Drawing ambience

Drawing Ambience offre un’eccellente collezione di spunti su cosa è stata la scuola dell’AA negli anni di Alvin Boyarsky. Chiedendosi come e fino a che punto il disegno possa vivere indipendentemente dal progetto. O se, invece, debba essere meramente al suo servizio.

Drawing Ambience

 

“We fight the battle with the drawings on the walls”. (“Combattiamo con i disegni appesi alle pareti”). Così Alvin Boyarsky sintetizzava la sua strategia alla guida dell’Architectural Association, la scuola nel centro di Londra di cui fu chairman dal 1971 al 1990, anno in cui morì. L’Architectural Association, meglio nota con l’acronimo AA, è stata negli anni Settanta un laboratorio fondamentale per l’architettura dei decenni successivi, e la regia di Boyarsky è stata decisiva in questo senso.

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Igor Marjanovic, Jan Howard, Drawing ambience: Alvin Boyarsky and the Architectural Association, The University of Chicago Press, Chicago 2015
Quando Boyarsky fu chiamato come chairman da un comitato di studenti e docenti (vincendo una gara serrata contro lo storico Kenneth Frampton), la scuola stava per chiudere a fronte di un bilancio in perdita drammatica. La crisi culturale del modernismo, la crisi economica e il taglio dei sussidi agli studenti da parte dell’allora ministro all’istruzione Margaret Thatcher (l’AA è una istituzione privata) sembravano indicare la necessaria fine del periodo “inglese” dell’AA. In questo periodo “inglese” va inclusa forse anche la moda Archigram consacrata nei primi anni Sessanta proprio nella scuola grazie al fatto che i membri del gruppo vi avevano studiato e vi insegnavano.
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Zaha Hadid alla inaugurazione della sua mostra "Planetary Architecture Two" alla AA, 1983
Boyarsky aveva in effetti un profilo globale e una biografia erratica: nato nel 1928 in Canada, con un curriculum tra Canada, Stati Uniti e Inghilterra; tra didattica e professione; tra architettura e urbanistica (la sua tesi di dottorato a Cornell era su Camillo Sitte, relatore Colin Rowe). Per salvare la situazione attraendo nuovi studenti dall’estero, Boyarsky estremizzò da subito la tradizione di avanguardia che l’AA aveva acquisito dagli anni Trenta, quando divenne la testa di ponte in Inghilterra del modernismo di marca Bauhaus in fuga dal nazismo. Neolaureati della scuola stessa e giovani architetti spesso stranieri e con curriculum più o meno eterodossi vennero arruolati come docenti da Boyarsky per perseguire questa strategia. Ogni docente era titolare di un corso di progettazione annuale i cui risultati erano esposti a luglio in una mostra collettiva che Boyarsky trasformò in un rito sociale e culturale allargato ben oltre i confini della scuola.
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Lo studente della AA Robert Mull alla revisione dei lavori nella classe di Nigel Coates, 1983
A ogni inizio anno i docenti dovevano poi convincere gli studenti a frequentare il proprio corso. Raccogliere pochi studenti significava che con ogni probabilità il contratto non sarebbe stato rinnovato. In questo contesto i disegni prodotti l’anno precedente diventavano uno strumento di persuasione fondamentale. Come conseguenza all’AA si disegnava tantissimo, e principalmente i disegni hanno fatto dell’AA il centro irradiatore di una rivisitazione delle avanguardie moderniste e del grande ritorno dell’architettura al centro del dibattito pubblico e dell’attenzione mediatica dagli anni ottanta in poi. Un incompleto elenco di nomi di docenti e studenti dell’AA negli anni Settanta e primi Ottanta può fornire la portata dell’influenza che la scuola ha avuto in questo fenomeno: Rem Koolhaas, Bernard Tschumi, Zaha Hadid, Daniel Libeskind, Nigel Coates, David Chipperfield, Peter Wilson, Ron Arad.
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Igor Marjanovic, Jan Howard, Drawing ambience: Alvin Boyarsky and the Architectural Association, The University of Chicago Press, Chicago 2015

Nel corso degli anni da “impresario” dell’AA, come lo definì il membro di Archigram Peter Cook nel necrologio che gli scrisse, Boyarsky ha raccolto una collezione personale di disegni di architettura, quasi tutti di autori che a vario titolo avevano partecipato alla vita della scuola, e che può essere quindi considerata come una sorta di “potrait of the architect as a chairman”.

Ora una mostra itinerante a cura di Igor Marjanovic e Jan Howard ha appena illustrato questa collezione in diverse sedi universitarie e museali statunitensi. Il catalogo unisce in una straordinaria sintesi le suggestioni che hanno influenzato l’AA negli anni Settanta con i risultati di queste suggestioni negli anni Ottanta. Nella prima parte, un approfondito saggio di Igor Marjanovic (autore di una tesi di dottorato alla Bartlett su Boyarsky) offre un racconto sfaccettato del ruolo di Boyarsky all’AA, esplorando sia la sua azione istituzionale, centrata sul sistema delle unit annuali di progettazione, sia la sua regia culturale.

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Igor Marjanovic, Jan Howard, Drawing ambience: Alvin Boyarsky and the Architectural Association, The University of Chicago Press, Chicago 2015
La seconda parte è il catalogo in ordine alfabetico per autore di trenta disegni della collezione, accompagnati da schede che hanno una puntualità filologica e una ricchezza interpretativa da catalogo d’arte. La collezione comprende un nucleo tematicamente centrale di lavori di docenti dell’AA, da Rem Koolhaas con i disegni del primo periodo di OMA (realizzati tra gli altri con Stefano de Martino ed Elia e Zoe Zenghelis), a Zaha Hadid, a Daniel Libeskind, a Bernard Tschumi, fino a Peter Wilson, tra gli altri. Ci sono poi gli architetti che hanno influenzato dall’esterno la vita della scuola: da Superstudio, a Coop Himmelb(l)au, John Hejduk, Peter Eisenman; così come ci sono anche disegni che paiono più legati a una ricerca personale di Boyarsky collezionista. Tra questi Alexander Brodsky e IIlya Utkin, protagonisti della paper architecture sovietica e poi russa, Eduardo Paolozzi, Shin Takamatsu, Lebbeus Woods.
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Igor Marjanovic, Jan Howard, Drawing ambience: Alvin Boyarsky and the Architectural Association, The University of Chicago Press, Chicago 2015
Ogni disegno è analizzato nella serie di rapporti e influenze che implica a monte e a valle della propria realizzazione. Nel loro complesso i disegni non  vanno formare un racconto unitario, cosa che peraltro gli autori non si prefiggono di fare. Il catalogo offre infatti un’eccellente collezione di spunti su cosa la scuola dell’AA è stata negli anni di Boyarsky, e in particolare nel primo decennio della sua direzione. Pensando alle biografie dei protagonisti della scuola, ne emerge una serie di domande ancora adesso aperte. Circoscrivendo il tema al disegno di architettura – si tratta dopotutto di un catalogo di disegni – la domanda è forse ancora più pervasiva: come e fino a che punto il disegno possa vivere indipendentemente dal progetto, o come e se, invece, debba essere meramente al suo servizio. Il fatto che tutti i disegni della collezione siano stati prodotti prima del dilagare della rappresentazione tramite software rende la questione ancora più interessante.
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