Adjaye Africa
Architecture, David Adjaye, Thames & Hudson, London 2011 (pp. 576, 7 volumes)
Modern Architecture
in Africa, Antoni Folkers, SUN, Amsterdam 2010 (pp. 256)
L'artista Jean Katambayi Mukendi disturbato dai continui blackout della
sua città Lubumbashi, un giorno ha cominciato a registrarli. Con cura, li ha
annotati in un quaderno e, dopo diverse settimane, ha constatato la diretta
correlazione tra i blackout e l'andamento del governo. Lubumbashi è una città
di un milione e mezzo di abitanti che si trova all'interno della Repubblica
Democratica del Congo, a oltre 2.000 km dalla capitale Kinshasa. Come fare,
da così lontano, a capire cosa sta succedendo e a sentirsi parte del sistema?
Il problema di come addentrarsi sembra accomunare l'artista di Lubumbashi, che si è messo ad auscultare la presa elettrica, e gli autori di due libri
sull'architettura in Africa: David Adjaye e Antoni Folkers. Come fare a
rappresentare edifici e città che non galleggiano in mezzo al mare su
un'isola a forma di Africa, ma che dicono molto sulla nostra comune
contemporaneità?
David Adjaye si è armato di macchina fotografica viaggiando in tutte le 53
capitali del continente, mentre Antoni Folkers in Africa ci si è trasferito per
25 anni per lavorare come architetto e urbanista. I risultati sono decisamente
diversi, ma la centralità e la responsabilità assunta dai loro autori in un
mondo dominato da raccolte di saggi arcobaleno fanno di questi due volumi
delle voci forti sulla conoscenza dell'architettura e dello sviluppo urbano del
continente africano.
È difficile non partire da un pregiudizio (del tutto positivo) nei loro confronti.
David Adjaye è un architetto sempre più noto e sempre più apprezzato a
livello internazionale sia per i suoi edifici pubblici e privati, sia per il suo
coinvolgimento nell'arte e nel design. Il libro è strettamente correlato a
quella sua stessa esperienza di fotografo e osservatore esposta al Museo del
Design di Londra nel 2010 e diventata poi itinerante.
Africa, oltre i luoghi comuni
Attraverso lo sguardo e la voce di due architetti europei, David Adjaye e Antoni Folkers, due libri che offrono un incontro ravvicinato con l'architettura e lo sviluppo urbano del continente nero.
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- Iolanda Pensa
- 14 gennaio 2012
Il cofanetto di sette volumi di David Adjaye dal titolo Adjaye Africa Architecture è una sistematica raccolta di fotografie organizzate per città e pubblicate in una serie di volumi dedicati ciascuno a una diversa zona climatica (Maghreb, deserto, Sahel, foresta, savana e prateria, montagne e highveld). L'abbondanza degli oltre 3.500 scatti è intervallata da brevi introduzioni e da qualche commento disseminato nel testo. In effetti, questa massa d'immagini di edifici civili, zone commerciali e residenziali sembra chiedere al lettore di fare quello che lo stesso Adjaye ha fatto: guardare. Non è così semplice. Il cofanetto è un invito patinato a sfogliare la carta ruvida e opaca dei volumi, a soffermarsi e a decodificare forme, ritmi e assonanze di colori, paesaggi, vegetazione e sabbia.
Modern Architecture in Africa è un libro denso d'informazioni, fonti e
riferimenti bibliografici e ha una struttura razionale suddivisa nelle
discipline architettoniche: pianificazione urbana, tecniche costruttive,
fisica delle costruzioni e restauro (urban design, building technology, building
physics e conservation). Con grande cura, lo studio e l'esperienza personale si
trasformano in uno strano manuale che, mentre parla di architettura, parla
di politica e non disdegna le valutazioni taglienti.
In effetti, c'è una serie di problemi che tendono ad accomunare i libri
sull'architettura in Africa. Quali informazioni dare per scontato? La parola
Africa nel titolo e tante cartine geografiche concorrono a chiarire di cosa
stiamo parlando, ma risolto il problema delle coordinate c'è da fornire
un background storico, politico e climatico e poi c'è da confrontarsi con
malintesi e pregiudizi, colpe e responsabilità, prima e dopo. Danzando tra
macro e micro scala David Adjaye e Antoni Folkers riescono a superare
le dicotomie e a tessere un collegamento con le realtà urbane africane
attraverso il loro sguardo e le loro esperienze; mentre, a partire dal quaderno
con annotati i blackout di Lubumbashi, l'artista Jean Katambayi Mukendi ha
cominciato a produrre elettrodomestici di cartone. Iolanda Pensa