Quando i ponti tremano

Progettato da Norman Foster e dagli ingegneri di Arup, chiuso poche ore dopo l’apertura, è il primo ponte costruito a Londra da cento anni. Deyan Sudjic racconta, nel numero di Domus 847 aprile 2002, perché non ha funzionato e l’intervento di sistemazione. #domus1000

Deyan Sudjic, Quando i ponti tremano. Foto Julian Anderson
L’uscita di #domus1000, in edicola a marzo, è l’occasione per riprendere dall’archivio alcuni pezzi significativi dei direttori che si sono alternati alla guida della rivista dal 1979 a oggi. Deyan Sudjic l’ha diretta dal 2000 al 2003.

 

Lo scorso mese, quando finalmente è stato riaperto questo ponte pedonale ormai famoso in tutto il mondo, ho rivisto quello che avevo scritto a suo tempo per l’Observer, il quotidiano inglese della domenica: un testo un po’ imbarazzante, visto che il ponte fu chiuso precipitosamente appena poche ore dopo l’inaugurazione ufficiale. “La cosa più bella che si può dire a proposito del percorso che in sette minuti a piedi porta da Bankside a St Paul, attraverso l’unico ponte costruito a Londra nell’ultimo secolo, se paragonato per esempio a un giro intorno al London Eye, è questa: che alla fine si arriva da qualche parte. Il ponte ha cambiato non soltanto l’aspetto di una parte fondamentale del fiume, ma anche il modo in cui funziona. Per la prima volta è possibile andare a piedi dalle sale delle contrattazioni di borsa e dalle sedi delle società della riva nord e immergersi direttamente nel mondo della riva sud. Percorrere questo ponte è anche un’esperienza fisica intensa. Sotto il cielo grigio e minaccioso, c’è nell’aria l’inconfondibile odore londinese di fango da bassa marea. Nella brezza si sentono i prodromi della pioggia e sotto i piedi le vibrazioni dell’alluminio”.

Già, le vibrazioni. Il giorno precedente la pubblicazione dell’articolo – troppo tardi per i tempi di un giornale – sul ponte si trovava Roger Risdill-Smith, il giovane ingegnere di Ove Arup che si era occupato di tutti gli aspetti del progetto, da quando Norman Foster fu colpito dal famoso schizzo di una “lama di luce” tracciato su un tovagliolino di carta. Quando il ponte cominciò a riempirsi di gente, Risdill- Smith notò il primo segno di un movimento che era qualcosa di più di una vibrazione. “Accadde in pochissimo tempo e non si poteva dire che fosse una vibrazione, bensì un movimento più pronunciato accompagnato da un rumore. Pensai:‘Interessante’, ma quando la gente si diradò il ponte tornò tranquillo”. Poi, all’ora di pranzo, quando le persone tornarono ad accalcarsi alle due estremità, il ponte cominciò veramente a muoversi. Tutte le 690 tonnellate del piano di calpestio in alluminio cominciarono a ondeggiare come un gigantesco giocattolo; i pedoni, sospesi sopra il Tamigi su sottili cavi d’acciaio, cominciarono ad aggrapparsi ai corrimano e a tentare di controbilanciare il movimento per stare in piedi. Mentre questo avveniva, le oscillazioni si facevano sempre più violente.

Quando i ponti tremano
Il ponte, definito da Foster “una lama di luce”, è nato dalla collaborazione fra architetti, ingegneri e lo scultore Anthony Caro

Risdill-Smith ripercorse mentalmente tutti i calcoli, tutte le previsioni di sicurezza, tutti i test nella galleria del vento, tutti i giganteschi cassoni idraulici usati in Canada per misurare la resistenza del ponte all’acqua. Nessuna di queste operazioni e di questi controlli aveva fatto prevedere una simile possibilità. Era una cosa che semplicemente non poteva accadere. Tutta la sua esperienza di ingegnere gli diceva che il ponte doveva essere stabile e che certamente era sicuro. Eppure anche lui deve avere avuto un flash del grande ponte sospeso di Tacoma Narrows, che si agita tanto da andare in pezzi, nel 1940. Prontamente arrivò la polizia, che sgombrò il ponte e lo chiuse: giusto il tempo per gli esperti di capire cosa era andato male e riparare al danno. Se si pensa ai disastri che possono accadere quando un’opera di ingegneria cede, si può dire che è andata bene. Nessuno si è fatto male, ma vedere una realizzazione di questa portata chiusa così improvvisamente è stato certamente umiliante per gli orgogliosi ingegneri di Arup: un gruppo che ha costruito di tutto e dappertutto, dall’Opera House di Sydney alla torre della Hong Kong & Shanghai Bank. Il loro imbarazzo fu un’occasione irresistibile per i loro colleghi più pignoli, che si precipitarono a tranciare giudizi su ciò che era accaduto: anche perché i progettisti di Arup sembravano veramente esserselo tirato addosso.

