Per quanto mi riguarda, un presupposto fondamentale a questa riflessione critica sulla produzione industriale è quello di ritenere il ruolo delle aziende, o meglio degli imprenditori illuminati, altrettanto importante quanto quello dei progettisti. Come dice un caro Maestro del design italiano, il compito del designer è quello di qualificare la domanda progettuale e, quando la domanda arriva da un imprenditore illuminato, allora ci si confronta con il designer-primo. Purtroppo, quando l'imprenditore non è autorevole e consapevole del campo che ha intrapreso (problema che si presenta sempre più frequentemente) allora la domanda progettuale è confusa, ambigua, chiede tutto e il contrario di tutto. In quel caso il designer se accetta quella domanda spesso si trasforma (come dice sempre il nostro Maestro del design) in un designer-Paperino, un buffo personaggio da fumetto con il cappello di traverso simil-artista, pronto ad arrampicarsi sugli specchi pur di soddisfare in qualche modo la domanda- avvelenata e di cercare di vendere l'arroganza del suo segno. Ciò non vuol dire che quel prodotto non abbia successo: anzi a volte, sia pure per breve tempo, quel prodotto ne ha di successo, anche tanto, ma questo ci porta ad aprire gli occhi sul complesso sistema che intreccia oggi sempre di più il mercato con la pubblicità e la produzione, e ci introduce a un'altra grande storia che sicuramente dovremo trattare. Rimane il fatto che questo sistema speculativo alla lunga non paga e per di più avvilisce la forza innovativa del design. Senza ricerca estetico-culturale, aggiornamento tecnologico, innovazione tipologica e coraggio imprenditoriale non si va da nessuna parte. La storia docet.
IL CASO SKITSCH
Per questa prima recensione abbiamo scelto di leggere una delle più recenti iniziative imprenditoriali apparse nel panorama del Design italiano: la collezione Skitsch. L'azienda, definibile più di carattere editoriale che industriale, nasce nel 2009 per volontà di alcuni operatori finanziari, abbastanza esterni o trasversali al vecchio mondo della produzione del mobile italiano, interessati a investire su un programma nuovo di produzione e distribuzione nel settore dell'arredamento. Per coordinare questa iniziativa, si affidano all'autorevole gestione creativa (in qualità di art-director) di una esperta del settore: Cristina Morozzi. Se l'opera nasce, secondo i principi del Filarete, da un padre e una madre – il committente e il progettista – qui bisogna dire che non esiste più l'imprenditore- editore self-made man (d'altra parte sempre più raro e quasi scomparso anche nei luoghi più storici). Al suo posto c'è un gruppo (formula sempre più ricorrente) costituito da un consiglio d'amministrazione che s'interfaccia con un art-director, il quale costruisce una 'visione' dove far confluire diverse voci, diverse linee di pensiero, che si ritengono legate per affinità elettive. Per certi aspetti, questo lavoro di raccolta e d'intreccio proposto dalla Morozzi richiama alla mente molte storie eccellenti del design italiano: il primordiale lavoro di Paolo Tilche con Arform, l'esemplare lavoro editoriale di Bruno Danese, il ruolo maieutico di Francesco Binfaré (su cui aleggiava sempre l'occhio attento di Cesare Cassina) al Centro Ricerche Cassina, ma anche i ruoli più recenti di Mendini per Alessi o di Giulio Cappellini nella fase storica dell'omonima azienda, e così via. Casi molto diversi fra loro, nei quali rimane però costante nel tempo, in un modo o nell'altro, la classica figura dell'imprenditore formatosi in quell'ambito e cresciuto piano piano con la passione di costruire quella precisa identità. Molti ritengono che sia un modello storico sorpassato, non più proponibile, ma noi pensiamo che una riproposizione contemporanea di questo valore e di questa consapevolezza del 'fare' sia da ricercarsi con molta attenzione e, forse, in parte si può anche rileggere tra le 'pagine' o le 'narrazioni' del caso che andiamo qui discutendo.
