Il quindicesimo padiglione

Il padiglione temporaneo di SelgasCano per la Serpentine dichiara di essere rivolto a un’audience molto più ampia rispetto agli esperti di architettura, cercando di catturare lo spirito del proprio tempo in cui il pubblico si fa anche committente.

Lo scorso 22 giugno, nei Kensington Gardens di Londra si è rinnovato, per la quindicesima volta, il rito di inaugurazione del padiglione temporaneo commissionato dalla Serpentine Gallery. Di fronte a un pubblico di telecamere e fotocamere di network locali e internazionali, gli architetti che quest’anno hanno ricevuto l’incarico di realizzare il padiglione che ospiterà il denso programma di discussioni organizzato dal museo, hanno posato per le foto di rito davanti all’oggetto ancora fresco di pittura bianca nel suolo e nastro adesivo nei giunti strutturali.
L’occasione, per il 2015, è toccata a José Selgas e Lucia Cano, nomi sicuramente meno altisonanti rispetto a quelli a cui ci hanno abituato le scelte di Julia Peyton-Jones e Hans Ulrich Obrist negli anni passati. Che si tratti di un cambio di rotta (ipotesi che sarebbe supportata dalla scelta di un architetto “minore” ed “emergente” anche lo scorso anno, Smiljan Radic) lo si scoprirà solo nelle scelte successive dei curatori. Fatto sta che il fenomeno Serpentine si avvia ormai verso la maggiore età, ed è lecito pensare che i promotori dell’iniziativa si domandino quale sarà la prossima tappa.
Il fenomeno Serpentine si avvia ormai verso la maggiore età, ed è lecito pensare che i promotori dell’iniziativa si domandino quale sarà la prossima tappa
Su questo aspetto alcune delle già numerose recensioni apparse su social media e siti di architettura hanno posto l’attenzione, arrivando a proporre (si legge sul sito del Guardian) uno spostamento di intenzioni dal padiglione/oggetto temporaneo a qualcosa di socialmente più utile (una pensilina per gli autobus, un parco giochi per bambini, delle aule scolastiche). Questi e altri simili commenti sollevano una questione centrale che riguarda il modo di approcciare il fenomeno/evento “padiglione temporaneo estivo”. In altri termini, ci si interroga sulla possibilità di giudicare il risultato costruito e tangibile dal solo punto di vista dell’oggetto, e si dichiara, piuttosto, una necessità di riflettere sul senso stesso dell’operazione a quindici anni dal suo inizio e, soprattutto, su quale possa essere la sua durata. Ovvero: quanti padiglioni ancora verranno realizzati nei Kensington Gardens? La temporaneità delle strutture coincide con la temporaneità dell’iniziativa stessa?
Se letto da un punto di vista puramente oggettuale, alcuni dei commenti al padiglione di SelgasCano apparsi sul web porterebbero a rispondere che il programma inizia a mostrare il fiato corto. C’è chi, infatti, senza troppi giri di parole, lo ha definito il “peggior padiglione della storia della Serpentine”. Le ragioni? Probabilmente si potrebbero riassumere come una non chiara dichiarazione d’intenti. Non è chiaro, infatti, se l’intenzione sia di sperimentare un materiale nuovo, o una tecnica costruttiva, o di elaborare una configurazione spaziale particolarmente complessa (o, come d’altronde è solitamente il caso, una combinazione di questi obiettivi). A parte lo sdoppiamento della pelle dell’edificio, che consente di creare dei percorsi paralleli alle due direzioni principali (intersecantisi a formare uno spazio quasi-circolare destinato a ospitare il pubblico degli eventi in programma per l’estate), nessuna di tali domande sembra poter trovare una risposta completamente affermativa.
Non è chiaro se l’intenzione sia di sperimentare un materiale nuovo, o una tecnica costruttiva, o di elaborare una configurazione spaziale particolarmente complessa
La quintessenza della struttura progettata dallo studio spagnolo sembra essere un rifiuto alla stasi. La descrizione più semplice del padiglione è, infatti, quella di un incrocio di percorsi; lo spazio si presta a essere attraversato, ma è riluttante a farsi occupare per lunghi periodi. In questo senso, il padiglione è perfettamente integrato all’interno della sempre maggiore immediatezza di consumo degli spazi per il tempo libero. Un’esperienza che dura giusto il tempo di entrare nella tenda; soffermarsi per qualche attimo a osservare i cambiamenti di colore causati dalla rifrazione dei raggi solari sulle membrane di ETFE (Etilene TetrafluoroEtilene) tese, con esplicita dichiarazione di imperfezione costruttiva, tra i portali metallici dipinti di bianco che si sforzano, attraverso il loro essere tutti diversi tra loro, di aggiungere complessità a quello che, in ultima istanza, è uno spazio estremamente semplice al punto della banalità; e ritrovarsi – forse anche spinti dalle non ideali condizioni climatiche sotto la tenda – nuovamente all’aperto, nel parco.
La semplice eleganza del padiglione versione 2009 progettato da Sanaa – una pensilina poggiata su esili tubolari metallici, che si dichiarava anch’essa spazio innanzitutto da attraversare liberamente – lascia qui luogo a una stridente ambiguità tra la ridondanza di colore e forma e le ristrette possibilità spaziali consentite dal padiglione degli architetti spagnoli. Architetti che – si evince dalle dichiarazioni dei curatori sul sito della Serpentine – sono stati scelti anche per la loro dimostrata capacità di saper progettare spazi “giocosi”, leggeri nello spirito; e, forse, non c’è niente di male a non doversi aspettare, almeno per un padiglione temporaneo, un saggio di seriosità accademica.
È legittimo chiedersi se la giocosità del padiglione non sia solo una declinazione dell’architettura del controllo per l’era dell’immediato e dell’effimero
Tuttavia, è altrettanto legittimo chiedersi se tale giocosità non sia, in definitiva, solo una declinazione dell’architettura del controllo per l’era dell’immediato e dell’effimero. Così, per tenere docile il pubblico, si tende a stimolarne i lati più infantili, e in questo il padiglione di Selgascano sembra essere un macchinario che rasenta la perfezione. Per averne una prova, basta visitare il padiglione una seconda volta e osservare come riesca a stimolare le più improbabili pose da parte dell’odierno pubblico di tutti fotografi.
D’altronde, lo hanno dichiarato esplicitamente i progettisti: il padiglione di quest’anno è pensato per il popolo di Instagram. E, infatti, è nell’infinita molteplicità di sguardi consentiti dalle macchine fotografiche ormai presenti in ogni gadget tecnologico che il padiglione trova il suo riscatto dai commenti negativi di chi, forse con un’intenzione di critica più disciplinare (d’architettura), ne potrebbe lamentare le carenze di pensiero progettuale e costruttive, o da quelli positivi di chi ne loda l’innato DNA British di Archigramesca memoria.
Lo hanno dichiarato esplicitamente i progettisti: il padiglione di quest’anno è pensato per il popolo di Instagram

