Claire Fontaine, un artista che si definisce collettivo quindi essenzialmente anonimo, fondato nel 2001 con il nome di un noto marchio di quaderni scolastici francesi, citando Rilke, scrive:una casa nel senso americano, una mela americana, un vitigno di laggiù, non hanno nulla in comune con la casa, la frutta, il grappolo intrisi della speranza e della meditazione dei nostri antenati. La pubblicità - continua L’artista - è la modalità attraverso cui vediamo tutto quel che dovremmo fare nostro (…) la maniera di far mondo che la nostra civiltà ha trovato solo dopo la seconda guerra mondiale esclude sia la poetica (..) sia l’informazione diretta
Citando a sua volta Heimat la trilogia dei film di Edgar Reits, Eisenman scrive: Reitz’s film traces the life of an ordinary working class German family from the end of the disaster of the 1914-18 war to the symbolic disaster of the German economic recovery of the 70’s and thr 80’s. Ultimately it illustrates what was considered Heimat: home, land, family community which were largely swept away in the wake of two wars and ensuing modernisation of German life. In the film’s final moments, the symbolic flight of a jet aircraft over the town turns all of what was Heimat into a momentary speck seen from 20.000 feet. It is the conlusion to the film’s subtle tracing of the erasure of place by the gradual evolution of communication infrastructure: first the radio, then the thelephone lines, cars, the Authobahn, airplanes, television, until there is nothing left but a nostalgia for such a place, for a Heimat. In the film, however, any nostalgia for a lost Heimat for the next generation is quickly overcome whith a new richness of life: media, information, communication.
Per entrambi questi autori la comunicazione ha generato un’anonimato della storia, allontanandoci dal senso delle cose e dalla loro poetica: Il problema ora è che nessuno può dirci perché dovremmo essere interessati a un mondo che ci ignora quanto ne ignoriamo gli arcani meccanismi di funzionamento,- si chiede Claire Fontaine - o perché mai dovremmo conoscere un sistema costruito in modo da non poter essere modificato da noi in nessuna maniera.
All’indifferenza e all’anonimato generato dalla distanza tra i meccanismi di funzionamento e gli individui che quei meccanismi vorrebbero regolare, il collettivo francese oppone l’opacità di chi da quei meccanismi dovrebbe essere regolato.
Alla tecnologia, all'alienazione che ne deriva, all’esilio dalla storia che ci rende incapaci di tradurre e trasmettere, Claire Fontaine oppone specularmente un anonimato eversivo, e ne esplora il campo di esistenza, intravedendo nel proprio lavoro la capacità di sfiorare l’essenza delle cose esattamente come l’architetto americano cerca nell’architettura la forza di generare il senso di un luogo, annullando con un segno la distanza che lo separava dalla sua anima. Dopo aver fatto riferimento alle lettere di Edwin o ai cartoons di Steven Millhauser dove lo spostamento cui faceva riferimento Eisenman avviene espressamente sul piano del linguaggio, Claire Fontaine cita Les fonctions mentales dans les sociétés inferieures di Levy-Bruhl per affermare che nel mondo primitivo non c’è percezione che non sia avvolta in un complesso mistico - e che -questo surplus magico che è legato alla forma scritta e alla sonorità del linguaggio (…) sembra aver trovato riparo nel mondo dell’arte contemporanea.
Caduta l’idea di una razionalità globale della storia, entrambi questi autori appaiono sostanzialmente additare come responsabile del senso di vuoto che ne consegue, proprio quel mondo della comunicazione globalizzata che Vattimo descrive come una molteplicità di razionalità "locali" - minoranze etniche, sessuali, religiose, culturali o estetiche - che prendono la parola, finalmente non più tacitate e represse dall'idea che ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti, e paradossalmente sia l’artista che l’architetto, dall’interno di questa contingenza, si riappropriano dell’assolutezza del loro lavoro, senza per questo avvertire uno scarto, per altro interessantissimo, tra un pensiero che nega la possibilità di aggrapparsi a qualcosa per affermare la credibilità del proprio punto di vista e la metafisica esplicitamente ribadita da Eisenman o il complesso mistico di cui parla Claire Fontaine.
In altre parole ad aprire la porta alla metafisica è la sua assenza, o meglio non esiste più una sola metafisica e la sua presenza è una voce tra le tante. Si genera in tal modo, letteralmente un paradosso che caratterizza, ad esempio, il lavoro di uno dei personaggi più poliedrici ed eterodossi della cultura italiana, Corrado Levi, quando quest’ultimo dopo aver definito il decosrtuttivismo come il sogno dell’ultimo ismo insegnava agli studenti del corso di composizione III del Politecnico di Milano a padroneggiare più modi di fare architettura, affinché il progetto venisse informato della complessità della realtà con la quale vuole interagire.
Corado Levi, propone un modo di progettare che obbliga superare gli assunti “dati per scontato”, che si tratti del senso comune o di teorie del mondo sociale ma non risolve confine tra chi disegna e chi vive l'architettura, poiché la realtà non è data una volta per tutte ma, come nel film Inception, essa sembra plasmarsi assecondando i nostri sogni, quelli di ognuno si noi, ne è per così dire la sommatoria continua, quindi il progetto dovrebbe essere informato, a livello teorico, della sua provvisorietà superando il confine tra chi produce delle forme e il resto del mondo.