A una prima lettura della collezione Skitsch, fatta attraverso le numerose tracce mediatiche, si registra la strana impressione di trovarci di fronte a qualcosa di molto simile alle raccolte di "oggetti di design" esposti negli store dei più blasonati musei del design a livello internazionale, oppure alla gamma di oggetti quintessenziali esposti in alcuni negozi molto chic e trendy dove si propongono selezioni di oggetti d'indubbia qualità, ma anche di sottolineata gratificazione sociale. Si tratta di raccolte che appaiono evidentemente non come il prodotto di una nuova visione elaborata da un percorso progettuale e produttivo identitario, ma bensì il risultato di una selezione di oggetti fortemente autoreferenziali, proposti in un'aurea di selezione mirata e garantita, quasi fosse motivata da una sorta di certificazione sancita da un arbitro del gusto indiscutibile come quello appunto di un Museo del design. Questo carattere naturalmente non ha nulla di negativo a priori, anzi ha degli aspetti di qualità indotta interessanti, tuttavia contiene anche una latente evocazione di un principio dello status symbol un po' mistificante: che, se sfugge di mano, può divenire un limite delle potenzialità di una collezione che vuole proporre un interessante e rinnovato concetto di raffinata editoria nel campo del design per gli interni.
Sempre in termini di recensione può essere interessante definire questa collezione come un genere letterario: per lo più diremmo che si tratta di prosa, a volte con qualche accenno teatrale, con rari accenti poetici, scritta per lo più in forma narrativa di racconto breve. Prendendo a prestito una delle parole più ricorrenti nelle comunicazioni dell'azienda, il "design emozionale" della collezione si direbbe spaziare nell'ambito della letteratura d'intrattenimento, ricca di una affascinante raccolta di testi, dai generi 'd'avventura' (i pezzi esotici dei fratelli Campana, di Šípek, di Sadler, di Grcic, di Palomba Serafini), al 'fantastico' (i vasi di Paolo Ulian, i mobili e il servizio di bicchieri tromp-l'oeil del gruppo Front, le porcellane "Alice nel paese delle meraviglie" di Maarten Baas, il pouf 'zucca' di Todd Bracher, i mobili sconnessi di Philippe Nigro, i tavoligioco di Šípek e Pagani Perversi, il tavolino-melanzana di Grandi e Bossi) con alcuni accenni al 'fantasy' (i mobili in cartone di Giles Miller, gli orologi onirici di Kiki van Eijk, le credenze istoriate di Alessandra Baldereschi, il sofa abbottonato di Ditte Hammerstrøm, lo svolazzante tavolo di Xavier Lust) e all'horror' (la mano appendiabiti modello "famiglia Adams", l'ironica lampada-teschio di Giovannoni), il "comico-ludico" con tratti 'ironici' (l'iconica lampada da terra di Ding 3000, il vaso "pesce mangia pesce"della Baldereschi, la lampada barchetta da 'magutt' di Pagani Perversi). Naturalmente ci rendiamo conto che queste definizioni di genere non possono valere per tutti i numerosi oggetti in catalogo, alcuni dei quali sono di un genere più serioso, tendente al minimalismo (le sedute di Luca Nichetto, la poltrona cubista di Jeffrey Bernett, il letto panchina e i tavolini di Pagani Perversi, l'amaca di Inghua Ting, i tavoli bassi di Nigro), ma tuttavia, visto globalmente, tutto partecipa a quel senso del "fantastico-emozionale". Nell'insieme si tratta di una collana editoriale di testi molto eterogenei, più o meno tutti gradevoli, ma forse troppi da leggere in un sol colpo e, per questo, con un certo effetto di ridondanza. Spiccano, tuttavia, alcuni racconti più ispirati dove si riconoscono dei caratteri più forti e consolidati come nelle lampade dei fratelli Campana, nei vasi di Šípek, nelle sedute di Grcic, di Sadler, di Palomba Serafini, nella lampada da terra di Ding 3000, oggetti nei quali si respira una certa vena 'avventurosa' che, per quanto in alcuni casi rischi di logorarsi, ancora regge il fascino della narrazione. Spunti narrativi interessanti si leggono anche nei diversi generi proposti da Ulian, Bortolani, Nichetto, Miller, Pagani Perversi. Dal giudizio lasciamo fuori alcuni pezzi, soprattutto nel piacevole settore per bambini, scelti da altre produzioni correnti come la bella sedia in polipropilene espanso di Mari per Magis. Ovviamente anche questi pezzi presi a prestito da altre produzioni rendono ancora più forte quel senso di "collezione delle collezioni".
L'impressione finale è che, in una più ampia selezione di pezzi nelle prossime collezioni, si dovrebbe cercare di far emergere, oltre alla giusta quota di primi racconti delle ultime generazioni (soprattutto italiane, che ne hanno bisogno), anche una nuova sezione più organica di prodotti- testi in forma di romanzi, magari di carattere più impegnato, più visionario nel cercare di interpretare le forme del nostro tempo e di quello prossimo venturo. Resta, in ogni caso, il valore dello sforzo di rinnovamento che Skitsch sta cercando di portare nel panorama del design italiano.