Masahiko Sato: My first me

Nello showroom di Issey Miyake, tre installazioni interattive ci invitano a guardare dentro noi stessi, con gli occhi degli altri. E sfidano le nostre certezze.

Masahiko Sato, “My first me: Know yourself like never before”, exhibition view, Issey Miyake showroom, Milano, Fuorisalone 2018

Una disarmante semplicità. Un invito a guardare meglio, con più attenzione ciò che può apparirci scontato. Operazione quanto mai difficile in un’era di caos informativo, con parole e immagini che arrivano da 1.000 canali diversi e saturano la nostra attenzione. Le installazioni di Masahiko Sato, presentate a Milano durante il Salone del Mobile (17–22 aprile) nel negozio Issey Miyake in via Bagutta, ci sfidano nelle certezze che pensiamo di avere, riguardo a noi stessi e a come percepiamo il mondo che ci circonda.

“My first me: Know yourself like never before” è il titolo della mostra, che riunisce tre opere interattive e una raccolta di video. Docente alla Graduate School of Film and New Media presso la Tokyo University of the Arts, Sato è un personaggio eclettico la cui ricerca si colloca al punto d’incontro tra varie discipline, dall’animazione alle neuroscienze, è stato sviluppatore di software per videogiochi ed è autore del popolarissimo programma per bambini Pythagora switch su NHK, la TV pubblica giapponese: brevi video che mostrano in modo quasi ipnotico il funzionamento d’impeccabili meccanismi costruiti con gli oggetti più disparati, che l’autore stesso raccoglie in giro per il mondo.

A Milano per presentare il lavoro, ispirato alle idee del suo ultimo libro, New Ways of understanding, Masahiko Sato, che già da tempo collabora con lo stilista Issey Miyake, spiega i principi su cui si basa la sua singolarissima esperienza artistica.

Lo showroom di Issey Miyake, Milano, Fuorisalone 2018
Lo showroom di Issey Miyake, Milano, Fuorisalone 2018

Com’è nato il progetto?                                                                                        Vorrei cominciare da un episodio della mia infanzia. Quando avevo sette anni mi fu regalato un registratore, che non era ancora un oggetto di uso comune: incuriosito, lo sperimentai subito insieme alla mia famiglia individuando facilmente le voci della mamma, del papà e di mia sorella, mentre la mia voce mi sembrava totalmente sconosciuta, non l’avevo mai sentita in quel modo. Una situazione analoga si è creata quando, ormai adolescente, mi sono trovato davanti a un negozio di televisori. Anche in quel caso, mi sono visto come mi vedono gli altri: non mi ero mai reso conto di come camminavo. Tutti pensiamo di conoscerci meglio di chiunque altro, ma non è così.

Come può l’arte, con l’aiuto della tecnologia, aiutarci a prestare più attenzione a questa realtà, che ci sfugge completamente?            Nella prima delle opere che presento, Pool of fingerprints, invito a prendere coscienza del rapporto che si ha con la propria impronta digitale. È ciò che ci identifica, eppure noi non ne sappiamo nulla, non saremmo in grado di riconoscerla. In questa installazione la tua impronta viene rilevata semplicemente poggiando il dito su un dispositivo: essa poi prende vita all’interno di una piscina virtuale dove nuota insieme a migliaia di altre che appartengono ai precedenti visitatori, per poi perdersi fino diventare irriconoscibile. Ma se ritorni dopo qualche tempo – anche pochi minuti – il pesciolino-impronta riconoscerà il tuo dito e gli nuoterà incontro, come un cagnolino che corra verso il suo padrone. Il mio scopo è far provare una sorta di “affetto” verso la propria impronta digitale.

Quale reazione ha suscitato sinora l’opera nel pubblico?                        La possibilità di richiamare la propria impronta e poi lasciarla “vivere” è piaciuta molto, credo abbia portato a riflettere. Il senso di spiazzamento, la situazione inaspettata, inducono a porsi qualche domanda in più. La seconda opera che presenterò a Milano – in questo caso si tratterà di un allestimento pensato espressamente per questo spazio – s’intitola “I am looking at me being watched by someone else” e si propone di farci sperimentare una sensazione tanto semplice quanto disorientante. Dentro un cannocchiale vediamo noi stessi dal di fuori, ci giriamo e ci accorgiamo di una persona con un binocolo che sembra osservarci. In effetti ciò che vediamo è la nostra immagine vista dagli occhi di un altro, con momenti di buio in corrispondenza con lo sbattere delle palpebre, che normalmente non percepiamo.

Masahiko Sato, “My first me: Know yourself like never before”, exhibition view, Issey Miyake showroom, Milano, Fuorisalone 2018
Masahiko Sato, “My first me: Know yourself like never before”, exhibition view, Issey Miyake showroom, Milano, Fuorisalone 2018

Quali altre frontiere sta esplorando?                                                                Nel mio terzo lavoro propongo una sensazione di sfasamento fra i sensi. In Ride a swing with finger c’è una piccolissima altalena dove puoi appoggiare il dito: sullo schermo di un iPad vedi l’ambiente circostante come se ti stessi muovendo su di essa, ma non è possibile. I sensi ti danno informazioni discordanti.

Attraverso questi piccoli spiragli che lei apre ci rendiamo conto di quanto siamo lontani dal conoscere davvero la nostra immagine e il modo in cui percepiamo il mondo. Anche se si direbbe esattamente il contrario, visto il numero di immagini che oggi produciamo e che vediamo senza sosta...                                                                                            Credo che in realtà buona parte delle potenzialità del nostro cervello ci sia ignota. Nel quarto dei lavori che presento a Milano – una serie di video – mostro come alcune operazioni di base siano svolte dalla mente senza alcun intervento volontario da parte nostra. La più nota è forse il “grouping” cioè il fatto di individuare forme – per esempio figure umane – laddove ci sono soltanto insiemi di punti. Se riuscissimo a sfruttare tutto ciò che siamo in grado di elaborare automaticamente potremmo ottenere risultati molto interessanti: penso tra gli altri al campo dell’apprendimento.

Quali sono i suoi progetti futuri?                                                                            Mi piacerebbe lavorare su libri di testo per ragazzi totalmente innovativi, che sfruttino i meccanismi che ho descritto. Non m’interessa rivolgermi soltanto a studenti particolarmente dotati, vorrei realizzare strumenti che rendano molto più veloce l’apprendimento per tutti. E dalle ricerche che ho fatto finora sono certo che è possibile.

Video intervista con Masahiko Sato

Titolo mostra:
“My first me: Know yourself like never before”
Artista:
Masahiko Sato
Luogo:
Issey Miyake showroom
Indirizzo:
via Bagutta, Milano
Date di apertura:
17–21 aprile 2018

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