La guerra del design

Il superamento di Apple da parte di Samsung, nelle vendite di smartphone e tablet, rilancia un dibattito che si estende all’intero mondo del design industriale. Justin McGuirk ne ha parlato con il capo del design del colosso coreano, incontrato durante il Salone del Mobile di Milano.

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Questo articolo è stato pubblicato su Domus 969, maggio 2013

 

Al Consumer Electronics Show di Las Vegas, all’inizio dell’anno, Samsung ha presentato l’F8000: un televisore ‘intelligente’ per usare Internet e i social media, a comando vocale e gestuale. Da un certo punto di vista, è solo un altro prodotto di quelli destinati a invecchiare in fretta, corredato da un futuristico numero millenario. Ma la stampa specializzata ha subito sottolineato che Samsung ha battuto Apple sul tanto atteso mercato dei televisori Internet. Il presunto imitatore, ha ammesso a malincuore la stampa, è diventato l’innovatore. Inoltre, l’anno scorso Samsung ha superato Apple nelle vendite mondiali di smartphone e tablet, con oltre trenta milioni di Galaxy SIII venduti. Si aggiunga che i media si aspettano con sempre maggior convinzione che Samsung si metta alla testa dell’innovazione nell’elettronica di consumo, mentre le sorti della società sudcoreana sembrano essere in un momento critico. Il punto è: che importa? Perché una rivista di design si dovrebbe interessare tanto alla rivalità tra due giganti tecnologici?

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Laboratorio Samsung, fase di lavorazione di un televisore LCD

La risposta, abbastanza ovvia, è che Apple è diventata quella che fino a poco fa era la società più grande del mondo proprio vendendo ‘design’. La pura potenza di un’estetica attraente combinata con l’estrema facilità di uso è stata così contagiosa da conquistare i mercati mondiali, anche quelli che non vendono prodotti, consapevoli del potenziale di cambiamento del design. Samsung, d’altra parte, è molto spesso tirata in causa quando si parla di tecnologia e di penetrazione sul mercato, ma raramente per il design. Perciò, se Apple viene superata da una società non particolarmente celebre per questo aspetto, allora, dopo tante lodi sperticate, forse il design non è così importante come si pensava. Ma ancora: Samsung è davvero il succedaneo di Apple—come a volte viene dipinta—oppure ha semplicemente un’idea diversa del design? Ha un’etica del design?

Non aiuta il fatto che l’immagine di Samsung sia stata in gran parte delineata in contrapposizione a quella di Apple. Si veda la sentenza del tribunale dell’anno scorso, che concesse alla società californiana un risarcimento di 1,05 milioni di dollari per violazione di brevetti e rappresentò la conferma ufficiale di ciò di cui molti accusavano da anni Samsung: se non proprio di copiare, di sposare la cultura della “imitazione immediata”. In termini di strategia progettuale, tuttavia, l’azienda coreana non potrebbe essere più diversa da Apple. Mentre Apple lancia un nuovo telefono l’anno, Samsung ne lancia decine, inondando il mercato con varianti infinite, come era solita fare Nokia. Invece che adottare una prospettiva unica, l’impostazione a pioggia lascia che sia il mercato a decidere che cosa funziona. Samsung poi procede a rapidi aggiornamenti e a miglioramenti di versione. È curioso che, pur essendo Apple un prodotto da Silicon Valley, sia Samsung ad aver messo in pratica—anzi esasperato—la retorica dell’“iterazione progettuale” e della “reazione rapida all’errore”.

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Laboratorio Samsung, fase di lavorazione di un televisore LCD

Ma queste sono solo idee. Bisognerebbe trovarsi dietro le quinte per riuscire ad avere una visione autentica della cultura progettuale Samsung, e non è facile. In superficie, l’azienda è chiusa e paranoica, la sua rete mondiale di uffici di pr è continuamente vincolata dalla ritrosia a comunicare dettata dal comando centrale. Quando ho scoperto che Samsung aveva un dipartimento design (ovvero un design centre, come lo chiamano) a Londra, ho passato due mesi a cercare di entrarci. Un ‘no’ deciso mi avrebbe messo il cuore in pace, e invece ho ottenuto infinite risposte evasive che si sono poi tradotte in un ‘no’. Infine, si è aperta un’altra porta. Mi è stato offerto di intervistare Youngjun Kim, “vicepresidente senior e responsabile del gruppo di design avanzato del dipartimento design”, altrimenti noto come il responsabile del design Samsung.