Il padiglione 2015 dichiara, nella maniera forse più esplicita nella storia dell’iniziativa lanciata dalla Serpentine, di essere rivolto a un’audience molto più ampia rispetto agli esperti di architettura. Architetti praticanti, accademici, critici, e il popolo di studenti che ogni anno vi si reca in pellegrinaggio sono, infatti, solo marginali destinatari di un’iniziativa che cerca di catturare lo spirito del proprio tempo in cui il pubblico – in buona parte grazie al potere di opinione apparentemente illimitato offerto dai nuovi social media – si fa anche committente.

È con questa committenza diffusa e invisibile, più che con quella concreta dei curatori e dei finanziatori, che il padiglione si confronta, sfatando così un mito associato all’architettura effimera delle Expo, fiere, e così via, che la vede come il paradiso dell’architetto, ovvero l’opportunità di realizzare le proprie ambizioni nella confluenza tra sperimentazioni formali e tecnologiche, in condizioni astratte dalle contingenze della realtà; giovandosi, cioè, di un rilassamento dei meccanismi pesanti che governano l’architettura “vera”. Su questo aspetto, José Selgas è stato esplicito, puntualizzando come non si sia trattato affatto di una commessa con carta bianca.

Piuttosto che vivere in una realtà parallela perché permissiva rispetto a quella dell’architettura “vera”, il padiglione della Serpentine di quest’anno afferma chiaramente di abitare in una iper-realtà fatta di innumerevoli committenti. Se da un lato è quindi leggibile come una risposta chiaramente figlia del proprio tempo, dall’altro piace però pensare che il padiglione di SelgasCano non sia un condensato delle capacità progettuali dello studio. Infatti, alla fine dei conti, risulta difficile, dal di fuori della realtà perfetta di Instagram, non classificarlo tra i risultati architettonicamente meno convincenti di un’iniziativa che è ormai stata digerita all’interno di innumerevoli “eventi” del mondo architettonico e che davvero, forse, andrebbe ripensata. 
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