L'architettura deve interagire

La sintesi delle diverse discipline che indicano il potenziale dell'interaction design è poco sviluppata nell'architettura di oggi.

Molly Wright Steenson, Fred Scharmen L'interaction design mette insieme varie discipline. Perché l'architettura quasi sempre lo trascura? L'interaction design è la disciplina progettuale che riguarda la creazione di rapporti tra gli utenti, gli strumenti e l'ambiente. La Technology Review del MIT afferma che l'interaction design "vuole essere per il mondo virtuale ciò che il disegno industriale è per quello fisico". [1] Invece di realizzare prodotti o spazi si dedica alla progettazione di 'esperienze'. Il concetto è di Bill Moggridge, cofondatore di IDEO e attuale direttore del Cooper-Hewitt Design Museum, e di Bill Verplank della Xerox, di Interval Research, di IDEO e di Stanford. Moggridge ha progettato nel 1979 il GRiD Compass, il primo computer portatile del mondo, ma ha poi scoperto che il fattore di forma degli apparecchi gli interessava meno del modo in cui interagiva con il computer. Con Verplank coniò alla fine degli anni Ottanta l'espressione interaction design, "progetto dell'interazione", per definire questo incrocio tra l'utente e l'apparecchiatura.

In termini più complessi l'interaction design è una disciplina che trae i suoi contenuti dal design di prodotto, dall'industrial design, dalla grafica, dal progetto delle interfacce e del web design, come pure dalla psicologia cognitiva, dall'interazione uomo-calcolatore, dall'informatica e dall'ICT. E dall'architettura. L'interaction design non è mai la stessa cosa in due occasioni differenti. Ci sono tante storie di interaction design quante sono le discipline che ne traggono vita. Il lavoro più interessante e significativo spesso sta nella sovrapposizione di impostazioni differenti. Gillian Crampton Smith, responsabile del percorso formativo di interaction design dell'Università IUAV di Venezia insieme con il marito, l'architetto Phil Tabor, ha fondato il Master in Computer Related Design del Royal College of Art (che oggi si chiama Designing Interactions) e l'Interaction Design Institute di Ivrea. Partendo dalla sua formazione di progettista grafica ha ampliato gli strumenti dell'interaction design fino a integrarvi la narrativa, la prototipazione video e la critica. La sua impostazione è una prassi di provocazione in cui gli oggetti progettati suscitano un dialogo, metodo presumibilmente più affine all'arte che al progetto funzionale. D'altra parte la versione dell'interaction design derivante dall'architettura dell'informazione' basata sul web era principalmente rivolta a migliorare l'attività di ricerca da parte dell'utente, il progetto dell'interfaccia e il flusso del software. In altri termini un misto di esperienza dell'utente e di strategie di interazione uomo-calcolatore.

E tuttavia l'interaction design stenta a migrare nella prassi dell'architettura. Le scuole d'architettura tendono a occuparsi principalmente delle possibilità formali della tecnologia, di modellazione parametrica e computazionale più che degli aspetti di rete dell'informazione e della comunicazione. Queste tecnologie privilegiano la rappresentazione dell'architettura rispetto all'interazione. La tensione è in agguato: nel 2003, alla School of Architecture di Yale, mentre Peter Eisenman celebrava la capacità del computer di creare "spazi continui" come manifestazione contemporanea di formalismo critico, Keller Easterling andava a guardare dietro la macchina, indicando nel lato posteriore dei computer, disordinato e pieno di cavi, l'antitesi della creazione di forme che aveva luogo sul monitor. Easterling sottolineava il potenziale di questo e di altri "spazi d'organizzazione" come siti di intervento e come occasioni positive. Benché esistano avamposti che coltivano l'interaction design nella formazione all'architettura l'elenco dei corsi che se ne occupano è breve: il Network Architecture Lab della Columbia University, certe ricerche all'università di Buffalo e l'università del Michigan, per nominare alcune delle isole di simpatia nel panorama mondiale delle scuole d'architettura.
Questo isolamento appare non distante dalla mancanza di interesse per i progettisti dell'interazione, che a lungo si sono occupati di progettazione alla scala degli edifici e delle città. In realtà l'Interaction Design Institute di Ivrea aveva un corso dedicato all'"Edificio come interfaccia" tenuto dall'architetto Stefano Mirti. I professionisti che affrontano l'interaction design da questo versante spesso citano una generazione di architetti e di urbanisti attivi negli anni Sessanta e Settanta. Teorici e progettisti come Jane Jacobs, Christopher Alexander, Reyner Banham, Cedric Price e Archigram sono stati messi da parte da decenni di cultura architettonica accademica incentrata sulla forma. Trascurato dagli architetti, l'interesse per gli edifici e le città come sistemi di rapporti è stato rinfocolato dai progettisti dell'interazione. L'informatica urbanistica' è nata dall'interesse dei designer dell'interazione nei confronti dell'urbanistica e del progetto di grande scala, ma nella maggior parte delle scuole d'architettura è un'espressione sconosciuta. Oggi designer, architetti e artisti usano il linguaggio di programmazione open source Processing, elaborato per usi creativi, e la piattaforma Arduino per rendere interattivi gli oggetti fisici, talvolta senza sapere quale storia questo tipo di lavoro stia costruendo.

