6 x 2 (la quarta Italia)

Le grandi culture sono costruite sulle grandi contraddizioni e per questo l’Italia è tra i campioni mondiali della contraddizione.

L’economia italiana è rimasta fiacca per decenni, nonostante il dinamismo di alcuni settori industriali, agricoli e tecnici, dove ha un primato mondiale. Poche delle sue istituzioni bancarie hanno una parte decisiva sul palcoscenico mondiale contemporaneo

Pochi dei suoi istituti bancari sono attori decisivi sullo scenario globale. I suoi organi d’informazione forniscono per lo più contenuti di seconda mano e mostrano scarse capacità d’invenzione e di approfondimento. Le sue grandi aziende e le sue istituzioni pubbliche sono oppresse da malanni secolari: gerontocrazia, clientelismo, rigidità strutturali che ripetute ondate di tentate riforme non sono riuscite a mitigare. Non si investe abbastanza in ricerca e in istruzione superiore. Il reddito degli individui continua a non crescere e le prospettive dei lavoratori più giovani restano sconfortanti perfino nell’economia del precariato. Il design, un tempo blasone e firma del Made in Italy, ha cercato energicamente di rinnovarsi ma, nonostante l’abbondanza di giovani talenti, il mondo della creatività ha mostrato la tendenza a muoversi e germogliare altrove – nell’Europa settentrionale, nelle Americhe, in Asia – nonostante il ruolo dominante di Milano come ospite e promotrice delle fiere dell’arredamento e della moda.
Queste realtà, messe insieme in prospettiva, appaiono sconfortanti. E tuttavia si rivelano in contraddizione con l’esperienza “quotidiana” di un generale senso di benessere recentemente confermata dal primo posto dell’Italia nel Global Happiness Index. Che questi indizi siano significativi o meno, in genere a livello non ufficiale resto colpito dalla qualità intellettuale, dal talento e dalle competenze individuali in cui mi imbatto; dalle capacità immaginative – spesso in ambienti fortemente locali e di piccola scala – di artisti, designer, dirigenti d’azienda, chef, studenti e via dicendo. Ma mi colpisce altrettanto la persistenza di vincoli umani che nelle altre parti del mondo sono stati spezzati dalla cultura del lavoro ventiquattr’ore al giorno per sette giorni la settimana.
Dovunque, tra i rottami e la sciatteria della burocrazia, mi imbatto in tracce di linfa creativa che ribolle dalle crepe di cadenti edifici, imprese e strutture istituzionali secolari. C’è la passione civica ed etica incarnata dalle squadre di soccorso che rastrellano le aree devastate dai terremoti e dalle valanghe. La generazione più giovane è tra le più aperte ai viaggi cui l’Italia abbia mai dato origine, anche se alcuni degli spiriti più vivaci hanno cercato rifugio professionale nel mondo dell’emigrazione. La tanto vantata qualità della vita del paese, un fattore d’atmosfera resistente alla quantificazione, appare intatto, forse nonostante ogni probabilità.
Sebbene le contraddizioni elencate fin qui, per un attento osservatore del “bel paese”, non siano una sorpresa, c’è un aspetto più recente della vita italiana, che, pur esplicitamente visibile, colpisce il partecipe osservatore esterno per la scarsa consapevolezza e la scarsa comprensione che suscita: l’Italia cui qui ci si riferisce come alla ‘quarta Italia”. Se la ‘prima’ Italia è stata quella antico-romana, la seconda è stata quella degli antichi comuni moderni e la terza lo Stato nazionale postrisorgimentale carducciano, la quarta si trova a portare i frutti e i fardelli delle migrazioni mondiali che si verificano all’inizio del XXI secolo. In parole povere è un’Italia dal volto multirazziale dove la cultura locale si fonde con quella globale; un’Italia la cui identità è cattolica nel senso greco del termine katholikós (“totale” ovvero “universale”) senza la perdita del senso del luogo.
L’immigrazione, così come il regionalismo e il localismo, ha ripetutamente creato e proposto sfide all’identità italiana. Ogni epoca storica ha portato con sé ondate successive di alterità demografica: albanesi, greci, catalani, arabi, tedeschi, croati e rom; minoranze religiose come i valdesi e gli ebrei; sottogruppi di lingua tedesca, sarda e ladina. Per la maggior parte queste ondate sono state assorbite nel tessuto nazionale in un processo di prolungata coabitazione, nel contesto di una narrazione culturale in cui i valori della classicità, della mediterraneità e dell’italianità dimostravano la loro forza con la capacità di inclusione e di integrazione. Anche nel campo dell’architettura del XX secolo progetti diversi come la copertura piana di Casa Malaparte di Adalberto Libera e il tetto a falde dello chalet alpino del Lago Nero di Carlo Mollino riescono a condividere valori di base sufficienti a inserirsi senza soluzione di continuità nella storia nazionale del Movimento Moderno. Fantasie localistiche a parte, l’italianità è sempre stata una qualità fluida e assorbente grazie alla quale costrutti mitici come il “Made in Italy” riuscivano a nascondere una realtà ibrida e cosmopolita e forme selettive di globalizzazione. In altre parole la grande forza dell’Italia è sempre consistita nella sua debolezza e nella sua apertura: la porosità congenita della penisola.

In apertura: dettaglio pagina interna Domus 605, aprile 1980. Villa Malaparte di Adalberto Libera, Capri 1938

 

Jeffrey Schnapp ha fondato e dirige il metaLAB (at) Harvard ed è condirettore del Berkman Klein Center for Internet and Society. A Harvard, tiene la cattedra Carl A. Pescosolido in Lingue e letterature romanze e Letterature comparate alla Facoltà di Arti e Scienze, insegna al Dipartimento di Architettura alla Harvard’s Graduate School of Design, ed è affiliato al Critical Media Practice program in Visual and Environmental Studies. Formatosi come medievalista, i suoi libri più recenti indagano l’epoca moderna e contemporanea con l’accento sui media, la tecnologia, l'architettura, il design e la storia del libro.  

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