La loro ‘giustificazione’ fu che avevano permesso a Foster di spingerli a violare i limiti del ragionevole. “È naturale che il ponte avrebbe traballato, basta guardarlo”: fu la dichiarazione unanime. Con i sostegni a sbalzo e il profilo piattissimo, la “lama di luce” non assomigliava a nessun altro ponte. Si disse che era il risultato della presunzione di chi è troppo bravo. Eppure secondo Tony Fitzpatrick, che ha guidato il gruppo Arup nella ricerca di una soluzione, “il problema non è stato causato da ciò che nel ponte è diverso. Tutte le soluzioni innovative che abbiamo applicato hanno funzionato egregiamente. Ciò che ci ha dato il colpo di grazia è stata invece la parte uguale a quella di ogni altro ponte a grandi campate. Abbiamo pensato che questa parte avrebbe funzionato, come è accaduto per tutti i ponti fino a ora: qui abbiamo sbagliato”.

Quando i ponti tremano
I componenti del ponte sono stati fabbricati in vari paesi d’Europa, poi trasportati a Londra e qui assemblati
Alla fine gli ingegneri di Arup scoprirono un fenomeno che fino ad allora non era stato ben capito. Quando su un ponte il numero dei pedoni raggiunge un punto critico, i passi cominciano a farlo muovere: più essi cercano di controbilanciare il movimento per restare in piedi, più il ponte ondeggia. Il fenomeno può riguardare qualsiasi ponte pedonale al di sopra di una certa lunghezza, e Arup ritiene oggi che al mondo ci siano centinaia di ponti così. I ponti possono dunque muoversi. Il loro peso e la loro struttura li tengono fermi, ma se vengono percorsi a piedi da un certo numero di persone si vedrà che, a un certo punto critico, la loro capacità di ammortizzazione naturale svanisce e bastano pochi passi per farli ondeggiare violentemente. Non è un passaggio graduale: o tutto o niente. “Mettete mille persone sul ponte, e sembrerà che tutto vada bene. Mettetene un altro centinaio, e comincia a tremare”, afferma Fitzpatrick. Il gruppo Arup ha scoperto che diversi ponti hanno avuto questo problema, e che ogni caso era diverso dall’altro.
A Tokio un ponte sospeso, completato negli anni Ottanta, dopo l’apertura rese necessaria l’installazione di un sistema di ammortizzazione. In Canada c’è un ponte a capriate d’acciaio che non si era mai mosso di un millimetro dal giorno della costruzione, un secolo prima: finché in una serata di fuochi d’artificio, organizzata proprio per celebrarne il centenario, arrivò talmente tanta gente che il ponte cominciò a traballare. Poi c’è il Ponte Solferino di Parigi, una elegante passerella pedonale ad arcate che attraversa la Senna, chiusa dopo l’apertura perché era chiaramente instabile. Come mai nessuno di questi precedenti ha messo sull’avviso Arup? La risposta di Fitzpatrick è che questi fatti non furono mai riferiti alle autorità incaricate di stendere le regole che i progettisti di ponti devono seguire. Riaprire il ponte è costato ad Arup 5 milioni di sterline per sistemare una coppia di controventature a ‘X’ sotto ognuna delle campate di sostegno, insieme a 37 ammortizzatori idraulici, del tipo di quelli che si usano nei camion per assorbire i grandi urti, e 50 ammortizzatori di massa tarati che assorbono l’energia innescata dai pedoni. Tutto è stato fatto con molta attenzione, le aggiunte sembrano parte del progetto originale.
Il ponte è comunque il risultato del lavoro di un gruppo di persone molto diverse. Norman Foster è l’architetto, i progettisti di Ove Arup sono gli ingegneri, ma è stato lo scultore Anthony Caro a far vincere il concorso al gruppo battendo (fra gli altri) Frank Gehry e Richard Serra. Il ponte così creato è bellissimo, agile e armonioso: ma si stenta ancora a riconoscere l’impegno che una struttura di questo genere rappresenta per i costruttori. Superare un tratto di un quarto di miglio di acqua, con due soli sostegni, non è propriamente uno scherzo. Questo ponte è però un oggetto discreto, non strombazza la sua eccezionalità. Invece di ‘pompare’ la struttura come un culturista fa con gli steroidi, i progettisti hanno dato al ponte muscoli che vibrano sotto pelle, come quelli di un elegante cavallo da corsa. “Lavoro di gruppo” è una delle espressioni d’effetto che gli architetti amano usare: ma che raramente descrive la realtà di personalità battagliere e puntigliose, sempre molto attente a riportare su se stesse la paternità di un’opera. Questo caso, per una volta, riflette ciò che è accaduto.
Quando i ponti tremano
Il ponte faceva parte originalmente del programma di riconversione della centrale elettrica di Bankside in Tate Modern: un modo di incoraggiare la gente a visitare la galleria attraversando a piedi il Tamigi dalla cattedrale di St Paul, che è proprio di fronte

