essendo molto trafficata, essenzialmente dritta per centinaia di chilometri e piena di dossi e cunette con scarsa visibilità, che non dissuadono però molti guidatori, spesso stanchi dopo ore di guida, dal compiere sorpassi azzardati. Con un certo sollievo, imbocchiamo la R353 verso Sud, in direzione di Prince Albert. S'iniziano a intravedere la catena dello Swartberg sullo sfondo e, lungo la strada, i primi frutteti dopo centinaia di chilometri di sabbia, sassi e cespugli. Diversamente da Cradock e Graaff-Reinet, la cittadina si sviluppa in lunghezza, attorno alla strada principale posta sull'asse nord-sud, mentre ha in comune con queste l'essere centro di raccolta e vendita di prodotti agricoli e di allevamento, in particolare del famoso agnello del Karoo. Arrivando da Nord s'incontra un quartiere di edilizia economica popolare ai piedi di una scritta in stile hollywoodiano tracciata su una collina, seguito dal nucleo più antico, composto da case in stile coloniale olandese, coperte da tetti in canne impacchettate o lamiera. Se dopo aver letto la scritta sulla collina poteva esserci qualche sospetto riguardo l'eccentricità degli abitanti, dopo qualche il sospetto diventa certezza: anche grazie al clima particolarmente salubre, Prince Albert è diventata una sorta di buen retiro di persone in età matura, in gran parte dai trascorsi hippie, appassionate di giardinaggio e proprietarie di b&b.
Il monotono paesaggio semi-arido del Great Karoo
Il monotono paesaggio semi-arido del Great Karoo
A pochi chilometri da Prince Albert, imbocchiamo il primo tratto della strada sterrata che porta allo Swartberg pass. Drammatico, teatrale, segna una brusca interruzione con il monotono paesaggio del Great Karoo: una gola fra pareti di arenaria rossa, i cui piani di scistosità sono decisamente contorti, un ruscello d'acqua gorgogliante, alberi e piante grasse. La strada, realizzata a fine Ottocento, è un capolavoro d'ingegneria e perseveranza: i muri a secco, alti fino a 13 metri, permettono di risalire con relativa facilità i canaloni. Il vento si fa sempre più forte, la temperatura cala rapidamente, nuvole via via più dense coprono il sole, fino a formare una coltre spessa sulla cima del passo. Dopo giorni di esposizione continua ad una luce cruda, aggressiva, a tratti quasi minacciosa, una sensazione di familiarità e rilassatezza pervade i sensi. A causa della piattezza del territorio, e delle perfette condizioni atmosferiche, si era fatta spazio nel modo di esperire i paesaggi una certa abitudine a intravedere con largo anticipo luoghi che si sarebbero attraversati da lì a qualche ora. È liberatorio, talvolta, non vedere il proprio futuro.
Prince Albert, cittadina ai piedi dello Swartberg Pass, è diventata una sorta di <i>buen retiro</i> di persone in età matura, in gran parte con trascorsi da hippie
Prince Albert, cittadina ai piedi dello Swartberg Pass, è diventata una sorta di buen retiro di persone in età matura, in gran parte con trascorsi da hippie
Lo Swartberg Pass, 1583 metri sul livello del mare
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Lo Swartberg Pass avvolto nella nebbia
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