Cosa è, o dovrebbe essere, oggi il cuore pulsante di una biblioteca?

L’invasione del digitale in tanti scomparti della nostra vita ha generato un ripensamento di questa tipologia di edificio pubblico, che ha prodotto nuove formule di condivisione democratica della conoscenza. Tutte da verificare

MVRDV, Tianjin Binhai Library, Tianjin, Cina, 2017

Quanto sia oggi difficile concepire un edificio pubblico, e in particolar modo una biblioteca, e quanto siano diversi i punti di vista degli architetti su questo tema è chiaro. Basta paragonare visivamente gli edifici di biblioteche illustrati su queste pagine. Per essere considerato pubblico è più importante l’aura, l’unicità, lo spettacolo che l’edificio offre al suo pubblico e alla città, oppure la rappresentazione del fatto di essere un luogo per tutti, indipendentemente da questioni di razza, reddito o età? Nel primo caso, si può parlare di biblioteca-monumento, nel secondo di biblioteca-luogo.

Chiediamoci anche quale sia il ruolo che la presenza dei libri svolge nella nostra vita, pubblica e privata. Tante le case di amici completamente nude, prive di carta. Scomparse – quasi del tutto e dappertutto – le librerie (per me questo costituisce un grande dispiacere). La ricerca dei titoli e degli argomenti che ci possono interessare avviene quasi soltanto online.

Le biblioteche e le università sono i soli luoghi rimasti dove è possibile vedere, toccare e sfogliare i libri, che vengono vieppiù percepiti – soprattutto dai giovani – come residui di una forma di conoscenza in via di progressiva sparizione: inefficiente, costosa e ingombrante. Per questo, le biblioteche, anche quando modernissime e tecnologiche, rischiano comunque di apparire come edifici superati, antichi, ciò che oggi sopravvive di un mondo che non può più essere considerato davvero attuale.

Le biblioteche e le università sono i soli luoghi rimasti dove è possibile vedere, toccare e sfogliare i libri, che vengono vieppiù percepiti – soprattutto dai giovani – come residui di una forma di conoscenza in via di progressiva sparizione.

Gli architetti che negli ultimi anni hanno avuto la fortuna di disegnare e costruire delle biblioteche, da un lato enfatizzano la loro spazialità antica, equiparandole forse inconsapevolmente a templi, teatri, stazioni ferroviarie, hangar industriali. Dall’altro, gli architetti sfruttano al meglio la bellezza magnetica dei libri stessi: chilometri e chilometri di scaffalature piene di fragili fogli di carta rilegati insieme, ben allineati a formare vere e proprie scenografie della vastità e dell’eterogeneità del sapere umano, che diventano pattern decorativi pieni di colori e formati diversi. Il contrasto che si sprigiona tra la grandezza degli spazi e la piccolezza dei libri è quantomeno suggestivo.

Molti architetti – si direbbe – si sono ispirati alle monumentali fotografie ad altissima risoluzione di Andreas Gursky o di Candida Hoefer. Le biblioteche provocano più di quanto non lo facessero vent’anni fa, l’immaginazione onirica e sensuale di tanti professonisti. La velleitaria e barocca biblioteca-monumento concepita da MVRDV a Tianjin in Cina racconta i temi della vertigine e dell’infinito. Invece, la biblioteca urbana e razionale realizzata da Kaan ad Aalst, in Belgio, rende ben visibili le idee di ordine e di archivio.

C’è molta vaghezza programmatica su che cosa sia – o debba essere – oggi il cuore pulsante di un edificio pubblico-biblioteca. Al posto dei libri, ci sono i server. La stessa indeterminatezza programmatica affligge, tra l’altro, l’edificio pubblico-museo, oppure lo spazio pubblico-parco. Molte biblioteche ambiscono a diventare luoghi generalisti dove poter andare a fare cose, tra loro accomunate da un uso intelligente del tempo libero. Leggere, guardare e ascoltare sono tre forme di apprendimento tipiche da biblioteca contemporanea, e ognuna pare avere la meglio sullo studiare.

