di Alessandro Scarano
In Oregon, sulla costa occidentale americana, ottobre è il mese di Halloween. A Portland, la città più grande del Green State, zucche e scheletri si insinuano nel paesaggio urbano. Ma a Beaverton, la cittadina poco distante che ospita il campus Nike, si respira un altro spirito: qui siamo nella fantascienza. Questi sono i giorni in cui la più grande azienda di abbigliamento sportivo del mondo presenta le sue innovazioni, avanzando verso territori prima inesplorati.
Per raccontare le sue innovazioni, Nike ha creato installazioni degne della migliore design week di Milano: più che un lancio stampa sembra il percorso di una galleria d’arte contemporanea. Il messaggio viene trasmesso prima di tutto per via emozionale a un numero ristretto di giornalisti. Dall’Italia c’è Domus.
Succede nelle stanze al primo piano del Serena Williams Building, una delle maggiori “case” nello sconfinato campus da 14 mila dipendenti che proprio in questi giorni è stato dedicato al cofondatore Phil Knight – ora si chiama Nike Philip H. Knight Campus.
Per Nike, innovare significa ciò che ha sempre significato: servire gli atleti. Il modo in cui innoviamo è cambiato, ma il motivo per cui lo facciamo resta lo stesso.
Phil McCartney
In questi ambienti scenografati, il giorno dell’arrivo, vengo introdotto a problemi cruciali che si frappongono tra gli atleti e la performance ottimale. Che sono poi alcuni dei principali problemi dell’essere umano oggi: quello della mente e dello stress, del corpo e dell’ambiente, del clima e del comfort in un pianeta che accelera e sembra entrato in una crisi permanente. Un gran bel teasing, ma la premessa, poi confermata, è chiara fin da subito: Nike sta ampliando la propria definizione di performance — dall’ottimizzazione fisica alla concentrazione mentale, all’equilibrio emotivo e alla tecnologia adattiva.
Nike Mind, la scarpa che calma la mente
Quelle stesse stanze saranno poi ripopolate con le “soluzioni” – ovvero innovazioni in forma di prodotto – il giorno dopo. A partire da Nike Mind, che farà il suo debutto negli store dall’inizio dell’anno prossimo. “Una scarpa disegnata intorno alla mente”, spiega Nike: “non per farti andare più veloce, ma per aiutarti a concentrarti e recuperare”. Nike Mind è una calzatura costruita in base ai meccanorecettori presenti sotto la pianta del piede. “Per i primi quarantacinque anni la ricerca di Nike si è concentrata sul corpo, dal collo in giù. I prossimi quarantacinque includeranno anche il cervello”.
Nike Mind è un prodotto ma anche un mood: quello di una tecnologia “calma”, che aiuta a ritrovare sé stessi. Siamo lontani anni luce dall’affanno disruptive che nell’era dell’AI domina come un imperativo categorico la narrazione della Silicon Valley, epicentro simbolico della tecnologia globale, lontano anni luce eppure solo a poche ore di macchina da qui.
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“Essere più calmi fa bene a tutti”, ribadisce a Domus l’EVP e Chief Innovation, Design & Product Officer di Nike, Phil McCartney. Questo è solo il primo passo (sic) di una idea molto più ampia su preparazione e recupero, ribadisce McCartney, facendo intuire che con le due scarpe Nike Mind 001 e 002, disponibili a gennaio, si apre un ventaglio di possibilità finora mai esplorate.
Cosa significa innovare in Nike
“Se vuoi essere conservativo e procedere per piccoli passi, non sei dei nostri. Devi essere affidabile e desiderabile — ma anche imprevedibile”, spiega a Domus Phil McCartney.
Al tempo stesso, l’innovazione qui a Beaverton si muove da sempre su un binario preciso. “Per Nike, innovare significa ciò che ha sempre significato: servire gli atleti. Il modo in cui innoviamo è cambiato, ma il motivo per cui lo facciamo resta lo stesso.”
Ma chi è questo atleta? McCartney ha una risposta perentoria: “se hai un corpo, sei un atleta”. E questo è il principio per cui Nike “innova per otto miliardi di persone”. Ovvero: siamo tutti atleti.