Senza gli ingegneri, il ponte non starebbe su. Senza gli architetti non ci sarebbe stata la cura maniacale per il dettaglio, che ha trattato la progettazione di ogni bullone e di ogni giunto come fosse un tema architettonico di importanza fondamentale. Senza la maestria di Foster e la sua difesa a spada tratta contro tutti i dubbiosi, il ponte non sarebbe mai stato costruito. E senza Caro? Nella forma che il ponte ha assunto oggi è difficile individuare la parte che Caro vi ha avuto, ma senza di lui il ponte sarebbe stato completamente diverso. Egli è rimasto nel gruppo anche quando la forma originale, che avrebbe dovuto portare più chiaramente la sua firma, fu modificata per andare incontro alle richieste arrivate dalla giuria del concorso per una progettazione “meno scultorea”.

“La gente mi chiede: qual è la parte del ponte che hai fatto tu?”, dice Caro. “E io naturalmente non posso indicarne neanche una in modo specifico, ma non è questo il punto. L’idea di uno scultore, di un architetto e di un ingegnere che lavorano insieme: ecco ciò che rende diverso il ponte, e quando sono state prese tutte le decisioni importanti io c’ero. Chiedere a uno scultore, all’ultimo momento, di fare il parapetto di un ponte, questo è il vecchio modo di lavorare. Noi invece abbiamo lavorato in modo nuovo, ed è stato bellissimo. Ho imparato che gli architetti pensano in modo diverso da noi artisti. Noi possiamo dire cose che loro non oserebbero mai, per esempio: perché non proviamo a girarlo da sotto in su? D’altra parte, gli architetti hanno molto da insegnarci riguardo alla scala e alla dimensione delle cose”.

Il risultato è un ponte a sospensione piatto: un piano di calpestio e due piloni nel fiume. Non sembra neanche un ponte sospeso – mancano le caratteristiche torrette che sostengono i cavi – ma questo è esattamente ciò che è. Invece di elevarsi sopra il piano, i fasci di cavi sono raggruppati sui due lati, come gli scalmi di una canoa, e si alzano appena sopra il livello della struttura del ponte. Ciò che ha reso questa un’impresa molto impegnativa è che ogni aspetto e ogni particolare è esposto e visibile da ogni direzione. Il che significa che ogni vite, ogni saldatura, ogni giunto hanno dovuto essere presi in considerazione nel dettaglio, sia dal punto di vista funzionale, sia da quello estetico. Non c’è spazio per camuffarsi. Niente è nascosto, tutto è a vista. È un’idea estetica ‘distillata’ all’essenziale. Il ponte è bello, come sono belli anche i bulloni più piccoli e le curve dei cavi di sospensione. Insomma è una struttura che ha trovato un equilibrio fra la solidità degli eleganti piloni e la leggerezza del piano di alluminio. Sembra lì da sempre.
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