Il saluto di Nicola Di Battista all’amico Giuseppe Basile

L’ex direttore di Domus, grande amico di Giuseppe Basile, compone un commosso ricordo dell’art director recentemente scomparso, ripercorrendo gli anni di lavoro insieme, e delineandone l’entusiasmo, la dedizione e la professionalità unici.

Caro amico,
anche questa volta, come sempre, hai fatto di testa tua e per l’ennesima volta ci hai sorpreso. Questa volta però è diverso, e mi costringi a scrivere una cosa che mai avrei voluto: un saluto, anzi l’ultimo saluto. Sono sicuro che per te, per come sei fatto, un ciao sarebbe stato sufficiente, non avresti voluto di più. Questa volta devi scusarmi, non posso farlo. In questo momento non posso non aggiungere qualcosa, non molto, ma qualcosa in più che solo un ciao.

Caro Giuseppe, ho bisogno di raccontare qualcosa di te. Voglio scrivere di quest’ultima estate da poco finita, un’estate per noi diversa dalle altre. Di solito, agosto era l’unico mese dell’anno in cui non ci sentivamo quasi mai, io come sempre in Francia e tu chi sa dove. Questa volta invece è stato diverso, sei rimasto a Milano e ci siamo sentiti telefonicamente quasi tutti i giorni, per parlare del più e del meno, ma soprattutto per portare avanti i nostri tanti progetti in comune e in particolare quello che ci stava più a cuore di tutti. Giorno dopo giorno la nostra estate è stata accompagnata da lunghe chiacchierate in cui abbiamo anche ricordato a noi stessi di aver in fondo lavorato per decenni seguendo le nostre passioni – tu la grafica e io l’architettura – e sono sicuro, caro Giuseppe, adesso posso dirtelo, che insieme abbiamo realizzato un’ottima sintesi tra forma e contenuto. Un lavoro, il nostro, frutto non di improvvise folgorazioni, ma di una lenta, assidua e paziente ricerca del lavoro ben fatto.

Quante discussioni, quante liti, quanti pensieri, quante prove c’erano dietro i tuoi – no, anzi, dietro i nostri – impaginati. Quanti pacchetti di InDesign andavano avanti e indietro via web tra le nostre caselle mail, corretti e ricorretti più volte, e arrivavano spesso nelle ore più improbabili, anche alle 3 del mattino. Non importava il tempo, quello che contava per noi era sempre chiudere il lavoro solo quando eravamo pienamente sicuri di essere arrivati a un buon risultato.

Sono certo che il nostro rapporto di lavoro – o come io ero solito dire, la nostra maniera di lavorare – sarà apparsa strana e bizzarra a tanti; ma a noi no, era la nostra vita e, credimi, abbiamo le prove che funzionasse.

Da me sopportavi cose che non avresti sopportato da nessun altro e, devo dirtelo, alcune volte anche io con te. Ma con me eri sempre pronto ad andare avanti, a ricominciare, gioioso come un bambino, capace di emozionarti per piccole cose, e poi avanti mettendo in campo tutte le tue capacità, proprie del mestiere del grafico.

Non esiste un graphic designer, come tu amavi definirti, che abbia impaginato per quarant’anni così tanti progetti di architettura e di migliaia di architetti diversi l’uno dall’altro.

Caro Giuseppe, devi sapere, e non so se tu ne fossi pienamente cosciente, che lasci un vuoto incolmabile: un vuoto prima di tutto come persona per chi ha avuto la fortuna di esserti amico, ma anche e soprattutto come grafico. Non esiste un graphic designer, come tu amavi definirti, che abbia impaginato per quarant’anni così tanti progetti di architettura e di migliaia di architetti diversi l’uno dall’altro.

Si parla spesso – e a sproposito – di comunicazione dell’architettura. Tu, con il tuo lavoro, hai reso semplice e magnifico il senso di cosa questo significhi, ovvero la possibilità di trasmettere l’architettura mettendo insieme magistralmente foto e testi su carta. Si dice che per conoscere l’architettura sia necessario vederla di persona, e questo è senz’altro giusto; ma è altrettanto vero che attraverso i tuoi impaginati si può cogliere l’essenza stessa delle architetture, anche senza averle viste dal vivo.

Forse questo miracolo era dovuto all’uso che eri capace di fare della grafica e dei suoi strumenti, a partire dalla tua ossessione per la “gabbia”, la trama grafica da seguire o – come molte volte facevi – da disattendere, ma sempre cosciente che da lì bisognasse partire. Questo ti ha portato a utilizzare il tuo mestiere per raggiungere quella che possiamo definire, in un certo senso, una sorta di normalità della grafica, che hai sempre perseguito nei tuoi lavori. Oggi, ci restano migliaia e migliaia di pagine stampate sulla tua cara Domus, che sono lì a ricordarci di te e del tuo magnifico lavoro, utili di sicuro a chiunque abbia voglia di scoprire e studiare cos’è l’architettura.

Nessuno potrà cancellare queste pagine.

Mio caro Giuseppe, adesso sei partito per il tuo ultimo viaggio, ma io invece ti immagino in volo, come hai fatto spesso, verso la tua amata Los Angeles.

Un caro saluto, il tuo Nicola

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