“L’innovazione inizia con una domanda: chi stai cercando di migliorare e cosa stai cercando di migliorare?”, fa eco Tony Bignell, Chief Innovation Officer di Nike – anche nell’accento, Bignell è di Londra, McCartney di Newcastle, una piccola enclave britannica qui sulla West Coast nel dipartimento innovazione di Nike.
Lo incontro al LeBron James Innovation Center, dove vengono raccolti dati su dati, in stanze che possono emulare qualsiasi condizione climatica del pianeta, con un campo da basket, uno da calcetto e una pista da corsa (“probabilmente i più tecnologici del mondo”) dove gli atleti si allenano e le loro prestazioni vengono analizzate e quantificate.
La verità non sta tutta nella scienza né tutta nel design: la magia è nel mezzo.
Tony Bignell
Amplify, il progetto che “amplifica” il movimento
“A volte bisogna essere audaci”, dice Bignell. “Vieni da Nike perché vuoi essere messo alla prova — per provare cose nuove.” Ed è sicuramente “bold” l’innovazione che, delle quattro presentate da Nike, è quella più sperimentale, futuristica, e senza ancora un’applicazione chiara e precisa. Pensata non per l’atleta di professione, ma per quegli otto miliardi di “corpi” a cui faceva riferimento McCartney: Amplify.
“Quando ho provato per la prima volta Amplify ho pensato: ‘è pazzesco, è qualcosa di totalmente nuovo’, ma poi ho capito che la cosa più potente non era la tecnologia. Era che potevo andare a correre con mia madre. Non è mai riuscita a farlo”, così Bignell incapsula in un racconto emozionale il primo progetto di calzatura “potenziata” di Nike, una eso-scarpa robotica che si sincronizza con il movimento di chi la calza.
Amplify è pensato per camminare e correre più a lungo con meno sforzo. “È una ebike per il tuo piede”: Michael Donaghu, VP Create The Future, Emerging Sport & Innovation, un veterano qui a Beaverton, mostra diversi prototipi, creati nel corso degli anni in collaborazione con Dephy, azienda di robotica. Il primo risale al 2021. Racconta la sfida del ridurre al minimo le dimensioni della batteria e il peso del dispositivo.
Donaghu sottolinea come Nike ha passato decadi “cercando di minimizzare la perdita di energia”, e ora sta lavorando su qualcosa che di energia “te ne possa dare ancora di più”. È una nuova rotta per Nike: quella della robotica e dell’“augmentation” della prestazione sportiva.
Prendi Nike Mind, prendi Amplify: è evidente che non c’è la pretesa di una coerenza nelle innovazioni presentate da Nike. C’è una unità filosofica, data dal fatto che sono tutte esperimenti, rispondono tutte a delle problematiche concrete, e tutte ridefiniscono cosa voglia dire innovare il corpo oggi. “La verità non sta tutta nella scienza né tutta nel design: la magia è nel mezzo”, mi confida Bignell. E questo accade anche per le altre due novità, che sono un nuovo sistema tessile ad alta performance e una giacca gonfiabile per la squadra USA alle Olimpiadi di Milano-Cortina.
“Esistiamo per servire l’atleta”
Emana energia anche solo quando muove un singolo passo Elliott Hill, e quando gli dico che sono “from Milan” mi risponde “Amo Milano” e attacca a parlare italiano. “Il nonno era di un paese vicino a Palermo: erano molto poveri”. Entrato in Nike come stagista più di 30 anni fa, da qualche giorno è ufficialmente il nuovo Ceo dell’azienda.
“Spero che, andando via da qui, abbiate una percezione più chiara di dove siamo arrivati e soprattutto di dove stiamo andando”, dice Hill alla platea dei giornalisti.
Ma come è fatto questo futuro? Questi giorni dedicati all’innovazione, in cui Hill compare per un breve discorso, raccontano un’azienda che non lascia da parte i suoi valori fondativi, “esistiamo per servire l’atleta” e lo facciamo da 54 anni, ribadice Hill. Per farlo, Nike ora corre verso nuove frontiere: le scienze della mente e la robotica, prima di tutto. E poi c’è un cambiamento del concetto di performance, che si allarga a parametri qualitativi di percezione, concentrazione, salute mentale e feeling. Il futuro della più grande azienda di abbigliamento sportivo del mondo sarà biotecnologico?
