Dopo vent’anni dall’inizio dei lavori, tra sospensioni e riprese a singhiozzo, aperture annunciate e smentite, ritardi “monumentali” (come le ambizioni del progetto) tra primavera araba, Covid e instabilità politica e finanziaria, apre finalmente nella sua completezza il Grand Egyptian Museum, il Gem, progettato dallo studio dublinese Heneghan Peng Architects, in collaborazione con Arup e Buro Happold per strutture e impianti.
Un’entrata “a regime” che sarà annunciata con le celebrazioni ufficiali del 1° novembre e culminerà nell’apertura al pubblico del 4 novembre, quando sarà visitabile, in aggiunta agli spazi già accessibili dall’apertura parziale del 2024, anche la Galleria di Tutankhamon con una collezione di oltre 5mila reperti.
Una data non casuale: il 4 novembre (del 1922) è il giorno in cui Howard Carter scoprì la tomba del Re bambino, consegnando all’umanità una delle più grandi scoperte dell’archeologia moderna.
Dopo vent’anni di cantiere, finalmente il Grand Egyptian Museum inaugura la sua apertura completa
Il 4 novembre, con la Galleria di Tutankhamon, si completa l’apertura già avviata del museo affacciato sulle piramidi di Giza, vicino al Cairo: è il più grande dedicato ad una singola civiltà, e fa del gigantismo narrativo la sua strategia.
Foto Iwan Baan
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- Chiara Testoni
- 28 ottobre 2025
- Cairo, Egypt
- Heneghan Peng Architects
- museum
- 2025
Distaccandosi dall’understatement del contenitore espositivo “neutro” rispettoso dei suoi contenuti, il Gem è un’opera esplicitamente epica e narrativa, che intreccia una relazione “viscerale” con il contesto e con la collezione dal punto di vista dimensionale, topografico, percettivo e simbolico.
Un’operazione strategica di alto profilo, che si inscrive nel solco tracciato da opere iconiche a partire dal Guggenheim di Bilbao, le quali, attraverso il loro gigantismo (sia dimensionale che semantico), hanno agito come strumenti di marketing territoriale e di affermazione socio-culturale per i paesi che le ospitano.
Riunendo 100.000 reperti che vanno dal periodo predinastico all’epoca copta (alcuni dei quali mai esposti prima), provenienti dallo storico museo di piazza Tahrir e da depositi sparsi in tutto il paese, il Gem sarà infatti il più grande museo archeologico al mondo dedicato a una singola civiltà.
Si tratta di un museo che ospita una collezione che abbraccia quasi quattro millenni; quindi, la questione era come il design potesse comunicare con forza questo straordinario arco temporale.
Róisín Heneghan, socio fondatore dello studio Heneghan Peng Architects
“Progettare un museo di questo calibro, così vicino a un monumento storico e simbolico come le piramidi, è un'opportunità unica nella vita”, ha affermato Róisín Heneghan, socio fondatore dello studio Heneghan Peng Architects. “Il nostro progetto mira a rafforzare il legame con la storia e il luogo, offrendo una sede a reperti mai visti prima che riposano proprio sulla terra che li ha generati. Il risultato è un'esperienza che suscita un senso di stupore per l'ampiezza e la profondità dell'affascinante storia dell'antico Egitto, in un modo che appare al tempo stesso moderno e senza tempo”.
Il complesso, che comprende spazi espositivi, sale per conferenze e didattica, un museo per bambini, un centro di conservazione e ampi giardini su un terreno di 50 ettari, è collocato ai margini dell’altopiano di Giza da cui dista un paio di chilometri (una ventina dal Cairo). Sfruttando il salto di quota esistente di 50 metri, scavato dal Nilo nel corso dei millenni, tra l’altopiano e l’area di intervento, l’edificio “si incassa” nel dislivello in modo da non interferire con il profilo monumentale delle piramidi e non superarne altimetricamente il vertice.
L’impianto cuneiforme, generato dall’allineamento del fianco est con il sito archeologico, si apre a ventaglio attraverso sei assi radiali – convergenti in un punto focale esterno a nord, e leggibili come ossatura strutturale – in direzione delle piramidi a sud, innalzandosi verso queste con una copertura inclinata, in modo da introiettarle visivamente e simbolicamente.
E la simbologia delle piramidi viene reiterata nelle scelte figurative, attraverso trame decorative a triangoli che scompongono la facciata principale in pannelli di alabastro, quelle laterali in cemento e metallo, e la superficie del piazzale d’ingresso nel loro disegno punteggiato da vegetazione autoctona (su progetto di West 8).
Uno spazio di filtro tra esterno ed interno – tra contemporaneità e mondo antico – introduce gradualmente alla scoperta degli spazi espositivi, suggerendo un cambio di passo rispetto al ritmo accelerato della megalopoli poco distante.
Una colossale statua in granito di Ramses II accoglie i visitatori nella grand hall, dove la luce naturale che filtra dalla copertura traslucida contribuisce ad enfatizzare il carattere ieratico dello spazio.
Da qui, una scala monumentale punteggiata da sculture collega i sei livelli del complesso, in una processione ascensionale (e “iniziatica”) che ha il suo climax nella vista spettacolare delle piramidi dalle gallerie permanenti all’ultimo piano.
Ci siamo concentrati sugli elementi che sapevamo avrebbero resistito alla prova del tempo in modo che, anche quando questo luogo diventerà a sua volta un sito archeologico, il suo design sia ancora leggibile.
Róisín Heneghan, socio fondatore dello studio Heneghan Peng Architects
Racchiudendo 4.000 anni di storia, il Grand Egyptian Museum accende i riflettori su un concetto di “permanenza” in architettura sempre più compromessa da mode e tecnologie, processi e prodotti velocemente sostituibili e sostituiti. Perché, se da un lato l’opera è concepita per fare fronte alle esigenze di flessibilità e di evoluzione tecnologica necessarie in un museo di tale portata, dall’altro attraverso il forte radicamento nel contesto plurisecolare, e la chiarezza del suo impianto progettuale, guarda ad un tempo “dilatato”.
Come infatti conferma Heneghan, “il tempo è stato un elemento importante nella progettazione, sotto molti aspetti. Si tratta di un museo che ospita una collezione che abbraccia quasi quattro millenni; quindi, la questione era come il design potesse comunicare con forza questo straordinario arco temporale. Il tempo ha anche influenzato il nostro approccio alla progettazione: si tratta di un edificio enorme, un sito enorme, costruito in un lungo periodo di tempo con il coinvolgimento di molte voci, tra cui exhibition designer e ingegneri. Ci siamo concentrati sugli elementi che sapevamo avrebbero resistito alla prova del tempo in modo che, anche quando saranno passati altri millenni e questo luogo diventerà a sua volta un sito archeologico, il suo design sia ancora leggibile”.
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