Forse la sfida alla prassi architettonica può venire solo dalla periferia o da altre discipline. Il Machine Architecture Group del MIT degli anni Settanta era nato nella facoltà di Architettura e Urbanistica. Sotto la guida di Nicholas Negroponte, ArcMac conduceva sperimentazioni con computer e periferiche in funzione di applicazioni architettoniche e urbanistiche. Nel 1976 progetti come Mapping by Yourself suggerivano una primitiva versione della realtà aumentata di oggi. La Aspen Movie Map (1978-1980) anticipava una protoapplicazione sul tipo di Google Street View alla scala di una stanza. E Seek, installazione del 1970 alla mostra Software del Jewish Museum di New York, usava un braccio robotico e una telecamera per spostare dei blocchi in un ambiente abitato da gerbilli, cercando di anticiparne i movimenti. L'Architecture Machine Group divenne il MIT Media Lab, che ancor oggi ha sede nella facoltà d'Architettura e Urbanistica, per lo meno dal punto di vista organizzativo.

Invece di collegare gli utenti tramite delle macchine, perché non ripensare l'interaction design per innescare positive frizioni tra discipline progettuali differenti? Che cosa diventerebbe l'interaction design se non fosse più (o non fosse necessariamente) digitale, ma se combinasse efficacemente architettura, disegno industriale e design di prodotto, grafica, arte, narrativa video, tecnologia miniaturizzata, reti di grandi dimensioni e via dicendo? Come cambierebbe il dibattito interdisciplinare? Che cosa ci guadagnerebbe e, cosa più importante, che cosa scoprirebbe sul progetto dell'interazione in generale? Quali altre discipline vedrebbero la luce e quali altre visioni del mondo farebbero la loro comparsa? Rendersi conto che molti altri settori hanno avuto e continuano ad avere a che vedere con questi problemi può aprire un ampio dialogo, in grado di rivelare nuovi rapporti, nuovi isomorfismi, nuove frizioni produttive; e perfino interazioni.

1. Nate Nickerson, "What Makes for good design", MIT Technology Review, 110. 3, 1° maggio 2007.

Fred Scharmen ha lavorato per gli studi FORM di Greg Lynn, Gehry Partners, Keller Easterling Architects e Ziger/Snead. Nel 2010 ha costituito un suo studio di consulenza per la progettazione, l'arte e la ricerca con il nome di Working Group on Adaptive Systems. Vive, lavora e insegna a Baltimora, nel Maryland.

Molly Wright Steenson è dottoranda in Architettura a Princeton, dove sta preparando una tesi sull'informatica per l'architettura e per l'urbanistica degli anni Sessanta e Settanta. Come docente dell'Interaction Design Institute di Ivrea è stata responsabile del gruppo di ricerca Connected Communities. Tiene un blog su Girlwonder.com

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