La sensazione è che Nike non stia più disegnando semplici prodotti, ma sistemi, che vivono, si adattano e imparano insieme a chi li usa. Nike ora progetta stati dell’essere. E lo fa con “con alcuni dei più visionari innovatori, creativi, sognatori, scienziati e ingegneri”, come dice Hill. Calma, presenza, movimento, energia sono al centro dell’innovazione mostrata a Beaverton. Con quel pizzico di follia in più.
Aero-Fit: l’aria diventa tessuto
L’aria ha un ruolo cruciale nell’identità di Nike. Aero-Fit è l’ultima evoluzione della piattaforma Fit di Nike, creata per vestire gli atleti e sul mercato da 30 anni.
“Tutto è cominciato con l’ossessione per il flusso d’aria”, spiega Nike. E con la sfida data dal cambiamento climatico. Interamente realizzato da materie riciclabili, anche grazie a nuovi processi tecnologici, Aero-Fit distilla il pensiero circolare di Nike.
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“Aero-Fit ti tiene al fresco grazie al flusso d’aria: è riciclabile al 100% e supera in tutto le soluzioni precedenti” e ancora “gli atleti ci hanno detto che sentivano l’aria attraverso la maglietta”, dice Nike. Un primo lancio è previsto per la prossima estate, ma l’obiettivo sono i Giochi di Los Angeles.
Therma-FIT Air Milano: dal freddo al caldo, con un soffio
Dal caldo al freddo, da Los Angeles indietro ai Giochi invernali di Milano-Cortina. “Stiamo riportando la gioia dentro l’innovazione. La giacca Milano ne è un buon esempio: risolve un problema funzionale, ma lo fa in modo divertente”: così Phil McCartney, che indossa uno strabiliante prototipo della felpa Aero-Fit della nazionale inglese in colorazione nera con i tre leoni in bella vista, racconta l’ultima arrivata nella lunga e mai abbastanza celebrata storia di giacche gonfiabili di Nike.
Therma-Fit Air Milano. Courtesy Nike
La giacca Thermafit Air Milano è un indumento con regolazione termica dinamica: gonfiandola, chi la indossa passa dal calore di una felpa a quella di un piumino senza doversi cambiare. “Usando l’aria come isolante, abbiamo risolto il problema degli strati”, spiega Nike. Sviluppata soprattutto in digitale, segna la prima volta in cui Air diventa un capo indossabile.
Air per Nike è una metafora eterna, e con questa giacca non più semplicemente un ammortizzatore, ma un linguaggio di adattabilità e leggerezza. Per citare McCartney: “Air deve sempre sembrare Air, Nike Air: è quella combinazione di scienza e tocco umano che la fa funzionare”. E così Air diventa A.I.R.: Adapt. Inflate. Regulate: ovvero “adatta, gonfia, regola”.
Studiata per il team USA e parte del rilancio della amatissima linea Acg in vista delle Olimpiadi, esteticamente questa giacca è Nike all’ennesima potenza: bianchissima e smaccatamente Space Age nei richiami estetici, con elementi riflettenti e una grande stampa con scritte nella fodera. Anche solo la pompetta elettronica che la gonfia, arancione e minimale, è uno statement. Come lo è il materiale laminato a doppio strato: leggero, ineffabile, eppure resistente e pronto a irrigidirsi quando viene gonfiato.
Stiamo riportando la gioia dentro l’innovazione.
Phil McCartney
In Colorado, centinaia di atleti l’hanno usata per sciare, camminare sulla neve e anche pescare, per provarla e migliorarla. È l’eco di qualcosa che abbiamo sentito spesso in questi giorni nel campus Phil Knight: che non esiste una scienza esatta, ma tutto va provato, sperimentato, smontato e poi ricostruito finché non “suona giusto”. L’abbiamo visto con i prototipi di Amplify, con le tante “corse sul fiume” qui vicino per provarli e con le evoluzioni di Nike Mind. Con gli studi sul corpo che sono stati tradotti nella nuova piattaforma Aero-Fit. Qui in Nike, il fallimento è stato trasformato in un metodo di design vincente. L’innovazione più importante, probabilmente, è proprio questa: trasformare il limite in un vantaggio. Dal cervello al piede, dalla mente all’aria: la nuova Nike non produce più oggetti, ma stati d’animo incarnati.
Tutte le immagini: Courtesy Nike
