15 giorni post lockdown in VanMoof, la Tesla delle ebike

La nuovissima elettrica olandese arriva nel pieno del boom mondiale della mobilità sostenibile. Con l’ambizione di portarla nel futuro. Per metterla alla prova, l’abbiamo usata due settimane a Milano, città che con le bici ha da sempre un rapporto di odio e amore.

Corso Buenos Aires è un lungo tratto di strada commerciale parecchio trafficato, che rappresenta per Milano quello che potrebbe essere la Quinta Strada a New York o Nathan Street per Hong Kong, fatte le debite proporzioni. Il corso, ideale prolungamento del centro città e del Quadrilatero, è collocato su una via antica che portava verso Venezia: Manzoni lo fa percorrere a Renzo Tramaglino quando lascia Milano, costeggiando il Lazzaretto, ne I Promessi Sposi; qui c’era l’ippovia Milano-Monza, la prima interurbana d’Italia, elettrificata nel 1900. Prima della quarantena, era uno dei distretti con il più alto fatturato del pianeta. La realizzazione da parte del Comune, proprio qui, notte dopo notte, isolato dopo isolato, di una pista ciclabile su entrambe le carreggiate, tra le prime del piano di ripartenza sostenibile post-Covid, realizzata con semplice segnaletica orizzontale, creando una via sicura per bici e monopattini, ha generato più di una polemica, che restituiscono senza troppi fronzoli l’approccio di Milano e forse dell’Italia intera all’uso della bici. I negozianti, da sempre una voce tra le più conservatrici della città, hanno lamentato che sottrarre alle auto una parte di strada avrebbe scoraggiato gli acquisti in zona, rendendo più difficile la ripresa post lockdown; in linea con l’equazione “più automobili=più benessere” i gruppi di oltranzisti dell’automobile sostengono che per fare ripartire l’economia bisogna accelerare sui consumi e questo può avvenire solo al volante di un’auto. Niente di sorprendente: nella visione “imbruttita” del milanese da cliché, in realtà condivisa sul serio, la bicicletta è un mezzo da passeggiata, da tempo libero, che dovrebbe lasciare il passo ai veicoli su cui gira il lavoro – scooter e automobili – nei giorni feriali. Del resto, almeno all’inizio, si sono trovati spiazzati anche quelli che la bici la usano quotidianamente, che si sono visti per la prima volta una ciclabile inusuale qui, che serpeggia nel traffico, stretta tra le macchine parcheggiate a sinistra e il marciapiede sulla destra. Insomma, come quando ricevi un regalo, ma non quello che pensavi tu. Abitando proprio in fondo a Corso Buenos Aires, io questa ciclabile l’ho utilizzata parecchio, nei 15 giorni in cui mi sono spostato in città utilizzando unicamente la Tesla delle bici elettriche. Figlia dei Paesi Bassi, amatissima dai tedeschi, idolatrata dalla stampa tech e di settore, come si comporta la nuova VanMoof S3 quando non se la gioca in casa e nemmeno in una città che vive un improvviso colpo di fulmine per le bici, come Parigi?

Una bici in scatola

Scende una pioggerella sottile il giorno in cui mi consegnano la VanMoof S3. Il corriere trascina dal furgoncino un pacco gigantesco, che tocca il suolo con un tonfo. Con qualche difficoltà me lo tiro fino a casa, per fortuna abito al piano terra. Barry Bracken, Media & Communication Specialist di VanMoof, mi ha spiegato che la mia bici viaggia con il packaging del vecchio modello, la S2, mentre il nuovo è più compatto. Ma forse non perfetto: sui gruppi Facebook dei VanMoofers, fioccano le lamentele di chi ha comprato i nuovi modelli a ridosso del lancio per la consegna di bici danneggiate, con scatole martoriate e manubri che fanno capolino da buchi nel cartoncino. Tutte bici che vengono rimandate da VanMoof per essere prontamente sostituite. “È importante ricordare che si tratta di un numero di casi minore”, chiarisce Bracken, aggiungendo che producendo e assemblando le bici “in casa”, è più facile correggere il tiro in caso di problemi. E VanMoof ha già annunciato una ottimizzazione del packaging. Nella scatola insieme alla bici trovo una cassetta con tutte le chiavi necessarie, un manuale e del lubrificante, e il caricatore, uno scatolotto molto più grande e pesante di quanto mi aspettassi, con uno spinotto che si infila direttamente nel telaio. Orientato il manubrio e montato il sellino, tutto con il set di chiavi e accessori fornito da VanMoof, è l’ora di collegare la bici al telefono, con le credenziali che mi ha fornito Barry. A questo punto la bici è pronta e visto che una amica mi ha invitato per un caffè, e che mi resta ancora un po’ del tempo della pausa pranzo, mi metto in sella. La batteria è al 50%, circa, e non piove neanche più.

