Ci sono storie che nascono ai margini e finiscono in galleria. È il caso della Mutoid Waste Company, collettivo nomade e anarchico di scultori, performer e costruttori di utopie (o meglio, distopie) meccaniche. A ben guardare, però, la storia dei Mutoid nasce in una galleria, la Car Breaker Gallery, spazio artistico londinese degli Ottanta sito nella Republic of Frestonia, squat ubicato in Freston Road, oggi Borough di Kensington e Chelsea. Qualche anno prima, nel 1983, Joe Rush, artista, conosce Robin Cooke, di professione meccanico: dal loro incontro nascono le sculture Mutoid, realizzate con materiali di recupero: tubi, bulloni, lamiere arrugginite, e parti di automobili dismesse.
I Mutoidi sono a rischio sgombero, intanto diventano una capsule collection
Il collettivo anarchico che trasforma rottami in sculture, in Italia da decenni ma ora a rischio di sfratto, viene celebrato da C.P. Company e Slam Jam. Una mostra a Milano racconta la parabola della controcultura diventata culto.
Courtesy C.P. Company x Slam Jam
Courtesy C.P. Company x Slam Jam
Courtesy C.P. Company x Slam Jam
Courtesy C.P. Company x Slam Jam
Courtesy C.P. Company x Slam Jam
Courtesy C.P. Company x Slam Jam
Courtesy C.P. Company x Slam Jam
Courtesy C.P. Company x Slam Jam
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- Lorenzo Ottone
- 07 novembre 2025
La loro estetica post-apocalittica, sintesi a 140 bpm di Mad Max e dei fumetti di Judge Dredd, si lega inevitabilmente alla scena dei free parties inglesi, all’acid house e al festival di Glastonbury, dove le loro sculture acquisiscono prominenza. I loro interventi diventano un parco giochi per adulti, come racconta lo stesso Rush ripercorrendo il primo party Mutoid, nel 1986. “Per me era una mostra, una festa-installazione, un set cinematografico da abitare. Da allora abbiamo iniziato a creare installazioni delle nostre opere in ambienti che trasformavamo, occupando magazzini e fabbriche in disuso. Come veri e propri festival urbani, le nostre feste sono diventate leggendarie.”
Per me, era una mostra, una festa-installazione, un set cinematografico da abitare. Come veri e propri festival urbani, le nostre feste sono diventate leggendarie.
Joe Rush, co-fondatore dei Mutoid
Con il crackdown del governo Thatcher sui rave, i Mutoids migrano prima a Berlino e poi in Italia. Quando nel 1990 vengono invitati a Santarcangelo di Romagna per prendere parte allo storico Festival del Teatro in Piazza, gli inglesi trovano nelle placide colline romagnole la terra promessa. Qui occupano una cava dismessa che diventa Mutonia, una comune-parco dove svettano le loro imponenti sculture. Da allora i Mutoids sono diventati parte integrante del paesaggio culturale emiliano-romagnolo, simbolo di un’energia creativa capace di unire ingegno, recupero e resistenza.
A raccontarne l’anima più umana e visionaria è oggi la fotografa Daniela Facchinato, con una mostra curata da Barbara Virginia Tedeschi e promossa da Slam Jam e C.P. Company. L’esposizione, ospitata da Spazio Maiocchi a Milano dal 7 al 9 novembre 2025, riunisce per la prima volta una selezione di scatti realizzati nel 1993, quando Facchinato frequentava la comunità Mutoid, insieme a opere originali del collettivo. Le immagini, intense e materiche, raccontano un’umanità fatta di ferro e fango, di invenzioni nate dal rottame e di una visione del mondo in cui arte e sopravvivenza coincidono.
La mostra si inserisce in un dialogo più ampio tra la memoria controculturale dei Mutoids e l’estetica utilitaria e industriale. Un trait d’union tutto emiliano-romagnolo che lega il collettivo al brand bolognese C.P. Company e alla powerhouse ferrarese Slam Jam, entrambi protagonisti della scena streetwear e da sempre attenti alle radici subculturali della propria identità.
Il legame è ribadito dalla capsule collection C.P. Company x Slam Jam, che accompagna l’esposizione: una linea in edizione limitata che include la celebre Mille Jacket disegnata da Massimo Osti, qui proposta in pelle con stampa interna di una fotografia di Facchinato, una felpa con cappuccio e un balaclava Goggle, tutti dotati di lenti co-brandizzate. Capi, sì, ma anche oggetti da collezione, feticci estetici di una mitologia ribelle e post-industriale.
Se da un lato questa operazione sancisce il riconoscimento di un’esperienza radicale, dall’altro invita a riflettere sul processo di musealizzazione della controcultura. L’inclusione dei Mutoids nella narrazione della moda segna una transizione del nostro percepito che non può essere ignorata: ciò che un tempo era rifiuto del sistema diventa oggi materia di culto e di consumo. È un destino comune a molte espressioni underground – dai graffiti ai rave, dal punk al clubbing – che, una volta neutralizzate dal tempo, vengono rilette come patrimonio visivo e simbolico. Un trend in ascesa, come testimoniano i sempre più numerosi progetti curatoriali e museali volti a archiviare e narrare la cultura giovanile.
Quello che una volta nasceva come rifiuto del sistema, oggi viene trasformato in materia di culto e di consumo. È la paradossale alchimia per cui ciò che serviva a sovvertire il mondo diventa, con il tempo, oggetto di desiderio e celebrazione.
In questo contesto, diventa allora paradossale la decisione del Consiglio di Stato (arrivata a febbraio) che decreta lo sgombero e smantellamento di Mutonia, nonostante il prodigarsi del comune di Santarcangelo per riconoscere l’area come parco artistico protetto. La tensione tra istituzione e ribellione resta irrisolta.
La mostra di Daniela Facchinato restituisce ai Mutoids proprio questa forza originaria: per chi non li ha mai incontrati, è una scoperta; per le istituzioni, un promemoria che Mutonia è cultura. “Mutate or die” – mutare o morire – recita il loro motto, che oggi suona più attuale che mai. Come da oltre quarant’anni, i Mutoids si trovano di nuovo di fronte alla sfida di reinventarsi, di mutare per sopravvivere alle maglie sempre più strette della società. Forse, proprio la fine di Mutonia sarà l’occasione per riaffermare che la contro-cultura, per definizione, non può essere confinata: cambia forma, ma continua a pulsare.
Immagine di apertura: La celebre Mille Jacket disegnata da Massimo Osti, qui proposta in pelle con stampa interna di una fotografia di uno degli artisti Mutoidi
- “Mutoid Waste Company”: una mostra fotografica di Daniela Facchinato
- Barbara Virginia Tedeschi
- Spazio Maiocchi (Via Achille Maiocchi 7, Milano)
- dal 7 al 9 novembre 2025
- Slam Jam e C.P. Company