Molte grandi biblioteche oggi emulano dei paesaggi naturali: pochi muri, molta flessibilità funzionale, abbondanti vetrate, un’acustica assai evoluta.

Gli spazi della nuova biblioteca di Helsinki che aprirà tra poco – progetto d’architettura di ALA e d’ingegneria di Arup – sono grandi open-space, mega-salotti dove starsene tranquilli e comodi, circondati dalle tante curve sinuose che ci ricordano l’architettura elegante e corporate di Eero Saarinen, architetto finlandese-americano. Questa è una biblioteca-luogo, ma anche una biblioteca-lounge. Al piano terra: un cinema, uno spazio multifunzionale e un ristorante. Al piano intermedio: gli studioli, una mediateca, le saune, i workshop, i living lab. All’ultimo piano, tra gli scaffali di libri sparsi ovunque: un’area bambini, un caffè, varie zone di silenzio, un’oasi e molte balconate. La sezione longitudinale ricorda un’elaborazione tardiva della Staatsbibliothek zu Berlin di Hans Scharoun; è organica, fatta a cascata, democratica e informale. Le facciate rammentano invece l’iconografia dello scafo di una nave.

Molte grandi biblioteche oggi emulano dei paesaggi naturali: pochi muri, molta flessibilità funzionale, abbondanti vetrate, un’acustica assai evoluta. Le grandi biblioteche (una sarebbe dovuta essere la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura a Milano, progetto di Bolles + Wilson) sono monumenti della contemporaneità, ma non possiedono la forza mediatica degli stadi, dei musei, degli aeroporti, delle torri, perché vengono comunque vissute come luoghi funzionali. In Europa e negli Stati Uniti d’America, alle biblioteche viene prevalentemente demandato di tradurre in forma fisica le idee prevalenti di una società che è politically correct e di una conoscenza che vuol essere aperta a tutti, senza gerarchie e divisioni, democratica e anti-dogmatica.

Ma sono soprattutto le piccole biblioteche – quelle che stanno nelle periferie, nei quartieri, negli hotel, nelle associazioni, nelle scuole, nei musei – quelle capaci di rappresentare al meglio l’idea di una condivisione davvero democratica della conoscenza. Architettonicamente, le piccole biblioteche non possono certo competere con la grandeur delle grandi istituzioni che si trovano nelle capitali, ma socialmente possono essere almeno altrettanto efficaci, in quanto luoghi d’incontro e di attività: possono andarci sia i ricchi che i poveri, sia i bambini che gli anziani, sia i colti che gli ignoranti, sia quelli che sanno soltanto scrivere a mano sia quelli che non sanno più farlo.

Ma anche qui, nella miriade di piccole biblioteche sparse nel territorio, il cuore pulsante non sembrano essere più i libri di carta. Alcuni anni fa portai tanti vecchi libri (ottimi titoli!) in regalo a una biblioteca in periferia di Milano, ma mi fu chiesto per favore di non lasciarglieli, non sapevano davvero cosa farsene.

All’attuale Biennale Architettura di Venezia, nel Padiglione della Finlandia, c’è una piccola mostra dedicata alle biblioteche; l’introduzione suggerisce quali obiettivi una biblioteca nell’era della digitalizzazione dovrebbe porsi: “Un tempo la biblioteca pubblica era percepita come simbolo delle aspirazioni sociali più progressiste; oggi invece assume la forma di un terreno comune esente da logiche commerciali, un luogo in cui coltivare la libertà intellettuale e creativa, uno spazio libero per imparare, creare e condividere, un ‘monumento popolare’ aperto a tutti e gratuito”. Che si debba cercare di concepire un monumento popolare dal nome Biblioteca mi pare una sfida davvero affascinante. La medesima sfida – il tentativo di neutralizzare il confronto tra cultura alta e cultura popolare – fu affrontata 40 anni fa dal Centre Pompidou a Parigi, e la questione è ovviamente ancora aperta.

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