Com’è la prima volta su una VanMoof elettrica?

La risposta in sintesi: strana. Soprattutto se non te la sei studiata bene prima di salirci, come ho fatto io, che semplicemente la accendo – in realtà si accende da sola quando ti avvicini con lo smartphone in tasca – e comincio a pedalare. Il resto lo fa lei. Non è uno scooter, è orgogliosamente una bici, avanza solo se pedali; al tempo stesso, la pedalata è facilitata dal motorino posto sulla ruota frontale. La VanMoof S3 non è certo una bici leggera, anzi rispetto alle essenziali e snellissime fixie e single speed che sfrecciano per Milano è un piccolo carroarmato. Ma rispetto a una bici muscolare, pare di volare in avanti. Serpeggio agilmente lungo la ciclabile di Buenos Aires, mi arrampico senza sforzo sui bastioni di Porta Venezia e oltre verso il centro. Lo schermo led con grafica a pallettoni indica in tempo reale la velocità e la batteria rimanente; il pulsante sulla manopola sinistra aziona il campanello elettronico, con la possibilità di cambiare il suono dalla app, invece quello a destra “spara” il turbo della bici, facendola accelerare di getto. All’inizio mi sembra solo una caratteristica utile ai semafori, in realtà scoprirò con il tempo quando sia preziosa. Ma per la prima volta è già stato quasi magico pedalare con l’assistenza fornita dalla bici, che velocizza il movimento e rende meno faticose tutte le ripartenze, la vera croce di ogni bicicletta in città. Intanto sono arrivato: parcheggio, lego la bici e preparo Satispay per pagare il caffè, ma non prima di avere innescato l’antifurto.

No stress

Eh già, la VanMoof ha un antifurto che si aziona con un pulsante sulla ruota posteriore, bloccandola. Se qualcuno cerca di muoverla, emette un suono, all’inizio puntuale, poi prolungato. Nota per l’Italia, il paese di Ladri di biciclette: forse la scelta di qualcosa che sembrasse una sirena o più esplicitamente un allarme funzionerebbe meglio. Ho provato più volte a “rubarmi” la bici da solo e nessuno si è girato. VanMoof è forse l’unica azienda a offrire un piano per il ritrovamento della bici nel caso venga rubata, grazie a una sim integrata nel telaio, che dura tre anni e costa circa 300 euro. O te la ritrovano, o te ne danno una nuova. Questo non c’entra però con la posizione della bici segnalata sulla app, completamente gestita via Bluetooth, puntualizza Bracken, anche se in un futuro le cose potrebbero cambiare. Mi procuro su Amazon una di quelle catene con il codice anziché la chiave e bloccare/sbloccare la VanMoof, che si accende quando mi avvicino, diventa semplicissimo. E molto sicuro.

