Correre nel verde, vestiti di rosso (con un tocco di blu), nella capitale russa

Dalla matrice novecentesca, sovietica e razionale di Mosca emergono nuove politiche e azioni architettoniche per una città a scala umana. O, forse, postumana.

Zaryadye Park, Mosca. Courtesy Diller Scofidio + Renfro. Foto Iwan Baan

[Mikhail Gorbaciov (al centro) corre nel rosso vestito di rosso con molta nostalgia del verde]

E sopra, un grande rettangolo rosso. Osservato oggi, il quadro di Emilio Isgrò che campeggia nella sala riunioni di Land appare come un manifesto dalle incredibili capacità premonitive: non solo della traiettoria dello studio fondato nel 1990 da Andreas Kipar e Giovanni Sala, ma anche dello scenario futuro di Mosca. La citazione del Quadrato rosso di Malevicˇ , che insieme al più celebre Quadrato nero sintetizzava quasi un secolo fa le fondamenta del Novecento russo, interagisce in maniera giocosa ma profondamente concettuale con l’ironica addizione narrativa. Così, se nella geometria suprematista sono riassunti i codici del pensiero che hanno orientato a lungo lo sviluppo della città sovietica, nelle caricaturali parole in corsa emerge un desiderio complementare di natura che inconsapevolmente anticipa il presente di una metropoli che oggi riunisce 17 milioni di abitanti.

La nuova corsa di Mosca prende l’avvio nel 2012, quando il quarantenne Sergey Kuznetsov, chiamato dal sindaco Sergey Sobyanin a dirigere l’ufficio centrale di architettura, imposta la sua azione sull’idea di città a scala umana. Accanto agli interventi di protagonisti della scena architettonica internazionale, la post-pianificazione di Mosca comprende interventi di bio-aggiornamento ordinari nella tipologia, ma non nelle proporzioni: tra questi il programma One Million Trees, che ha avuto inizio nel 2013, quando sono stati piantati 3.000 nuovi alberi e 25.000 arbusti nei cortili della zona. Da allora, il panorama cittadino è stato arricchito di oltre 100.000 alberi e 2 milioni di arbusti.

In parallelo agli interventi pubblici, si attivano le iniziative private, che cavalcano con impeto l’ormai compiuta trasformazione della capitale in un centro contemporaneo con uno stile di vita peculiare, grazie alla tecnologia digitale più avanzata. Dopo aver vinto nel 2014 il concorso per il nuovo parco Khodynka (insieme a Mario Cucinella Architects, Thomas Schonauer e Leftloft), Land sta infatti sviluppando per Sberbank quella che forse può essere definita “la più grande città giardino del mondo”: un impressionante master plan di 450 ettari su un’area periurbana a ovest della città. Il progetto vuole creare un “fluid landscape”: un paesaggio articolato attorno a tre raggi verdi che si dipartono dall’ansa della Moscova, rastremandosi verso il centro di un’area della capitale a forte densità urbana e scandendo differenti zone funzionali. Questa nuova “politica della natura”, ricorda Kipar, non rincorre il mito degli spazi sconfinati, come nel più classico sogno di frontiera, e neppure della disponibilità infinita di risorse naturali. “La sua granulometria”, precisa, “funziona fino a quando l’estensione del paesaggio naturale non assume dimensioni preponderanti rispetto alla verticalità del costruito, non facendoci più percepire all’interno di un ambiente urbano”.

Il masterplan del parco Khodynka di LAND. Courtesy dello studio LAND
Il masterplan del parco Khodynka di LAND. Courtesy dello studio LAND

Principi simili guidano Diller Scofidio + Renfro (con Hargreaves Associates e Citymakers) nel progetto del Zaryadye Park: il primo parco urbano di grandi dimensioni (14 ettari) realizzato a Mosca negli ultimi cinquant’anni. Inaugurato a fine 2017 dopo quattro anni di lavori, il parco è situato su un’area lungo la Moscova nei pressi della Cattedrale di San Basilio, della Piazza Rossa e del Cremlino. La sua spettacolare promenade panoramica a V, che si dirama dal centro volando a sbalzo sopra il fiume, è rapidamente diventata il nuovo logo architetturale di Mosca, affermandosi nella semiosfera globale del marketing urbano.

Il progetto intreccia paesaggio vegetale ed elementi costruiti – tra cui cinque padiglioni, due anfiteatri e una sala filarmonica –, dando vita a un “urbanismo selvaggio” che introduce un’inedita attenzione ai desideri istintivi e individuali. Simili modalità non riguardano, nel progetto di Diller Scofidio, solo i grandi elementi del paesaggio, il rapporto del vuoto con il costruito, ma anche la granulometria minuta dei materiali, dei dettagli, dei colori, delle stratificazioni. Il sistema vibrante della pavimentazione unisce così la trama dura della pietra a quella soffice del prato, generando miscele di percorsi piuttosto che suddivisioni di bordi netti e taglienti, e incoraggiando ogni visitatore a perdersi liberamente nelle proprie traiettorie.

L’intreccio tra architettura e natura nel nuovo paesaggio moscovita anima anche un recente intervento di Renzo Piano Building Workshop, raccontato diffusamente da Domus 1027 di settembre. Ricavato dalla trasformazione di una centrale elettrica dei primi del Novecento, il GES-2 è uno spazio per la cultura contemporanea che ribalta i canoni tradizionali sia del contenuto sia del contenitore. Così, l’area verde di 2 ettari che circonda l’edificio si estende anche al suo interno, introducendo una piccola foresta di betulle tra installazioni concettuali e arti performative. La stessa macchina espositiva assume una nuova forma di energia, invertendo la natura architettonica della costruzione originaria. Le quattro ciminiere in mattoni vengono infatti sostituite da altrettanti camini d’acciaio, in grado di catturare l’aria pulita a 70 metri di altitudine e di attivare la ventilazione naturale del complesso, riducendo il consumo energetico.

Mentre sta per chiudere il cantiere di RPBW, è ai suoi primi passi il progetto di Zaha Hadid Architects, nel giugno di quest’anno vincitore del concorso indetto dalla Sberbank per il nuovo Technopark al Centro di Innovazione Skolkovo, la Silicon Valley di Mosca. Dedicato alla ricerca in campo informatico, biomedico, energetico, nucleare e spaziale, anche questo progetto fonde architettura e paesaggio. Se Renzo Piano procedeva smontando e rimontando come un meccano parti dell’edificio esistente, lo studio di Londra, come da suo DNA, porta all’estremo le possibilità plastiche della forma e della tecnologia, alla ricerca delle qualità complesse che accomunano organismi naturali e costruiti. Da un lato, dunque, il paesaggio esterno si addensa attorno a spazi pubblici punteggiati da percorsi e frammenti che paiono scaglie fuoriuscite dal corpo principale. Dall’altro, quest’ultimo, simile a un enorme cristallo, è sostenuto anche da giganteschi pilastri in cemento bianco che all’interno si diramano a tutta altezza come coralli, coinvolgendo scienziati e visitatori in un ambiente immersivo degno di Avatar. Iniziata nel rosso e proseguita nel verde, la corsa di Mosca può così tuffarsi anche nel blu del suo nuovo oceano, naturalmente dopo aver succhiato un po’ di azzurro con le sue scintillanti cannucce riciclabili.

Courtesy Zaha Hadid Architects
Courtesy Zaha Hadid Architects

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