 

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Laboratorio Samsung, fase di lavorazione di un televisore LCD

Ho conosciuto Kim a Milano, durante il Salone del Mobile, dove Samsung era una delle numerose società di portata mondiale che usavano la fiera dell’arredamento per promuovere le proprie credenziali in fatto di design. La mostra Samsung in zona Tortona consisteva in una serie di grandi schermi fotografici che si potevano personalizzare usando uno smartphone Galaxy. Tecnologicamente era una cosa molto intelligente, come esperienza era divertente quanto strapparsi i peli dal naso.

In una stanza sul retro, Kim mi aspettava insieme con l’interprete e la sua corte di pr. C’erano tutti gli ingredienti dell’ostruzionismo, e già mi vedevo Kim che mi propinava la linea del partito in fatto di valore del “buon design”. In realtà, è stato sorprendentemente franco sugli errori di Samsung e molto esplicito sulla natura delle ambizioni della società.

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Laboratorio Samsung, fase di lavorazione di un televisore LCD

 “Samsung possiede un’etica del design?”, ho chiesto. Comprendendo subito dove volevo andare a parare, Kim si è lanciato in un lungo racconto di storia aziendale che a tratti aveva l’aria di una confessione. “Sono entrato in azienda nel 1984, quando Samsung e altri marchi coreani erano dei seguaci e non dei leader”, dichiara. Solo nel 1996 la società iniziò a pensare al design come a una strategia di mercato, ma anche allora credeva che ‘design’ volesse dire stile. Più tardi, si aggiunsero la funzionalità e l’esperienza dell’utente, “ma allora i designer di Samsung non sapevano che cosa tutto ciò volesse dire di preciso”.

Mentre parlava, Kim continuava a consultare un documento che, come ho scoperto quando sono riuscito ad averne una copia, era intitolato Le tre epoche del design Samsung, ovverosia la storia ufficiale. La prima epoca, dal 1996 al 2005, viene denominata Identità progettuale 1.0 (sottotitolo: “L’equilibrio tra ragione e sensazione”). È il momento in cui Samsung non sapeva che cosa fosse il design, ma fu seguito da quella che pare una serie di piani quinquennali. Identità progettuale 2.0 (“2006-10: la creazione di un viaggio emotivo”) è l’epoca in cui Samsung scoprì che la ricerca sul comportamento degli utenti e sui loro desideri era la chiave per creare “un collegamento emotivo”. Il periodo più interessante, però, è ovviamente quello che viviamo oggi, altrimenti noto come Identità progettuale 3.0 (“2011-15: la creazione di senso”).

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Laboratorio Samsung, fase di lavorazione di un televisore LCD

Ancora una volta il tono è religioso: “Finora l’innovazione di Samsung è stata trasmessa e recepita in un contesto ‘orientato alla tecnologia’, privo di calore e di significato ‘umanistico’. Perciò Samsung viene ancora considerato un marchio tecnologico, privo di una personalità specifica e disponibile”.

Inizio a chiedermi se questo documento fosse destinato ai miei occhi. Dopo una tale dose di brutale franchezza, per lo meno il futuro è più ottimista. A quanto pare, Samsung ora si concentrerà su come dare “maggior senso” alla vita degli utenti. È una prospettiva ambiziosa e idealistica: “Lo scopo è ispirarci a vicenda nella creazione di prodotti che esprimano un’esperienza dell’utente più ricca di significato, che migliorino la qualità della sua vita e il mondo in cui vive”.

