Davide Tommaso Ferrando

L’architettura sui social tra diritti d’autore e divulgazione

In Italia, il primo tentativo serio di usare un gruppo Facebook per parlare di architettura risale al 2011. Una panoramica sulle community online e lo stato dell’arte del diritto d’autore.

Questo post non rispetta i nostri standard della community, pertanto nessun altro può vederlo. È il 13 febbraio 2019, quando incasso la mia prima censura su Facebook. Un algoritmo un po’ troppo zelante deve aver concluso che i diritti di una foto appena pubblicata sul mio feed – la foto di una volta in laterocemento progettata da Ramiro Meyer a Lambaré – non sono miei, e di conseguenza, l’ha rimossa avvisandomi con la nota di cui sopra. In effetti non sono miei, i diritti: lo scatto è di Federico Cairoli e l’ho recuperato da ArchDaily – entrambi citati, ci mancherebbe. Ma di chi fosse il copyright sinceramente non lo so: del resto, in dieci anni di social editing, la proprietà delle immagini che condivido non è mai stata un problema. Perché dunque, di punto in bianco, sembrava esserlo diventato?

Forse perché simultaneamente, a Menlo Park, un team di ingegneri stava testando la capacità di Facebook di adattarsi alle future regole europee sul copyright, contenute nella famigerata direttiva 2019/790[1]: quella duramente criticata da Wikipedia, per intenderci. Approvata dal Parlamento Europeo il 26 marzo scorso, la direttiva prevede – tra le altre norme – che le piattaforme online esercitino maggiori controlli sui contenuti caricati dai propri utenti, rimuovendo e prevenendo la futura pubblicazione di testi, immagini, audio e video protetti da copyright, qualora questi siano pubblicati da chi non ne ha i diritti. Con l’eccezione di hyperlink, meme, gif e snippet, e fatti salvi i contenuti pubblicati a fini di citazione, critica, rassegna, insegnamento, ricerca e parodia, la riforma europea del copyright modificherà non solo le dinamiche ma anche il senso della comunicazione online, ponendo di fatto fine all’attuale periodo di ipercondivisione totale – sempre che si riesca ad applicarla fino in fondo, che non è cosa da poco.

Pensata per tutelare la produzione culturale in altri campi – principalmente musica, cinema e giornalismo – c’è da aspettarsi che la riforma avrà conseguenze significative anche in quello dell’architettura. A partire dal 2009, del resto, una porzione sempre più consistente della comunicazione architettonica si è spostata su Tumblr, Facebook e Instagram, dando vita non solo a contenitori commerciali votati al clickbait, ma anche a progetti editoriali indipendenti, sperimentali e a volte di grande interesse. Il più delle volte, però, tali progetti si basano sulla selezione, catalogazione e condivisione di immagini di cui raramente si detengono – perché raramente si otterrebbero, o si potrebbero pagare – i diritti. Da Subtilitas a Fuck Yeah Brutalism (RIP) ad Archive of Affinities – su Tumblr; passando per Angel Muñiz, OfHouses, e FIG Projects – su Facebook; fino a Elara Fritzenwalden, A Series of Rooms e Atlas of Places – su Instagram, vale la pena chiedersi non solo se la riforma europea del copyright permetterà la sopravvivenza di questi e altri curated archives, ma anche in quale modo condizionerà la nascita di nuovi progetti.

Ora, tra le diverse forme assunte da questa nuova generazione di little architectural magazines[2],un caso per me interessante è quello della trasformazione dei gruppi Facebook in piattaforme editoriali. In Italia, il primo tentativo serio di usare un gruppo Facebook per parlare di architettura risale al 2011, con il lancio di NIBA | Network Italiano dei Blog di Architettura. Curato da Rossella Ferorelli, NIBA metteva a disposizione dei blogger di architettura – figura ormai mitologica – un luogo di incontro virtuale nel quale condividere i propri post. Un’idea semplice, ma efficace, che ha inaugurato una modalità di confronto informale tra un gruppo crescente di studenti, accademici e professionisti, che oggi diamo per scontata. L’anno successivo, Daniele Mancini, Stefano Mirti e Remo Ricchetti lanciavano GranTouristas: ad oggi, uno dei progetti più interessanti e innovativi del suo genere. Pensato come layer digitale del Padiglione Italia alla 13. Biennale di Architettura di Venezia – l’unico layer degno di essere ricordato – GranTouristas nasceva come atlante collettivo di persone, progetti e luoghi capaci di restituire un’idea alternativa di architettura italiana. Finì per dare vita a una community elettrizzante e multidisciplinare di voci fuori dal coro, che per alcuni mesi sperimentò inedite forme di interazione, collaborazione e progettazione a cavallo tra digitale e reale.

