Roma. Nanda Vigo e Paolo Soleri in un universo di Alcantara

Con “Arch/Arcology”, installazione del progetto Alcantara-MAXXI, Nanda Vigo pesca dagli archivi del museo romano i progetti incompiuti di Paolo Soleri e ne mostra la potenziale concretezza.

Nanda Vigo. Arch/Arcology

“Light è il sentiero delle stelle/Light è l’alfabeto cosmologico per leggere le galassie”, sono le prime linee estratte dal testo Light Trees, composto da Nanda Vigo nel 1983 e ripreso da Dominique Stella nella monografia Light Trek (ABC-Arte, 2014), a indicare la luce come costante della sua ricerca. Viaggio nella luce che oggi Nanda Vigo propaga nelle viscere del MAXXI con “Arch/Arcology”: progettazione di un interno del museo come interpretazione degli escapismi visionari di Paolo Soleri, attingendo alla collezione permanente del museo e adoperando la materia duttile dell’Alcantara.

Con “Arch/Arcology”, Nanda Vigo apre il nuovo corso di Studio-Visit, installazione del Progetto Alcantara-MAXXI – rinnovata coproduzione tra azienda e museo – che interseca archivio, arte contemporanea e museografia come atto unico della conoscenza, di cui “lo studio”, precisa la curatrice Domitilla Dardi, “è simultaneamente ambiente e ricerca”. Dall’archivio del MAXXI, Nanda Vigo fa emergere gli impianti utopici tracciati da Paolo Soleri per habitat ecologici a impatto ambientale zero.

“Sono stata attratta da quello che io chiamo processo a gravità zero”, mi racconta Nanda Vigo, “come attitudine al progetto che unifica la mia ricerca e quella di Soleri, un’affinità che mi ha portato a considerare i suoi progetti incompiuti e a svilupparli in 3D, per mostrarne la potenziale concretezza, oltre l’utopia. Le visioni di Soleri sono spunti energetici che possono portarci fuori dallo stallo attuale in cui si trova la città contemporanea, che rischia di ridursi ad archeologia dell’abitare. Tensione tra realtà e immaginario che ho stigmatizzato nel binomio Arch/Arcology”.

Studio-ambiente che Nanda Vigo riveste di Alcantara: membrana connettiva, boiserie in pelle sinestetica, foglio di riscrittura a nastro continuo, ispirato dai lunghi scroll disegnati da Paolo Soleri. E, come ad Arcosanti, l’orizzonte non c’è: Nanda Vigo disloca le geometrie di Paolo Soleri sospendendole nel vuoto-pieno di un universo artificiale a gravità zero. I solidi estrusi dalle figure piane di Soleri, restituiscono gli sviluppi immaginati da Nanda Vigo per alcune sue articolazioni urbane rimaste incompiute. Volumi avvolti di Alcantara che formano con la parete una superficie continua, dove l’orientamento dei modelli è rovesciato di 90°, per cui nell’unità materica tra figura e sfondo, accentuata dalla profondità di un nero micro-granulare, i perimetri della stanza si dissolvono in un sistema solare ad alta concentrazione architettonica.

Le piante di Soleri sbocciano come microcittà satellitari: “sistema antigravitazionale per una poetica stellare che alleggerisce l’impatto umano sul cosmo”, attivato in “Arch/Arcology” da “bottoncini fluorescenti e da stelle di LED”, bulbi piliferi che bucano i capelli di materia oscura dell’Alcantara assecondando il principio dell’interno come opera d’arte totale, matrice di progetto. Intorno-oggetto-osservatore coincidono “in qualcosa di più aperto possibile a una rottura totale” – riporta Barbara Pastor nel libro Nanda Vigo, per la serie Prontuario di Abitare Segesta (2006) – a proposito delle pareti omnicomprensive che agiscono da involucri tattili-visivi, da “stimolatori di spazio, negli interni monocromi bianco/nero/giallo/blu”; nella Casa sotto la foglia con Gio Ponti; nell’Interno su teorema di Vincenzo Agnetti; negli ambienti con Lucio Fontana; e nella casa-museo Remo Brindisi.

