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Originali made in China

Un nuovo brand dichiaratamente fabbricato in Cina fa saltare gli schemi delle partnership produttive Est-Ovest e valorizza l’ingegnosità produttiva orientale, tutta ancora da riscoprire. Testo Loredana Mascheroni

Un nuovo brand dichiaratamente fabbricato in Cina fa saltare gli schemi delle partnership produttive Est-Ovest e valorizza l’ingegnosità produttiva orientale, tutta ancora da riscoprire. Testo Loredana Mascheroni

In un momento in cui molti,aziende e designer, hanno un atteggiamento ambivalente nei confronti della Cina – sfruttata come produttore low cost ma con un po’ di vergogna – l’operazione “Pure China” segna un cambio di registro evidente. Lo si avverte nella scelta del nome, che mette in primo piano il ruolo del partner produttivo: nel caso di questo nuovo brand, nato meno di un anno fa a Hong Kong e presentato all’ultimo Salone del Mobile di Milano con la sua prima collezione, è l’Oriente a chiamare l’Occidente per una collaborazione alla pari dove ognuno mette in gioco il meglio di sé.

Questa nuova formula nasce, come spesso accade, dall’incontro tra un imprenditore e un designer. Il manager della società di Hong Kong Area Plus affida a Gabriele Pezzini l’art direction di una nuova collezione di oggetti che faccia uscire l’azienda dalla fascia di mercato del promozionale: dove il valore di riferimento è unicamente il prezzo e dove, quindi, il margine di crescita è limitato. Per cambiare mercato si è dovuto innanzitutto cambiare la tipologia di prodotto, e così è nata la prima collezione di borse, che sono apparse come prodotto giusto su cui lavorare. Prima di tutto perché le borse hanno una funzione primaria, un po’ come le sedie: hanno sbocco su mercati in grado di assorbire molteplici modelli, hanno costi di investimento molto bassi; non da ultimo, la riflessione che molta parte della produzione si è sviluppata su una sterile estetica bidimensionale.

Pure China propone quindi un contenitore multiuso per spostamenti giornalieri, una borsa/zaino porta documenti, un’altra anche per trasportare il computer, un modello professionale estensibile, uno con tasche multiple, un altro indossabile: persino una borsa/sgabello... Per sviluppare questa ricerca tipologica, il brand ha poi puntato su una modalità nuova di far interagire Est e Ovest diventata il punto di forza della svolta. “In questo momento la capacità produttiva cinese non ha eguali” – sostiene Pezzini, che da anni è impegnato sul confine tra design italiano e produzione in Oriente. “Se questa capacità è limitata a copie o prodotti di bassa qualità, la colpa è nostra: europei e americani portano in Cina un ottimo prodotto già ingegnerizzato e chiedono di riprodurlo economizzando i costi: quindi, abbassando la qualità.

Se si vuole produrre bene bisogna investire, anche in Cina: materiali, tempo di assemblaggio e sviluppo del prodotto costano”. Se non ci sono differenze rilevanti di prezzo tra Cina e Europa, perché allora far produrre a Est? Contrariamente al comune sentire, per Pezzini i cinesi sono produttori migliori di noi occidentali, più ingegnosi. Un po’ come gli artigiani e le piccole imprese italiane degli anni Cinquanta, che hanno inventato sistemi per produrre ciò che sembrava impossibile. “Non volevamo arrivare in Cina con dei progetti finiti, un prototipo da riprodurre”, racconta. “Volevo che fossero anche i nostri partner ad apportare qualcosa al progetto. Il caso più emblematico è stato l’interpretazione che due fornitori hanno dato sullo stesso progetto mandato loro in disegno: ognuno ha portato a innovare dettagli diversi della borsa, entrambi adottati per migliorare il progetto originario. Lavorare secondo criteri di economicità, come si fa da sempre in Cina, porta alla semplificazione del progetto, a fare solo quello che serve davvero: quindi a una certa purezza del design”. Il primato della creatività nel progetto rimane però a Occidente.
 
I designer coinvolti sono tutti professionisti europei che hanno competenze di progetto e di analisi di prodotto. Il know how produttivo dell’Est è stato sostenuto dalla cultura progettuale europea, che non pare ancora confrontabile con quella cinese. Conclude Pezzini: “La cultura del progetto ha bisogno di tempo per stratificarsi e dare i suoi frutti: da troppo tempo la Cina si dedica quasi esclusivamente alla produzione. Si trovano designer che sanno disegnare prodotti, ma non hanno ancora la visione globale per noi così importante, che consente di passare a un livello più alto, a essere quasi puri ‘pensatori di sistemi’”. Mettere a punto i meccanismi di questo complesso ingranaggio di partnership Est-Ovest ha richiesto grandi sforzi. I primi prodotti Pure China hanno però già raccolto deciso interesse tra importanti gruppi commerciali italiani e giapponesi: un consenso che ha già attivato la messa in cantiere di una seconda collezione.
La borsa professionale estensibile Pro disegnata da Eric Jourdan
La borsa professionale estensibile Pro disegnata da Eric Jourdan
Flat 
Pack di Sebastian Bergne
Flat Pack di Sebastian Bergne
La One Million di Gabriele Pezzini
La One Million di Gabriele Pezzini
La Coated di Peter 
Traag
La Coated di Peter Traag
Spiral di Shin Azumi
Spiral di Shin Azumi
La Stool di Shin Azumi
La Stool di Shin Azumi

Design e ceramica rinnovano un centro commerciale

FMG Fabbrica Marmi e l’architetto Paolo Gianfrancesco, dello studio THG Arkitektar, hanno realizzato il restyling del terzo piano del più grande centro commerciale di Reykjavik. La ceramica, elemento centrale del progetto, riveste pavimenti, pareti e arredi con soluzioni versatili e carattere distintivo.

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