La ruota posteriore e l’antifurto

“La Tesla delle ebike” (definizione non mia, ma che approvo)

Nella recensione della S3 che Matt Jancer ha scritto per l’edizione americana di Wired, c’è un passaggio in cui racconta quanto spesso usando la bici abbia raccolto le attenzioni dei passanti a New York, addirittura con una piccola folla che si è raccolta intorno a lui durante una sosta a Central Park. Bene, posso dire che a Milano tutto questo non è successo, anche se i miei amici hanno cominciato a chiamarla “L’ astronave”. La VanMoof S3 è una interpretazione estremamente contemporanea della bicicletta da città all’olandese, con linee robuste e un guscio opaco e levigato, quasi “unibody” come quello di un MacBook, doppio parafanghi su ruote molto larghe e capaci di ammortizzare bene la corsa, motore sulla ruota anteriore e freni idraulici sviluppati in casa da VanMoof, batteria integrata – sì, non puoi sganciarla per ricaricare – nascosta nel telaio; quest’ultimo è caratterizzato da una canna tubolare e protrudente, con i fanali alle estremità, che è un po’ la firma del marchio, ed disponibile in due variazioni di colore, nera o light(una colorazione ciano). Si ricarica completamente in 4 ore, o per metà in 80 minuti. È una bici solida e grossa, pesa quasi 20 chili e non è per tutti: io che sono alto poco più di 170 centimetri la uso abbastanza comodamente, ma chi è più basso dovrebbe optare per l’altro modello, la X3, che nelle linee sembra una rilettura di una bmx (fan di Stranger Things siete avvisati), con qualche accorgimento ripreso delle bici olandesi da donna e ruote dal diametro più piccolo. La prima X fu pensata per il Giappone: meno classica nell’aspetto, avere una S3 Mini a catalogo non sarebbe male. In ogni caso, con i loro quasi venti chili, entrambe le VanMoof della “Serie 3” non sono il mezzo ideale da portare a casa su per le scale: questo complicherà la vita a molti quando c’è da ricaricarla la sera. Ad Amsterdam già affittano appositi spazi dove lasciarle in carica la sera. I due modelli, lanciati ad aprile, sono gli unici oggi acquistabili sul sito: fondata nel 2009 da due fratelli olandesi, con un nome che voleva essere un divertissement ispirato alla parola che in inglese significa movimento, “move”,  Taco e Ties Carlier, ma con l’ambizione serissima di impostare un nuovo standard per la mobilità urbana, proprio come Tesla l’azienda si basa su un sistema di vendite diretto al pubblico, online o attraverso una manciata di store presenti soprattutto nelle grandi città dei mercati principali: Germania, Olanda, Regno Unito, Usa e Francia. Grazie alle vendite record della S2, VanMoof ha potuto ottimizzare la produzione del suo nuovo modello, mettendo sul mercato una nuova bici a meno di 2000 euro, quasi la metà rispetto al prezzo precedente, con 15mila unità vendute dal lancio di aprile, e tempi di consegna lunghi anche mesi. VanMoof, che nel 2018 ha incassato 10 milioni di euro, ne prevede circa cento per quest’anno.

4x4

Milano, si dice, è una città potenzialmente perfetta per circolare in bici, piatta e piccola di dimensioni. In verità, sono tanti gli elementi che scoraggiano l’uso della bicicletta: le tante strade lastricate da pavé, spesso sconnesso, e attraversate dai binari dei tram, che solo raramente circolano in corsie preferenziali. L’Italia è il primo paese europeo per la produzione delle biciclette, con marchi dalla fama planetaria: Bianchi, Colnago, Pinarello, Cinelli e tanti altri, concentrati soprattutto nel nord e intorno a Milano. Eppure la capitale economica del paese non è certo una città progettata per spostarsi in bici attraverso percorsi sicuri: in centro mancano le ciclabili e spesso quelle che ci sono sono dei tratti brevi e morti, ci sono sensi unici che rendono i percorsi tortuosi, asfaltature che sembrano paesaggi lunari, rotaie del tram che emergono dal cemento come lame, e spesso sono gli stessi ciclisti ad abusare di spazi che dovrebbero essere riservati ai pedoni, dalle strisce per attraversare ai marciapiedi. Utilizzare la VanMoof mi ha reso la vita un po’ più facile che con la mia fixie: le ruote sono larghe e affrontano benissimo pavimentazioni non proprio perfette e la minore fatica nel pedalare permette di fare giri larghi, senza farsi attrarre dal canto delle sirene giù per il centro, Scilla e Cariddi di ogni pedalata. Per capire come si muove una VanMoof S3, il numero 4 è fondamentale: sono quattro infatti i diversi gradi di assistenza per la pedalata, più un grado “zero” per chi non sente il bisogno della spinta elettrica; ma sono quattro anche i diversi rapporti meccanici di velocità della bici. A differenza della tua vecchia mountain bike con cambio Shimano però il passaggio da un rapporto all’altro avviene in modo del tutto automatico, completamente gestito dal cervello della bici; se ne possono personalizzare i parametri direttamente dalla app.