È vero che tutte le aziende che hanno a che fare con gli utenti finali stampano banalità come queste sotto forma di dichiarazioni della mission societaria, ma non bisogna sottovalutare il valore rivelatorio di questo documento. La volontà di tanta sincera autocritica nasconde l’immagine chiusa e riservata dell’azienda. E per di più siamo di fronte a una società che vuole più di ogni altra cosa essere amata. Amata come lo è Apple. Nei soli due anni che restano del suo ultimo piano quinquennale riuscirà Samsung a trovare l’amore?

Kim pensa che la strada per raggiungere questo obiettivo sia offrire quello che chiama un “servizio totale”. Che consiste in un mondo unificato e perfettamente sincronizzato di prodotti tecnologici che interagiscono reciprocamente senza soluzione di continuità. Se Samsung riesce a realizzarlo si guadagnerà il nostro amore. Il televisore ‘intelligente’ F8000 presentato all’inizio dell’anno è l’anello mancante di questo mondo. È concepito come il perno della casa. Ma anche qui Kim è pronto all’autocritica. Il televisore non lo soddisfa completamente: “Va migliorato, il concept si evolve continuamente”, dichiara.

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Laboratorio Samsung, fase di lavorazione di un televisore LCD

Dato che Samsung realizza una gamma stupefacente di prodotti—dagli smartphone ai tablet, ai televisori, alle macchine fotografiche, ai frigoriferi, alle lavatrici—non è forse nella posizione ideale per creare un’Internet degli oggetti? Certo la sua prospettiva del “servizio totale” combinata con la sua diversificazione produttiva può dar forma all’era, da tempo profetizzata, dei prodotti comunicanti tra loro.

 “Invece di rispondere a questa domanda”, ribatte, “vorrei condividere le mie preoccupazioni. Il nostro televisore è al primo posto nel mondo e i nostri telefoni sono al primo posto nel mondo. Ma quello che mi preme di più è migliorare gli altri prodotti, che non sono leader di mercato: lavatrici, frigoriferi, forni e aspirapolvere. Per creare l’ecosistema di cui parli, tutti i nostri prodotti devono comunicare con quelli di livello superiore. È questo il mio compito”.

Davvero un’azienda può essere la prima del mondo in tanti settori merceologici differenti?

 “Come designer lavoro per questo. È il mio sogno.”

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Laboratorio Samsung, fase di lavorazione di un televisore LCD

C’è chi è scettico. Jan Chipchase, celebre etnografo e direttore del gruppo di Analisi Globale di Frog Design, avanza l’ipotesi che il successo di Samsung stia nell’abbondanza dei suoi investimenti di marketing. “Se qualcuno sostiene che i prodotti Samsung sono progettati meno ben [dei prodotti Apple], allora qual è il senso della quota di mercato di Samsung rispetto all’importanza del design come strumento di marketing? Parrebbe smontare parte delle iperboli che si fanno sul design”. Quanto al ruolo pionieristico di Samsung nel campo dell’Internet degli oggetti, Chipchase commenta: “Se siete mai stati a casa di qualcuno che possiede un televisore, un lettore dvd e uno stereo Samsung, avrete notato che ha tre telecomandi”.

Ma di Samsung una cosa va detta: che non confonde più il design con lo styling. È più di quanto si possa dire di gran parte della stampa di settore, che ha attaccato il marchio per aver conservato il guscio di plastica negli smartphone Galaxy, invece di competere con Apple in fatto di materiali di alta qualità. Samsung ribatte che ciò che conta è l’esperienza dell’utente, non il guscio. Touché. È un’idea di design che non feticizza una certa concezione modernista da anni Cinquanta dell’oggetto. Ciò che soprattutto distingue Samsung è il rapido succedersi delle versioni. “Sono bravissimi a mettere i prodotti sul mercato, controllandone l’efficienza per poi concentrarsi su quelli dotati di potenzialità e scartare gli altri”, spiega Chipchase.

Secondo Kim non è però questione di questo o quel prodotto: ciò di cui va in cerca è l’emozione. “Più che diventare leader mondiale per un certo prodotto, vogliamo che Samsung sia un marchio amato dal pubblico”. Justin McGuirk (@justinmcguirk), Critico di architettura e design

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