Salone del mobile e Fuorisalone 2019

Mondo Salmistraro. Intervista all’ambasciatrice del Brera Design District

Con una presenza capillare alla Milano Design Week, l’artista e designer Milanese ci racconta i suoi ultimi lavori e offre consigli su come sopravvivere al Salone.

Elena Salmistraro presso "Don't call me... Dafne", la sua installazione per Timberland in Piazza XXV Aprile, Fuorisalone 2018, Milano. Foto di Henrik Blomqvist

In tanti l’hanno voluta per i nuovi lanci del Salone 2018: nata e cresciuta a Milano, Elena Salmistraro ci parla del suo mondo fatto di personaggi buffi, babbuini che ti guardano storto e campiture di colore. “L’anno prossimo sparisco per un po’…”. In effetti tra le collaborazioni di quest’anno sono presenti Timberland, Bosa, Brera Design District, Lithea, Replay, BluBleu, CC-Tapis, Subalterno1, London Art, Mog e Dilmos. E parliamo di una designer con famiglia, che lavora per lo più da sola. Per queste aziende ha realizzato un po’ di tutto, dal grande albero della fertilità in piazza XXV Aprile alle statuette raffiguranti i guru del design, dalle carte da parati extra formato ai pannelli in pietra di Sicilia 3 metri per 5, senza tralasciare illustrazioni, murales, maschere, mobili, elementi di arredo e tappeti. Un vero e proprio mondo Salmistraro.

Elena Salmistraro, Don't call me... Dafne, Timberland, Fuorisalone 2018, Milano
L'installazione "Don't call me... Dafne" per Timberland in Piazza XXV Aprile, Fuorisalone 2018, Milano

Qual è il tuo rapporto con l’illustrazione?                                                            Io in realtà inizio con le illustrazioni perché mi piace disegnare, ho fatto il liceo artistico, quindi diciamo che inizio come artista, non come designer, poi ai tempi, quando vivevo ancora con i miei ed è arrivato il momento di iscriversi all’università, volevo fare Brera... e i miei genitori a dirmi no, almeno prendi la Laurea! Così mi sono iscritta al Politecnico, a Fashion Design e poi Design del Prodotto. Devo dire che mi è servito, perché mi ha dato quel rigore che a me mancava, e mi ha permesso grazie alla tecnica che ho appreso lì di dar vita ai miei disegni, trasformandoli in oggetti tridimensionali.

E il tuo rapporto con l’oggetto?
In effetti tutte le mie idee nascono dai miei disegni, sono tutte le mie fantasie che poi diventano oggetti. L’anno scorso ho fatto il mobile Polifemo, con l’occhio centrale che si apre: è tutta la mia immaginazione che diventa oggetto. È questa la mia strada, mi voglio divertire e fare qualcosa che mi piaccia! Ho cercato anche di fare quel design minimal, sforzandomi tantissimo e cercando di convincermi che il design vero fosse quello, quello della funzione, ma poi mi sono liberata da quell’idea e ora sto talmente bene... nonostante poi io cerchi sempre di partire dalla funzione. Quando l’anno scorso ho vinto il premio del Salone non riuscivo a credere prima di tutto che avessi vinto un premio, ma soprattutto che a qualcuno potesse piacere il mio lavoro; per me è stato uno shock!

Come si avvia il tuo percorso di designer?                                                    Da subito. Ho lavorato in due studi di design, provando a fare la gavetta, ma ho capito che non era per me, e allora mi sono messa in proprio e ho iniziato con l’autoproduzione. Ho scritto alle prime aziende che non mi consideravano neanche, e ho pensato, e adesso cosa faccio? Ho pensato al materiale più economico, che è la ceramica, e mi sono iscritta alla Cova, una scuola di ceramica qui a Milano, facendo il corso serale di ceramica a mano libera, poi il tornio, poi ho imparato a fare gli stampi in gesso e piano piano mi sono fatta le mie prime autoproduzioni che vendevo, solo che cambiava il mio lavoro, perché ero diventata anche imprenditrice, dovevo promuovere, avere contatti con i negozi. Poi ho smesso, ho scritto alle aziende che finalmente mi hanno aperto le porte, e così adesso non mi auto produco più.

Parlami di questo tuo mondo…                                                                                    Il mio mondo è un po’ distaccato dalla realtà, è un luogo mio, dove mi rifugio e posso stare al sicuro, e quindi quando magari sono un po’ stressata mi metto lì e disegno. È un mondo con personaggi bizzarri, ci sono uccellacci con i becconi, c’è un notaio con l’occhialino, un mondo fantastico in cui mi lascio andare, gioco con la fantasia e con le forme.

Qual è il tuo rapporto con Milano?                                                                    Sono molto legata alla mia città. Un tempo volevo scappare, da quando ho aperto lo studio e ha iniziato ad andarmi bene dal punto di vista lavorativo, sono attaccatissima, mi piace e adesso è veramente in fermento, ci sono tantissime iniziative e rimane comunque la capitale del design. Tanti architetti famosi vengono qui, quindi un motivo ci sarà. Al momento non mollo, rimango qui. Sono proprio legata a Milano, i miei nonni erano di Milano, i miei sono di Milano, siamo tutti milanesi da generazioni, come non ne esistono più. Mio marito è siciliano invece…

Cosa vuol dire essere ambasciatrice del Brera Design District?        Ci sono degli eventi ai quali dovrò andare, intervenire, e poi mi hanno fatto realizzare l’installazione di Timberland dove potevo mostrare davvero il mio design e il mio tocco femminile. Poi il tema di quest’anno è l’empatia, e in effetti il mio modo di fare design è empatico, io sono una persona molto empatica, davvero! Quando disegno mi emoziono, a volte piango, e faccio una confusione pazzesca, e la cosa che mi interessa di più è quella di trasmettere agli altri le emozioni che ho provato. Mi piace che il mio oggetto diventi davvero un oggetto del desiderio, che qualcuno lo desideri, lo voglia in casa. Sembra una stupidaggine, ma non lo è.

I miei oggetti passano di casa in casa, assorbono tutte le energie, raccontano quello che è successo e le emozioni delle altre persone. Il mio fine ultimo è quello di emozionare gli altri.
Elena Salmistraro, un dettaglio di Cartesio, collezione Flatlandia, cc-tapis, 2018
Elena Salmistraro, un dettaglio di Cartesio, collezione Flatlandia, cc-tapis, 2018

Sei un po’ sciamana…                                                                                                    Sì io mi sento così. Pensa che una volta ero alla Rinascente e c’erano delle lampade che ho disegnato per Seletti, e c’era una signora che diceva a sua figlia quanto fosse bella e quanto la volesse. Ero li vicina e giuro che le avrei voluto dire di averle fatte io! È un’emozione! Pensavo che loro stessero desiderando qualcosa fatta da me. Questa cosa mi fa stare bene, e mi piace l’idea di fare stare bene anche gli altri. Sapere che questa signora sarebbe tornata a casa e sarebbe stata fiera della sua lampada, mi fa credere che alla fine sarebbe stata bene anche lei. Ho detto delle scemenze?! Se ho detto delle scemenze tu taglia!

Ci dai tre consigli per superare il Salone?                                            Staccare dal mondo del design facendo un aperitivo all’Ugo, sui Navigli; ascoltare High and Dry dei Radiohead; portarsi la ‘schiscetta’ da casa per saltare le file al bar. 

Elena Salmistraro, la collezione Primates, Bosa, 2018
Uno dei disegni di Elena Salmistraro per la sua collezione Primates, Bosa, 2018

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