VanMoof+Smart Working ai Giardini

Customizzala!

La VanMoof è bella, la sua community ancora di più. Quando Barry Bracken mi ha comunicato che sellino della bici che sto provando non è quello definitivi, ho pensato che è la prima cosa che solitamente cambio in una bici già assemblata. Ma sui gruppi Facebook e Reddit dedicati si vedono bici nuove e vecchie con borse agganciate ovunque e di ogni tipo e marca e colore, portapacchi modificati in casa, casse per la musica nei portaborraccia, armature salvatelaio, cestini anteriori e posteriori di ogni foggia e specie, anche ricavati da cassette della frutta, specchietti che neanche su una Harley, manopole di ogni materiale e sfumatura. E sempre da questo laboratorio digitale arrivano idee per una bici ancora più funzionale: con un altoparlante bluetooth integrato e collegato allo smartphone, per esempio. E scopro una startup che vende una catena alternativa, a loro dire migliore di quella di serie. Ma per cominciare mi basterebbe un caricatore meno pesante da portarmi dietro.

Lo zen e l’arte del turbo

Ed è proprio la community VanMoof che mi introduce alle infinite modalità con cui queste bici possono essere utilizzate. In una discussione su Facebook, gli iscritti di VANFMOOF ing raccontano con strane formule quanto e come utilizzano, spesso quotidianamente, la loro bici elettrica. Tipo: “70% speed 1, 20% speed 2, 10%turbo“. In molti usano in maniera intensiva il turbo della bici, che accelera incredibilmente la minima pedalata, anche a rischio di dovere fare una ricarica ogni sera. Provo anche io la tecnica e in effetti funziona: se hai davanti un tratto di strada libero, magari nelle zone periferiche della città, e vuoi percorrerlo in velocità, attacchi il turbo e vai. E così anche il mio modo di utilizzare la bici è cambiato, preferendo magari una pedalata un po’ meno assistita (è tutto esercizio) e generose dosi di “spintarelle”. Una nota: l’assistenza in Europa è limitata ai 25 chilometri all’ora per legge, negli Stati Uniti invece è concessa l’accelerazione fino a 20 miglia orarie, che vuole dire intorno ai 32 km.

Al lavoro in VanMoof (sotto la pioggia)

La redazione di Domus si trova a Rozzano, un sobborgo meridionale subito fuori Milano più o meno diametralmente opposto a dove vivo io. Dopo avere lavorato a casa per tutto il lockdown, sono stato in ufficio una sola volta, usando la mia bici. La seconda volta è in VanMoof. Piove. Inforco la S3, prima attraverso Milano da nord a sud e poi schizzo lungo il vialone che esce dalla città, costeggia il Parco Agricolo sud, passa accanto a un grande centro commerciale e oltre l’anello della tangenziale. Un interessantissimo paesaggio suburbano. Percorro ciclabili, strade con il pavé, strade con buche, accorcio dal centro, mi ributto sulle circonvallazioni, evito gli schizzi, metto a dura prova i freni a disco della S3 quando un vecchietto in auto mi taglia la strada, respiro smog e pioggia, sudo nella mascherina, imbocco un ponte che forse era vietato alle bici... Sparo il turbo tutte le volte che posso. Scampanello alla gente che passeggia sulle corsie riservate alle bici, qualcuno salta terrorizzato. Senza pestare troppo sui pedali, in modalità assistita 2, impiego tranquillamente una quarantina di minuti, contro l’oretta circa della bicicletta muscolare. Con molto meno sudore, complice anche il clima. E mi sono sentito anche più sicuro. In tutto, tra andata e ritorno, ho consumato il 30% della batteria.

