Se l’aeroporto diventa il cuore della città

Gli aeroporti stanno emergendo sempre più come nuovi hub in grado di ridefinire l'economia, la mobilità e la struttura delle metropoli del XXI secolo. Ne ha parlato Walter Mariotti, direttore editoriale di Domus, nel numero di dicembre di Domus Air.

Nel XVIII secolo furono i porti marittimi a dettare la geografia delle metropoli. Nel XIX le ferrovie disegnarono nuove mappe urbane. Il XX secolo appartenne alle autostrade. Ora, secondo una visione sempre più diffusa tra urbanisti e progettisti infrastrutturali, il XXI secolo potrebbe essere dominato dagli aeroporti. Non si tratta di costruire scali più grandi o efficienti. La rivoluzione in atto riguarda il modo stesso di concepire il rapporto tra aeroporto e città: dall’infrastruttura periferica, necessaria ma ingombrante, relegata ai margini del tessuto urbano, l’aeroporto si candida a diventare il nucleo generatore di nuove forme metropolitane. È il modello dell’“aerotropoli”, città-aeroporto in cui lo scalo non è più un terminale di transito ma il motore economico, sociale e culturale di un intero ecosistema urbano. Si stima che entro il 2040 transiteranno negli aeroporti mondiali circa 19 miliardi di passeggeri annui, con una crescita media del 5%.

DomusAir, dicembre 2025

Parallelamente, la flotta aerea commerciale globale si espanderà di un terzo entro il 2030. Sono numeri che impongono una riflessione: come possono le città metabolizzare questa crescita esponenziale della mobilità aerea? La risposta proposta dai teorici dell’aerotropoli è radicale: invece di adattare marginalmente le infrastrutture esistenti, bisogna ripensare l’intera struttura urbana ponendo l’aeroporto al centro. Il modello teorizzato dall’urbanista John Kasarda prevede aeroporti trasformati in destinazioni a sé stanti, non più semplici luoghi di passaggio ma poli attrattori capaci di aggregare attività commerciali, direzionali, fieristiche, ricettive e persino residenziali. L’idea è quella di creare cluster economici che gravitano attorno allo scalo: dalle catene alberghiere ai centri congressi, dagli uffici delle multinazionali ai distretti logistici. Esempi concreti stanno già prendendo forma. L’aeroporto Al Maktoum di Dubai, con una capacità prevista di 260 milioni di passeggeri, si configura non come un terminale ma come un’intera città futuristica con spazi commerciali, hotel, oasi verdi e servizi digitali integrati.

Walter Mariotti

Berlino ha trasformato l’ex aeroporto di Tegel nel più grande progetto di riqualificazione urbana d’Europa, convertendolo in un complesso tecnologico e residenziale. Aeroporti italiani come Roma Fiumicino stanno evolvendo verso il modello dello smart hub, dotandosi di vertiporti per la mobilità aerea urbana e integrando tecnologie avanzate per il controllo del traffico aereo. Questa visione, tuttavia, non è priva di contraddizioni profonde. Il sociologo Richard Sennett ha parlato di “città stordente” riferendosi alle aerotropoli: luoghi dove non c’è niente che si possa imparare camminando per strada, spazi omologati che riproducono gli stessi negozi, la stessa architettura funzionale, senza alcuna espressione legata alla storia del territorio. Il rischio è quello di creare non-luoghi globali che cancellano le specificità locali. Le criticità sono anche di ordine sociale e ambientale. Il caso dell’aeroporto di Firenze è emblematico: l’occupazione della zona centrale della Piana con lo scalo e le sue pertinenze rischia di saturare l’ultimo polmone verde della città, alterando equilibri urbanistici già fragili e trasformando i comuni limitrofi in periferie degradate subordinate alla logica monoculturale dell’aeroporto.

È il modello dell’“aerotropoli”, città-aeroporto in cui lo scalo non è più un terminale di transito ma il motore economico, sociale e culturale di un intero ecosistema urbano.

Inoltre, il modello aerotropoli presuppone un livello di accessibilità e connessione che molte città, soprattutto quelle minori, faticano a garantire. Senza investimenti coordinati in mobilità sostenibile, l’aeroporto rischia di diventare un generatore di congestione anziché un catalizzatore di sviluppo. Il vero nodo riguarda la capacità di governare questa trasformazione senza sacrificare la qualità della vita urbana. L’aeroporto può essere motore di sviluppo economico, ma non può sostituire il centro storico come luogo identitario della comunità. Può generare occupazione e attrarre investimenti, ma non deve diventare una macchina speculativa che erode il tessuto sociale e ambientale delle città. La sfida è trovare un equilibrio tra efficienza infrastrutturale e vivibilità, tra connessione globale e radicamento locale. Solo così potranno davvero diventare il cuore pulsante delle metropoli del XXI secolo, senza trasformarle in distese uniformi di asfalto e cemento dove l’unico paesaggio possibile è quello del duty-free.

Immagine di apertura: Aeroporto di Mumbai

DomusAir

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