Il design di Mrs Playmen racconta un’Italia che voleva diventare moderna

Lampade, arredi e interni sono il linguaggio con cui la serie Netflix ambientata a Roma, nel mondo dell’editoria erotica degli anni Settanta, ritrae un Paese in piena trasformazione.

Ci sono serie che raccontano una storia. E altre che raccontano un’epoca.

Mrs Playmen fa entrambe le cose, ma con una terza ambizione – forse la più importante: ricostruire il clima culturale di un’Italia che ancora non aveva parole per dirsi moderna, che non aveva leggi per proteggere le donne, che parlava di emancipazione e, nello stesso tempo, la temeva.

Dentro questa tensione si muove Adelina: figura insieme luminosa e tragica, imprenditrice spregiudicata e donna vulnerabile. Nella Roma degli anni Settanta, dove “femminismo” era una parola sospetta e la violenza sulle donne non era considerata un crimine contro la persona, Adelina costruisce un impero e lo sconta sulla propria pelle. E la serie, con sorprendente finezza visiva, affida agli interni e agli oggetti il compito di raccontare ciò che le parole non dicono. 

Il suo attico è un manifesto visivo: non soltanto un luogo, ma una dichiarazione di intenzioni. Il bagno illuminato dalla lampada di Antonio Pavia, con il suo paralume a foglia in tessuto e ottone che sboccia da una base a conchiglia, è già una scena: un piccolo santuario domestico in cui la femminilità si specchia e, per un istante, si sottrae agli sguardi maschili. Le pareti rivestite con motivi tipici dei ’70, la carta da parati a losanghe marroni, azzurre e bianche, le tende a cerchi sovrapposti compongono un paesaggio cromatico pulsante – quasi un battito cardiaco della casa. 

Ogni lampada, ogni poltrona, ogni carta da parati è una nota del grande spartito della trasformazione culturale italiana.

Il soggiorno, dominato dalle lampade Cobra e Pistillo di Martinelli Luce e dalla lampada svedese Cottex a cinque braccia, vibra di quella modernità italiana che ancora oggi sembra un gesto di sfida. Una poltrona a uovo evoca l’utopia del design futuristico, mentre poltrone e divani morbidi e generosi parlano di un comfort sofisticato, libero da costrizioni: come se il corpo delle donne, lì, potesse finalmente appoggiarsi senza essere giudicato.

In una nicchia retroilluminata, una vetrinetta con vasi sembra esporre non oggetti, ma metafore: fragilità e potere, trasparenza e opacità, estetica e uso. Il mobile bar – con sopra la lampada Splügen Bräu, che pende come un piccolo sole industriale – racconta la vita mondana, le trattative, gli incontri, gli amanti. È una casa che parla di una donna che vuole essere padrona del proprio destino e, allo stesso tempo, sa di non esserlo mai del tutto.

Poi c’è la vita domestica: il telefono Grillo che trilla con la sua ironia futurista, il cane di ceramica grande come una sentinella kitsch, la televisione che scandisce l’educazione sentimentale italiana con il rituale di Carosello e la figlia che “deve andare a letto dopo la sigla”. Un’Italia rigidamente codificata, che Adelina prova a scalzare un po’ per volta

La redazione di Playmen è il contrappunto visivo dell’attico: un luogo maschile reinventato attraverso lo sguardo femminile – quello di Adelina. Le grandi vetrate che si affacciano sulla cupola di San Pietro non sono solo un vezzo scenografico: sono l’immagine perfetta della contraddizione tra edonismo moderno e tradizione cattolica, tra libertà e censura, tra corpo e dogma. Gli arredi fanno il resto: il grande divano senape dalle linee sagomate e dai piedini in ottone all’ingresso; i tecnigrafi, le lavagne luminose, i set fotografici a tunnel multicolor, tutto parla di un laboratorio dell’immagine che è anche un laboratorio del desiderio.

L’iconica lampada Meta di Stilnovo e gli appendiabiti totemici, con la loro estetica sospesa tra futurismo e fantascienza domestica, illuminano un mondo che vuole “dire il nuovo”, ma sa di camminare sul filo. Il controsoffitto a carabottino, le tende a bande verticali orientabili, le pareti in legno laminato restituiscono il gusto degli uffici editoriali dell’epoca: funzionali ma ambiziosi, un po’ precari e un po’ ruggenti. Le macchine fotografiche Yashica e le lampade Parentesi indicano un’altra dimensione: quella del fare, del provare, del rischiare. Una redazione come un’officina del possibile. Una redazione che inventa anche strategie clandestine, come quando la Tattilo trova il modo di pubblicizzare il vibratore “Gabry, il nuovo amico delle donne” senza essere denunciata.

La serie riesce a raccontare Roma non come cartolina, ma come luogo mentale. L’autobus storico romano – quello con tappezzerie e sedili originali – è un rullo compressore di memoria collettiva; la Vespa del fotografo, la fila di furgoncini rossi Fiat per la consegna delle riviste in edicola, le spider decapottabili e l’“automobile squalo” sono marcatori culturali che ricostruiscono un’Italia in cui la mobilità è promessa di libertà e metafora di fuga. Il Piper e il Jackie O’ raccontano la notte: la ribellione, la musica (inevitabile Il paradiso di Patty Pravo), le derive di un’epoca che non sapeva ancora come nominare i propri fantasmi.

La Costa Azzurra, invece, è un contrappunto: l’eleganza solare che fa da controcampo alla miseria del Mandrione. Adelina si muove tra questi mondi con la stessa disinvoltura con cui passa dalla stanza da bagno intima alla scrivania con vista Cupolone: una donna che abita contrasti.

Mrs Playmen non è soltanto una serie biografica. È una mappa sensoriale. Una ricostruzione emotiva di un Paese che si avvicinava alla modernità più per collisione che per convinzione. È il ritratto di una donna che prova a farsi spazio tra diritti inesistenti e desideri incontenibili. E soprattutto è una serie in cui gli interni non arredano: raccontano.

Ogni lampada, ogni poltrona, ogni carta da parati è una nota del grande spartito della trasformazione culturale italiana.

Una partitura che Adelina, con tutti i suoi limiti e la sua disperata forza, tenta di suonare fino all’ultima scena.

Tutte le immagini: Camilla Cattabriga/Netflix

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