di Giuliano Tedesco
Massin, Laetitia Wolff, Phaidon, London 2007
(pp. 216, € 70,00)
L'etichetta "tipografia espressiva" non è dovuta a
Massin; ma come filone creativo, rimanda strettamente a
lui come forse a nessun altro.
All'estremo opposto del rigore della grafica e tipografia razionaliste di scuola svizzera c'è la vivacità calda di
un francese portato alla sperimentazione, guidato sempre
dall'obiettivo di farsi interprete fedele dei suoi soggetti, in
un'attività che copre sette decenni e prosegue tuttora.
Come saggista, Massin è famoso per La lettera e
l'immagine, un catalogo di alfabeti figurativi che diventa
influente studio del rapporto secolare tra cultura occidentale
e lettere stampate. Come tipografo, ha una concezione interventista,
che presuppone una piena sintonia con l'autore e
la convinzione di potersene fare interprete fedele; richiede
adesione convinta, non rispettosa neutralità. Progettare
tipograficamente una pièce teatrale signifi ca salvare, nello
spazio a due dimensioni della carta, il dinamismo che l'azione
drammatica ha in sala. Con La Cantatrice chauve,
Massin nel 1964 porta sulla carta stampata
le idee teatrali di tempo e spazio. Usa la superfi
cie del libro come spazio architettonico, allegoria
del palco su cui si muovono i personaggi
di Ionesco. Compone le immagini con il testo
ingrandito e rimpicciolito, inclinato, costretto
in gabbie che hanno forma di persone o oggetti.
Le lettere devono prendere vita per evocare i
movimenti degli attori sul palco.
È una rottura in campo grafico, ma anche
letterario: il lavoro di Massin mette in questione
il senso e gli strumenti della comunicazione. Ha
successo anche grazie alla piena corrispondenza
con la sensibilità dei drammaturghi suoi contemporanei,
con cui d'altronde il tipografo è in
quegli anni in contatto diretto e frequente.
Con autori di altre epoche, il lavoro di
Massin ha sempre il fi ne di "trascrivere interpretando":
ma la scelta, mai arbitraria, è dettata
da una storicizzazione e contestualizzazione di
ogni autore. Dal suo maestro Pierre Faucheux,
Massin ha imparato che "non esistono caratteri
brutti, ma solo tipografiche non sanno come
utilizzarli". E lui stesso ha chiarito la propria
concezione di un buon uso: "Mi è pesante, perfi
no sgradevole, leggere Rabelais composto
in caratteri Didot, o al contrario Victor Hugo
in Garamond; e allo stesso modo non userò le
stesse font per Proust e per Céline, Claudel e
Prevert, Balzac e Rimbaud".
Massin, che è stato definito uno scultore di
libri, inizia nel 1949 progettando le pubblicazioni
di alcuni club editoriali: conduce una ricerca
sui materiali e sullo spazio, spande i titoli verso
la quarta di copertina, usa pagine doppie e
dispiegabili, carta velina, juta; o magari seta
per Proust, velluto per Jeunes fi lles di Francis
Jammes, fi no alla carta da macellaio grezza e
irregolare che accoglie le illustrazioni commissionate
ad André François per l'Ubu roi.
L'uso creativo della tipografi a – che aveva
avuto tanti pionieri, dai poeti futuristi ai professionisti
della pubblicità – contribuisce al successo
di imprese come il Club du meilleur livre.
Responsabili per la diffusione di ingenti quantità di volumi nelle case francesi nel dopoguerra, i club, attenti
al lavoro di promozione e aiutati dalle economie di scala delle
grandi tirature, si pongono anche all'avanguardia nel design.
Animano un'epoca d'oro della progettazione grafi ca libraria.
Solo più tardi l'editoria francese mainstream, superati snobismi
ed esitazioni, si avventura sullo stesso terreno.
Da art director di Gallimard, dal 1952 al 1979, Massin
porta collane come la bianca Folio a far parte del paesaggio
culturale, in modo ormai incancellabile (e per la rivista
Eye, Massin è "l'uomo che sta su ogni scaffale di Francia").
Chiamato da Malraux, diventato ministro della Cultura di De
Gaulle, a rivedere la tipografi a di tutta la produzione editoriale
di stato, Massin prende a ideare un progetto visivo che
interessa tutto il patrimonio culturale francese. Stabilisce
linee-guida visive per cataloghi di mostre, ridisegna i biglietti
di ingresso al Louvre. Nel 1962, non riuscendo a seguire
contemporaneamente due progetti così ambiziosi, opta per
la sola Gallimard. Nei due casi, però, rivela una concezione
rivoluzionaria dell'identità di marca. Nel suo lavoro, Massin
ha mandato amplissimo e visione totale: ogni dettaglio di
un vasto arco di soluzioni visive risponde a una sensibilità
unitaria. Si trasforma l'idea stessa di direttore artistico, che
trova un vero ruolo nell'editoria.
Una simile cura minuziosa e coerenza di visione hanno
portato Laetitia Wolff a realizzare la prima
monografia su Massin di respiro internazionale
(scritta originariamente in francese, è pubblicata
in inglese), ricca di immagini spesso prese
dagli archivi personali del tipografo. Lavorando
in stretta collaborazione con Massin, Wolff, già
editor di Graphis e oggi di Surface, ha completato
un volume esauriente e appassionato che
è anche sviluppo della grande retrospettiva
massiniana da lei curata nel 2002 alla Cooper
Union.
Giuliano Tedesco Giornalista
La tipografia espressiva
Massin, Laetitia Wolff, Phaidon, London 2007 (pp. 216, € 70,00) L'etichetta "tipografia espressiva" non è dovuta a Massin; ma come filone creativo, rimanda strettamente a lui come forse a nessun altro. All'estremo opposto del rigore della grafica e tipografia razionaliste di scuola svizzera c'è la vivacità calda di un francese portato alla sperimentazione, guidato sempre dall'obiettivo di farsi interprete fedele dei suoi soggetti, in un'attività che copre sette decenni e prosegue tuttora.
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- 15 maggio 2008