Autoritratto ed ego: la risposta del design alla Biennale di Architettura

Uno dei principali eventi collaterali alla 17ma Biennale di Architettura, la Venice Design Biennial, riflette sul tema dell’autoritratto attraverso il lavoro di oltre trenta art designer internazionali.

In una Biennale dominata dall’incapacità di offrire risposte immediate e pragmaticamente efficaci alla domanda “How will we live together?” (“Come vivremo insieme?”), la Venice Design Biennial si smarca con “Design as Self-Portrait”, titolo della mostra in cui la tematica dell’autoritratto è l’elemento cardine che ci restituisce una serie di trasposizioni più psicologiche che urgentemente fisiche di oltre trenta designer e artisti provenienti da tutto il globo.

Arrivati al culmine di un decennio che con la rivoluzione della fotocamera interna in dotazione ai cellulari introdotta dall'Apple iPhone 4 nel 2010, la proiezione dell'ego negli spazi dell'etere ha assunto i caratteri di una quotidiana curatela di noi stessi. Ne segue dunque la necessità di riconsiderare il concetto di selfportrait come una pratica che si espande oltre il solo mezzo del realismo pittorico o fotografico, piuttosto come un costante lavoro di design sull'ego.

Giunta alla sua terza edizione, la Venice Design Biennial 2021 curata da Francesca Giubilei e Luca Berta assieme a Martina Gamboni si sviluppa attraverso le isole veneziane in un percorso espositivo che coinvolge, fino al 27 giugno, gli spazi dello SPARC – Spazio Arte Contemporanea, dello SPUMA – Space for the Arts, del Museo Archeologico Nazionale, dell’Oratorio dei Crociferi e di Palazzo Treves. La marcata territorialità dell’evento serve, infatti, a instaurare un dialogo proficuo e ancorato nella dimensione del reale tra i designer emergenti veneziani e quelli internazionali.

Il dittico "Fading Reflection" di Tadeas Podracky è cardine nell'espletare la riflessione alla base della Venice Design Biennial. Foto Tomas Brabec
Il dittico "Fading Reflection" di Tadeas Podracky è cardine nell'espletare la riflessione alla base della Venice Design Biennial. Foto Tomas Brabec

Nelle opere esposte i designer si aprono a riflessioni sulla propria intimità attraverso lavori che possono al tempo stesso essere fruite universalmente oltre la dimensione personale del loro creatore. Ne sono esempi le urne funerarie della Memory Object Series di Eva Moosbrugger che ripropongono nelle texture delle superfici in vetro la tattilità degli elementi naturali quali la sabbia e le rocce. Ancora, la sedia di Potent, Grace di Anna Aagaard Jensen che, concepita per un uso esclusivamente femminile, riflette sull'inclinazione maschile al manspreading (ovvero alla pratica di sedere, tanto sui mezzi pubblici quanto nei talk show televisivi, a gambe divaricate) invitando di conseguenza le donne a fare altrettanto per instaurare un dialogo paritario sul gender che coinvolge anche la fisicità e lo spazio. 

La stanza dedicata alle creazioni di Elisa Ossino per Officine Saffi e Arte 9 Milano riattualizza l'enigma dell'estrazione metafisica di De Chirico calandola in un contesto domestico tra sinuose superfici monocrome e l'impiego di materiali grezzi vicini al gusto brutalista. Analogamente, Arik Levy propone due librerie in marmo di Carrara e marmo verde del Guatemala che, nel loro piglio brutalista, sembrano suggerire una riflessione sulla condizione brutale dell’animo umano quando rapportato all’altezza del contenuto dei testi che le librerie sono atte ad accogliere. 

Le due librerie in marmo verde del Guatemala e marmo di Carrara realizzate da Arik Levy accolgono i visitatori negli spazi dello SPUMA – Space for the Arts. Foto: Federico Floriani
Le due librerie in marmo verde del Guatemala e marmo di Carrara realizzate da Arik Levy accolgono i visitatori negli spazi dello SPUMA – Space for the Arts. Foto: Federico Floriani.

Attraverso gli spazi intimi della VDB – che si pongono in netto contrasto con gli ariosi padiglioni dei Giardini della Biennale – la ricerca di risposte inerenti la definizione della nostra identità è avviene in uno scambio di prospettiva tra l’artista e lo spettatore. Non stupisce, infatti, che diversi siano gli specchi in esposizione che riflettono e distorgono, come Rondo di Oskar Zieta e il dittico Fading Reflection di Tadeas Podracky capace di armonizzare la tradizione veneziana con una sensibilità contemporanea quasi a cavallo tra l’estetica digitale del cottagecore e del creepycore.

La Venice Design Biennial sembra lasciarci, nella sua capacità di stabilire un ponte tra realtà e virtualità, tra forme della psiche e forme concrete, tra tradizione e innovazioni tecniche, – inavvertitamente o, forse, intenzionalmente – con una risposta più concreta al “How will we live together?” posta dal curatore della Biennale Hashim Sarkis.

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