La app

Le VanMoof non sono semplicemente elettriche. Vogliono essere intelligenti. E lo si vede dalla app, che si presenta semplicissima per poi aprirsi a una intricatissima serie di opzioni che forse spaventeranno chi la scarica per la prima volta – anche se al primo utilizzo sia pre un tutorial e in VanMoof stanno lavorando sul renderla più accessibile, mi assicura Bracken. C’è la mappa con l’ultima posizione rilevata, un quadro che ricapitola tutte le corse con una soddisfacente dose di statistiche (ma anche una certa inaccuratezza), e poi il pannello delle impostazioni vere e proprie: quale livello di assistenza per la pedalata, il suono del campanello, la regolazione del cambio automatico, fino alla possibilità di sbloccare la bici semplicemente avvicinandosi. E mille altri piccoli accorgimenti. Certo, la strada per essere veramente smart è ancora lunga: sarebbe utile potere fare suonare la bici a distanza (sì, proprio come con l’iPhone), avere indicazioni di percorso anche rudimentali sullo schermo lcd integrato e aiutare la pedalata quando si è, per esempio, controvento, o in altre situazioni di difficoltà. Per non parlare del sogno assoluto di ogni ciclista urbano da sempre: il sellino che si abbassa quando sei fermo al semaforo.

Fuori dalla città e ritorno

Infrastruttura un tempo essenziale per le sorti economiche di Milano, oggi i Navigli vengono associati soprattutto alla zona che ne porta il nome, un distretto che sorge attorno ai navigli Grande e Pavese, noto soprattutto per i suoi bar, battutissimo dai turisti nel post-Expo. Scorre dalla parte opposta della città l’altro grande Naviglio, la Martesana, che metteva in comunicazione la città con lago di Como, congiungendosi con il fiume Adda. A lato del canale corre una lunga ciclovia che arriva fino a Lecco, passando accanto al fiume Adda. Con la bella stagione diventa un guazzabuglio di famigliole che passeggiano, monopattini elettrici, svariate bici, anziani che procedono a zigzag, bambini in agonismo da GPM. Si susseguono sulla via baretti e gelaterie, cappelle votive, località amene poco conosciute come Cassano condite dai fumi delle grigliate estive o luoghi d’interesse assoluto come l’ex villaggio operaio di Crespi d’Adda o le tante testimonianze di quando Leonardo risiedeva in questa zona. È una perfetta rappresentazione dei percorsi dedicati alle bici in questa area, orientati più al turismo che agli spostamenti quotidiani e comunque spesso discontinui, con passaggi attraverso paesi o tratti non asfaltati, come quello che proprio da Cassano segue la Martesana fino al suo tuffarsi nell’Adda. La VanMoof è una bici progettata esplicitamente per le traversate urbane, ma risulta praticissima anche per un weekend fuori porta: le ruote larghe sicuramente non sono adatte all’offroad, ma vanno benissimo per lo sterrato, i freni a disco rispondono bene sia negli slalom tra i passeggiatori della domenica, sia sul terreno sdrucciolo, e il turbo permette di percorrere con una certa velocità quei tratti meno piacevoli – per esempio se ti trovi a fare una decina di chilometri sulla statale, sotto al sole di giugno. I miei piani iniziali prevedevano andata e ritorno da Lecco, ma la strada era chiusa per lavori – un’altra grande costante delle ciclabili lomabrde. Così mi fermo in un bar di Cassano d’Adda per una bibita, con la bici a vista e l’antifurto innescato, e le grigliate sullo sfondo del panorama dall’altra parte del fiume. Una toccata e fuga di qualche ora, agevolissima, 50km volati via come se niente fosse e autonomia giù del 40%. Domani mi aspetta la vita di tutti i giorni a Milano. Finché la batteria è carica non mi fa poi così tanta paura.

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