Certo la campagna pubblicitaria della XXI Triennale di Milano, ideata dalla prestigiosa agenzia KesselsKramer), è nata a partire da una suggestione di Bruce Mau, che si chiede cosa mai potremmo progettare ora che abbiamo già disegnato tutto?
Ringraziamo anche i Led Zeppelin
L’oggetto creato dall’agenzia KesselsKramer per la campagna pubblicitaria della XXI Triennale deve qualcosa a Presence dei Led Zeppelin di studio Hipgnosis. Avrà la stessa fortuna? #21triennale

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- Mario Piazza
- 03 giugno 2016
- Milano

La risposta dell’agenzia è il totemico simulacro giallo, “The Thing” (la Cosa), che ricorda vagamente in forme domestiche la torre della televisione della Berlino comunista (in origine la palla era prevista tutta d’oro). È il misterioso simbolo per quello che sarà il Design dopo il Design che finora abbiamo conosciuto. Si è meritato una sorta di battistero laico all’ingresso delle esposizioni e fa da divisa agli addetti alle mostre. Un simbolo per il futuro del design, che invita la gente comune a interagire con esso, come fosse la bacchetta super-magica, la reliquia più sacra, l’elettrodomestico che mancava.
La regia fotografica e video registra i personaggi in ambienti più che comuni, ma anche con un clima da set di moda. Li fissa in un’atmosfera sospesa, ed è quello che genera lo scarto comunicativo, l’attrazione e la curiosità del passante. Visualizzano in forma sospesa la domanda cosa disegneremo? E per chi? Certo che oltre ad essere debitrice per le suggestioni di Bruce Mau, la campagna avrebbe dovuto ricordarsi anche dei Led Zeppelin e di Storm Thorgeson e Aubrey “Po” Powell dello studio Hipgnosis, quello che ha inventato l’immagine di Pink Floyd, Yes, Genesis, Emerson, Lake & Palmer. Il meccanismo narrativo mi ricordava qualcosa della mia giovinezza, ma devo al grafico Marco Basti, il ritrovamento preciso.
Se qualcuno avesse tra le mani il settimo album in studio dei Led Zeppelin, Presence, pubblicato nel 1976 si troverebbe una copertina bianca in cui campeggia la fotografia di una famigliola negli anni Cinquanta, seduta attorno al tavolo, con alle spalle un porticciolo turistico con belle barche ordinatamente ormeggiate. Genitori e figli sorridono fissando uno strano oggetto, vagamente fallico: è “The Object ” (l’Oggetto), una presenza nera che crea un vuoto nella scena. Il contrasto sgomenta. Le pagine interne e il retro di copertina confermano la sensazione e aggiungono oltre alla scena del ristorantino sul porto, altre situazioni: i tecnici al lavoro, la signora nel prato fiorito, i fidanzati in piscina, gli amici che ascoltano la musica, il caveau della banca, il dottore con il bambino, la partita di golf, gli scienziati fra i ghiacci. E in quarta l’anziana insegnante con due bambini, che usa “The Object”, come uno strumento di didattica montessoriana, tant’è che il suo disegno è appeso al muro di fianco alla lavagna.
Lo Studio Hipgnosis prese queste immagini da vecchi numeri di National Geografic degli anni Cinquanta, le trattò con una luminosità vagamente da film di fantascienza e vi inserì la nera sagoma, che avrebbe voluto chiamare “The Obelisk” (l’Obelisco). Viste le fascinazioni sataniste e occultiste di Jimmy Page, seguace delle dottrine dell’esoterista Aleister Crowley, la “presenza” giustappone un’inquietante atmosfera alle tranquille immagini di quotidianità. L’oggetto nero è incomprensibile e inspiegabile, fa pensare all’oggetto surrealista, allo scheletro nella festa. Il piccolo obelisco nero, che oggi ricorda un modellino di grattacielo per le nostre città, venne poi realizzato in plastica in 1000 esemplari numerati dalla casa discografica dei Led Zeppelin, la Swan Song Records per la promozione del disco e andò letteralmente a ruba. Chissà forse succederà anche per la gialla “The Thing” di KesselsKramer e della Triennale, magari con l’aiuto dell’aldilà.
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