La produzione collettiva di contenuti permette ai lettori di entrare in contatto con opere e autori trascurati dalle narrative dominanti, arricchendone così l’immaginario

Mentre esperimenti come NIBA e GranTouristas – entrambi giunti al termine – gravitavano principalmente attorno alle possibilità di networking offerte dai gruppi Facebook, altri progetti, non solo italiani, si sono concentrati sulla loro capacità di archiviazione e catalogazione di immagini. Tra questi, i più interessanti e longevi sembrano essere quelli votati a sviscerare un tema portante, attraverso l’accumulazione progressiva di contributi postati dai propri membri. È questo il caso di gruppi come The Brutalism Appreciation Society – il vero precursore del genere attivo dal 2007 e oggi seguito da più di 66.000 iscritti – The Postmodern Society, Architecture 1900-1945 e Forgotten Architecture. In questi e simili casi, la produzione collettiva di contenuti sembra assumere un triplice valore: da un lato, offre a chi pubblica la possibilità di costruirsi un certo tipo di autorità all’interno della propria community; dall’altro, permette ai lettori di entrare in contatto con opere e autori trascurati dalle narrative dominanti, arricchendone così l’immaginario; infine, dota il processo di apprendimento di un carattere informale e festoso, trasformandolo in un piacevole rito quotidiano.

Cinema Arlecchino, Domus n. 231, 1948
Cinema Arlecchino, Mario Righini e Roberto Menghi in collaborazione con Lucio Fontana (ceramica) e Piero Fornasetti, pannelli laccati laterali, Milano, 1948. Fonte Domus n. 231, 1948

Se la nascita di questo genere di gruppi è il risultato delle ossessioni personali dei rispettivi curatori, e se il loro corretto funzionamento dipende dalla capacità di questi ultimi di far rispettare i più e meno articolati protocolli d’uso che li accompagnano, la loro fortuna sembra legarsi alla scelta di temi portanti che siano sì specifici, ma anche elastici quanto basta per ospitare contributi apparentemente distanti tra loro. In questo senso, il valore di questi progetti editoriali non va cercato nel modo in cui consolidano i confini semantici di metacategorie già esistenti, ma piuttosto, nel modo in cui sono in grado di metterle in discussione, espandendole e dunque di fatto riscrivendole. Se poi, tra tutte le metacategorie a disposizione, quella del brutalismo è di gran lunga la più gettonata, con decine di gruppi e pagine a essa dedicate, un motivo ci sarà.

Resta comunque da valutare quale sia il reale tipo di apprendimento generato da questo tipo di progetti editoriali, alla luce delle critiche di superficialità, imprecisione ed effimerità solitamente mosse alle community di Facebook. Forse il problema non risiede nello strumento in sé, ma nell’uso che se ne fa e nelle aspettative che genera. Facebook, a differenza di piattaforme più banali e immediate come Instagram, possiede un’architettura che consente diversi livelli di nidificazione, con la possibilità di ospitare formati diversi e contenere hyperlink. Tale complessità lo rende – se non ideale – quantomeno adatto all’uso didattico e divulgativo: a patto che sia usato con rigore, si intende. La questione, semmai, è che a volte le dinamiche interpersonali soverchiano quelle editoriali, così che invece di usare i social per pubblicare immagini di architettura, c’è chi pubblica immagini di architettura per socializzare.

Davide Tommaso Ferrando è un ricercatore, critico e curatore di architettura, particolarmente interessato alle intersezioni tra architettura, città e media. M.Arch in Advanced Architectural Design all’ETSA di Madrid e Ph.D in Architecture and Building Design al Politecnico di Torino, è Senior Scientist del Dipartimento di Teoria e Storia dell'Architettura dell'Università di Innsbruck.

Immagine di apertura: ampliamento del cimitero di Pila, HOFLAB, Pila (PG, ITALY), 2000. Foto HOFLAB

1:
Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento Europeo e del Consiglio
2:
volumeproject.org/clipstampfold

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