Spesso, al Salone del Mobile, le luci dei riflettori illuminano soprattutto i designer, i progettisti, la loro energia creativa e i prodotti che grazie alle loro ricerche e alle loro sperimentazioni vengono presentati di anno in anno al mercato. Ci si dimentica, a volte, del ruolo ugualmente imprescindibile e decisivo che nella storia del Salone e nella sua attuale configurazione hanno svolto e svolgono le aziende: se il Salone del Mobile è diventato una cosa molto diversa da una semplice fiera commerciale lo si deve all’intuizione di un gruppo di imprenditori lungimiranti e in alcuni casi anche visionari che – in pieno boom economico, contagiati dall’euforia della modernità che dilagava nel paese e consapevoli della necessità di essere innovativi su tutti i fronti – hanno fatto del Salone uno straordinario medium comunicativo, anticipando quella pratica dell’evento come dispositivo promozionale che in altri settori merceologici diverrà centrale e strategico solo molti molti anni dopo.
La storia del Salone del Mobile è, a suo modo, anche la storia virtuosa di una parte rilevante dell’imprenditoria italiana.

C’erano Poggi, Cassina e Molteni, tra le prime aziende ad aderire. Ma anche – fra le tante – Arflex, Bernini, Tecno e Kartell. Insieme, sotto la guida salda e partecipe di Tito Armellini, le aziende dell’arredo e del mobile scelgono di scommettere sul futuro e di confrontarsi con il mondo. Scelgono di puntare sulla comunicazione non come un optional ma come un asse portante delle proprie attività progettuali e imprenditoriali. Fin da subito (e in particolare dal 1965, quando per la prima volta all’interno dell’esposizione viene creata un’area speciale dedicata al design) il Salone diventa il palcoscenico del Made in Italy nel settore dei mobili e dell’arredamento: non solo vetrina, dunque, ma luogo di un racconto destinato a crescere e a espandersi negli anni, trovando in Milano l’energia propulsiva necessaria per promuovere e diffondere le eccellenze del design italiano.
Sono le aziende che hanno fatto del Salone (e poi, dal 1990, anche del Fuori Salone) la piattaforma di lancio di nuovi modi di vivere e di abitare, che hanno anticipato bisogni e tendenze ancora latenti, che hanno intercettato sul nascere i nuovi orientamenti del gusto dando sempre risposte adeguate alle domande che di volta in volta andavano affiorando tra i consumatori. La storia del Salone del Mobile è, a suo modo, anche la storia virtuosa di una parte rilevante dell’imprenditoria italiana: quella che ha saputo osare e rischiare, che non ha avuto né remore né titubanze nell’investire sulla ricerca e sulla sperimentazione, che ha coinvolto i migliori talenti creativi disponibili sul mercato internazionale e che ha saputo alzare lo sguardo scegliendo il mondo come target di riferimento. Ma è anche quell’imprenditoria innovativa che non ha esitato a offrire gli oggetti usciti dalle proprie fabbriche e dai propri laboratori a una rete di relazioni che ha coinvolto sempre più profondamente non solo i numeri del mercato e gli andamenti dell’export, ma anche i rapporti fra materiale e simbolico, fra funzionale ed espressivo, fra utile e bello.
Il Salone diventa il palcoscenico del Made in Italy nel settore dei mobili e dell’arredamento: non solo vetrina, dunque, ma luogo di un racconto destinato a crescere e a espandersi negli anni.

Le aziende che hanno creduto nel Salone, insomma, hanno prodotto cultura. Con audacia e originalità, irrequietezza e dinamismo, hanno mostrato di saper interpretare i valori culturali della società contemporanea e, in alcuni casi, anche di saperli rimettere in discussione. Hanno reso più abitabili e confortevoli le nostre case, ma hanno introdotto qualità e valore anche nelle nostre vite. E se oggi la kermesse formata da Salone/Fuorisalone/Salone Satellite, nel suo vertiginoso mix di affari, arte, cultura, mostre, spettacoli, installazioni, happening, performances e flaneries, è un unicum al mondo, irripetibile e a suo modo auratico, è perché le grandi innovazioni imprenditoriali, quando hanno coraggio e visione, riescono spesso ad andare anche ben oltre quelle che erano le aspettative di chi quelle iniziative e quelle innovazioni le ha pensate, volute e realizzate. Al Salone è successo questo. Ed è proprio e anche per questo che dobbiamo tenercelo caro, e continuare a nutrirlo con la visionarietà anticipatrice che l’ha fatto nascere ormai più di sessant’anni fa.
Immagine di apertura: Rodolfo Dordoni, Twiggy, 2022. Courtesy Minotti