Al MAXXI le emergenze dell’involucro continuo e le fratturazioni di luce definiscono una parete-studiolo che dischiude i meccanismi tra arte e architettura: “il nero punteggiato di stelle luminose è ciò che intendo come dimensione cosmica, un ‘esterno’ oltre l’atmosfera”. L’Alcantara, tessuto non-tessuto, è qui assunto come legante strutturale, nervoso, neurologico, poroso, che connette archivio, museo e città, attraverso effetti luministici vibranti, appena accennati, suscitando l’impressione di un unico piano sequenza, senza prospettiva. Una sensazione simile a quella trasmessa dalla pellicola traslucida, argentea, da cui affiorano, come da un unico schermo, capelli, pelle e fondo nel ritratto scelto da Nanda Vigo per questo articolo. Sagomati nell’Alcantara, gli impianti appoggiati da Soleri su un nero grafite vellutato, compiono la loro rivoluzione astrale intorno alla rivisitazione plastica del single cantilever bridge: dall’arabo al-qantara, ponte tra naturale e artificiale.

Nanda Vigo, 2006. Photo Ruven Afanador
Nanda Vigo, 2006. Photo Ruven Afanador

L’allestimento disegnato da Nanda Vigo è un meccanismo organologico, in tensione biotica, autopoiesis, che funge da connettore tra urbanità e natura, sollecitando libere associazioni tra architettura/biologia/universo, anche oltre Arch/Arcology”. Così può accadere che l’installazione riconduca il pubblico all’archivio a consultare le tavole originali di Soleri, scoprendo che alcune di queste sue articolazioni possano apparire vicine, seppur molto diverse, ai giunti architettonici disegnati da Francesco Lo Savio, recentemente esposti al MART di Rovereto. In entrambi l’innesto tra architettura e organismo risuona come espansione di ciò che potremmo definire ‘libertà fuggitiva’ nell’eco americana di Frank Lloyd Wright.  

Nanda Vigo tratta “luce solida”, vaneggiata nella Sky City di Flash Gordon, che attraversa come un lampo le letture della sua infanzia. Nella luce, pattern costante nel lavoro e nello studio di Nanda Vigo, riconosco il segnale di un resistente operare nell’arte come atto di emancipazione femminile. Assumo dunque la luce come interruttore di scrittura, e mi riallaccio agli spazi di luce di Light Trees/Light Trek: “Light sono gli spazi infiniti dei chakra, della mente e del cuore”. Come interferisce la luce nel provocare piacere, felicità di abitare? In questa nostra conversazione su “Arch/Arcology”, Nanda Vigo descrive le mutazioni della luce come “comfort mentale e sensoriale”. Frizioni, dissociazioni, petites-morts che uniscono curve morbide e oggetti contundenti, superfici soffici e contatti freddi, in una attitudine all’arte e all’architettura, che oscilla tra l’estraneazione degli innesti di Meret Oppenheim e l’intimità rarefatta di Corrado Levi.

Nanda Vigo al MAXXI
Nanda Vigo al MAXXI. Photo Sebastiano Luciano

ConArch/Arcology” Nanda Vigo interferisce nella triade Soleri-MAXXI-Alcantara, conformando il suo studio-visit dove “il nero – attigendo a Alain Badiou – simboleggia indistintamente tanto la mancanza che l'eccesso”, “la luce – riprendendo Freddy Paul Grunert - è vettore di informazione e interruzione dell’eredità di onde distruttive”, e “il trionfo dell’arte – come scrive Simone Weil – è condurre ad altro da sé: alla vita in funzione della piena coscienza del patto che lega la mente al mondo”.

Titolo mostra:
Nanda Vigo. Arch/Arcology
Date di apertura:
2–25 febbraio 2018
Sede:
MAXXI
Indirizzo:
via Guido Reni 4/A, Roma
Curatrice:
Domitilla Dardi

Ultimi articoli di Design

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram