di Ettore Bellotti
Autobiografia di un'artista della moda
Elsa Schiaparelli
Prefazione di Natalia Aspesi
Alet Edizioni, Padova 2008 (pp. 285, € 17,00)
La moda, così come la fotografia,
ha sempre incontrato difficoltà
a essere considerata arte a tutti gli
effetti. È un argomento ricorrente di
cui ancor oggi si dibatte, anche se,
visto il panorama attuale dell'arte,
con molto meno interesse. Pierre
Restany, in un vecchio numero di
Domus del 1985, scriveva: "L'arte è
come la moda, obbedisce alla stessa
cultura del 'modello', del progetto
inteso come oggetto in sé. Il modello
dell'arte è il modello della moda: le
motivazioni e le condizioni di elaborazione
dell'oggetto-progetto sono
le stesse". A supporto della sua
tesi citava Basquiat, Saint Laurent,
Keith Haring, Cartier, David Salle,
Schnabel. Ma, a voler semplificare e
a dissipare ogni dubbio, basta nominare
Elsa Schiaparelli. La sua vita e
la sua opera sono la testimonianza
che la moda può essere arte vera,
assoluta.
Per Poiret, che la precede di
qualche decennio, la moda è ancora
decorazione. Per Schiaparelli l'abito
è come un manufatto artistico, una
tela o una scultura. L'haute couture
di Elsa Schiaparelli si nutre e dialoga
con l'arte. È del 1936 un tailleur con
tasche applicate che simulano dei
cassetti ispirato dalla celebre Venus
de Milo aux tiroirs di Dalí. È del 1930
il Mad Cap, un semplice ma geniale cilindro in
maglia che ogni signora poteva infilarsi in testa e
drappeggiare nelle forme più svariate. È del 1937
un cappotto pensato come una colonna sormontata
da un vaso di rose ricavato dal contrasto dei
profili di due volti disegnati da Cocteau. Ma tutto
quello che riguarda le collezioni di Schiaparelli è
straordinario. Le maglie con i disegni trompe-l'oeil,
i lunghi guanti da sera con le unghie in metallo
applicate, la collana di aspirine in porcellana disegnata
da Triolet. I cappelli surrealisti con il finto
profilo, i bottoni-scultura, gli abiti da sera tagliati
in alto come uova rotte, le sciarpe in cellophane,
la "glass cape" in "Rhodophane", le giacche in
crêpe de Chine doppiate in lattice, i cappotti chic
ispirati alla Commedia dell'Arte cuciti a patchwork
con feltro povero. E poi i ricami, vere "opere d'arte
moderna" (The New Yorker 1932), realizzati per lo
più dal grande Lesage, nelle fogge più sorprendenti
e con i materiali più insoliti.
Nel 1938 Elsa Schiaparelli convince Mae
West a prestare il suo prezioso busto, ricavato da
uno stampo in gesso, per il flacone del suo primo
profumo Shocking. Jean-Michel Franck disegna
una gabbia dorata che ne diventerà il packaging.
Dopo il 1919, l'anno in cui negli Stati Uniti hanno
conquistato il diritto al voto, le donne emergono
come nuova classe sociale. In Europa, dove gli
uomini sono in guerra, anche come nuova classe
lavoratrice. Schiaparelli pensando a queste nuove
donne crea una silhouette speciale. Una sorta di
corazza protettiva fatta di spalle ampie, squadrate,
e vita stretta. I cappelli sono alti, a turbante,
oppure bassi e avvolgenti come calotte calate
sulla fronte, con la punta minacciosa che arriva
al naso. Le scarpe sono imponenti, con pesanti
'platform' che condizionano l'andatura. Sono
donne simili ad amazzoni estremamente eleganti
o a macchine da guerra in marcia, molto colorate e
dotate di tanti accessori frivoli. Anche se apparentemente
scomoda questa moda si diffonde rapidamente
e si può dire che certi 'schiaparellismi',
ben più che la linea "a clessidra" di Dior, perdurano
ancor oggi nell'immaginario femminile. Piaceva
e piace ancora questa immagine di donne forti,
potenti, un po' ambigue, mascoline. Star del cinema
come Greta Garbo, Joan Crawford, Marlene
Dietrich, Katharine Hepburn diventano assidue
frequentatrici della boutique di Place Vendôme.
(Anche se non direttamente coinvolta l'influenza
di Schiaparelli è perfettamente visibile in un delizioso
film del 1939 di George Cukor, The Women,
con Rosalind Russell e Joan Fontaine).
Eppure, da piccola quando ancora viveva a
Roma, a Palazzo Corsini, nella cerchia della sua
colta famiglia, Elsa non sognava di diventare una
stilista. Piuttosto una scultrice. Vivere a Parigi e
diventare un'artista le sembrava una trasgressione
soddisfacente per il suo spirito ribelle. E
così partì, come partì poi da Parigi per New York.
Viaggiò in tutto il mondo prima di morire nel 1973
nella sua casa di Hammamet.
Ma la sua invidiabile vita, raccontata
appassionatamente in questo libro (lode al merito
all'editore Alet che l'ha pubblicato, e così bene!),
è la prova diretta che la creatività, in qualunque
forma si manifesti, si fonda necessariamente sulle
scelte che si fanno. E che si può fare della propria
vita un'opera d'arte. Certo essere a Parigi e negli
anni Venti e conoscere e collaborare con Marcel
Duchamp, Picabia, Dalí, Picasso, Raoul Dufy, Jean
Cocteau, Christian Bérard, Max Ernst, Man Ray,
Cecil Beaton, Richard Avedon, Horst, Hoyningen-
Huene, Irving Penn, è sicuramente un'esperienza
irripetibile. Ma i salotti, le frequentazioni, i viaggi,
i libri, di per sé, non sono sufficienti a garantire
il talento di una persona. Il gusto altissimo di
Schiaparelli si è formato attraverso la curiosità
e la comprensione di tutte queste cose, avendo
comunque una solida base culturale. (Anche quello
che può sembrare un capriccio nella moda, o
nell'arte, o nel design, trova un senso, a patto che
sia motivato culturalmente e non gratuito). Ma per fare abiti eleganti (l'eleganza è disciplina) occorre
essere eleganti nella propria testa, nei propri gesti.
Se questi sono volgari, o banali, lo saranno anche
gli abiti. Se il creatore non è colto la sua opera
sarà nella migliore delle ipotesi inutile o copiata o
banale. E in tutti i casi effimera, vivrà una suggestione
passeggera che non lascerà traccia.
Moda e arte
Autobiografia di un'artista della moda Elsa Schiaparelli Prefazione di Natalia Aspesi Alet Edizioni, Padova 2008 (pp. 285, € 17,00) Elsa Schiaparelli: la sua vita e la sua opera sono la testimonianza che la moda può essere arte vera, assoluta. Per Poiret, che la precede di qualche decennio, la moda è ancora decorazione. Per Schiaparelli l'abito è come un manufatto artistico, una tela o una scultura.
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- 02 aprile 2009