Meda+Rizzatto, Magistretti, Lovegrove, Sapper. Light Planning

Mix, Tikal, System X, Halley: quattro nuove lampade frutto delle più avanzate tecniche di produzione industriale. A cura di Francesca Picchi. Fotografia di Ramak Fazel.

Alberto Meda, Paolo Rizzatto
Lampada Mix per Luceplan, Milano

Ricerca in un’ottica industriale. Il nostro obiettivo era progettare una lampada con i LED che si avvicinasse il più possibile a un progetto industriale. Non ci interessa tanto il pezzo unico. C’eravamo già fatti le ossa con la Star Led, un progetto sperimentale con alcuni limiti dal punto di vista della efficienza luminosa, che è stato però utile per costruire una serie di relazioni, che ci ha permesso di convincere aziende di componenti a partecipare a questo nuovo progetto.

Funzionamento dei led. Tutta la tecnologia dei LED si gioca sui semiconduttori: materiali in grado di emettere radiazioni luminose – i fotoni – se attraversati da una corrente elettrica. Il LED è un diodo a sandwich, con all’estremità due strati drogati in modo diverso e, al centro, uno strato intermedio dove avviene la ricomposizione. Gli strati sono di due tipi: uno ha cariche positive in eccesso, l’altro invece è dopato al negativo. Quando passa la corrente, i due strati si eccitano e, mentre il primo emette gli elettroni che ha in più, il secondo se li acchiappa. In questo gioco di ricombinazione, tutti felici emettono un fotone. Questa è un’interpretazione un po’ poetica. Approssimativamente però funziona così: al passaggio della corrente questi materiali semiconduttori emettono luce. Oggi esistono molte ricerche interessanti sull’uso dei polimeri semiconduttori, comunque noi ci siamo limitati a impiegare LED più tradizionali con semiconduttori tipo silicio, gallio, arsenico, etc...

Urbanistica del circuito. Dietro il progetto di questa lampada c’è il desiderio di stabilire una relazione diversa con il mondo dell’elettronica. In genere l’elettronica è vista come un mondo a sé, impenetrabile e talmente incomprensibile da richiedere un atto di fede da parte di chi l’utilizza: si rinuncia a scoprire la logica che lo governa e l’unica cosa che siamo in grado di gestire è l’interfaccia. Noi invece volevamo metterci dentro il naso. Ci interessava capire se era possibile intervenire nel processo; con l’idea di produrre un risultato formale abbiamo incominciato con l’impostare il problema sulla base di questioni puramente funzionali. Entrare nella logica dei LED implica l’idea della miniaturizzazione. La questione essenziale era cambiare l’ottica. Se ti poni con un’ottica ravvicinata, puoi entrare dentro e cercare di capire le logiche che governano questo mondo microscopico. Uno dei compiti che ci siamo posti con questo progetto è stato utilizzare le possibilità offerte dai circuiti elettronici senza adattarci ciecamente alla logica che li presiede. Cercando piuttosto di controllarli, anche formalmente, per far emergere un nuovo disegno. In un circuito elettronico è possibile pensare di cambiare la distribuzione delle sue componenti: fare un’operazione di tipo urbanistico. È una questione di scala. Se studi da vicino il disegno dei circuiti elettronici, puoi capire come corrisponde in realtà a precise funzioni: ce ne sono di bellissimi. Puoi riconoscere delle piste, dei percorsi che non si devono mai incontrare come una specie di labirinto. La logica è quasi banale: sono solo mondi molto piccoli. Quando abbiamo affrontato lo zoning del circuito stampato, abbiamo cercato di distribuire i blocchi più voluminosi in un certo punto: abbiamo collocato i condensatori e i file della memoria – quasi fossero grattacieli – in posizione arretrata per lasciare più spazio alle sezioni logiche – alla stregua di villette unifamiliari – in modo di avere un po’ di verde, ovvero ottenere quella superficie minima che ci interessava raggiungere. Alla fine è venuto fuori un circuito che assomiglia a una specie di città giardino.

Potenza e raffreddamento. I LED per sopravvivere non devono superare una certa temperatura. Non è vero che sono freddi: scaldano, come tutte le cose che hanno una potenza. Naturalmente fino a che non avevano nessuna potenza e non facevano alcuna luce, si diceva che non scaldassero. La nostra lampada impiega sei Watt e sei Watt scaldano. Certo meno di trentasei... Sviluppano però un certo calore che bisogna disperdere. La tecnologia che abbiamo impiegato si chiama “Chip on Board”, poiché c’è un chip che connette elettronicamente i LED. All’interno di esso, a livello microscopico, sono contenuti tutti i collegamenti necessari; e poi è “on board” nel senso che il circuito è montato direttamente su una piastra in alluminio. Il disegno del circuito e il relativo montaggio è un tipo di lavorazione che è stata fatta espressamente per noi. Il trucco consiste nell’aver montato tutto su una lastra di alluminio per dissipare calore. In definitiva, la stessa piastra su cui sono montati i LED è studiata per funzionare da radiatore. Abbiamo voluto seguire una logica di semplificazione anche per il problema del raffreddamento e, infatti, il nostro è un sistema a convezione, molto semplice. Naturalmente poiché la lastra è piuttosto sottile, la superficie di dispersione doveva essere la più espansa possibile. Da qui deriva il disegno della testa, e infatti la sua dimensione è da mettere in relazione a questa necessità di raffreddamento.

La forma come risultato. In definitiva la testa è un sandwich: due lamiere in mezzo alle quali è collocato il circuito. La forma, l’urbanistica del circuito, è stata possibile solo grazie alla stretta collaborazione con il costruttore dei circuiti elettronici, che non si aspettava di dover seguire un disegno con una logica precisa. Possiamo anche dire che in pianta poteva essere una città diversa, invece noi lo abbiamo costretto a seguire un nostro disegno ... Gli abbiamo indicato la strada: ... vada giù per questo viale, poi giri a sinistra... Il problema era organizzare tutti gli organi elettronici: i LED, le lenti, i condensatori, lasciare il posto per l’interruttore, riservare un’area libera per il movimento dei filtri che ruotano sul perno e che consentono di cambiare la temperatura di colore della luce. Il circuito standard è un bollo tondo. Noi abbiamo cominciato a chiedere: se questa componente la spostiamo lì cosa succede? Insomma, abbiamo cominciato a dialogare… L’idea del mix, da cui il nome della lampada, riguarda anche la mescolanza di competenze diverse. Per quanto riguarda la forma, abbiamo voluto esasperare il fatto che la lampada fosse estremamente piatta perché il vantaggio dei LED rispetto a qualsiasi altra sorgente di luce è di essere una superficie sottile. I LED hanno una grandezza riferibile a pochi decimi di millimetro mentre il problema della dimensione riguarda piuttosto gli apparati per farli funzionare al meglio. Il bello di impiegare i LED è cercare di esprimere quello che un’altra lampadina non potrebbe fare. Noi, con un piccolo escamotage, abbiamo cercato di privilegiare la sottigliezza della testa accorpando tutti i componenti che hanno maggiore dimensione verso il centro, in modo da non alterare la percezione di questa sogliola sottile.
Tratto da una conversazione con Alberto Meda e Paolo Rizzatto

Vico Magistretti
Lampada Tikal per FontanaArte, Milano

Costruire una geometria in movimento in modo da regolare il flusso della luce è il concetto della lampada Tikal presentata al Salone di quest’anno da Vico Magistretti: l’evoluzione di un vecchio brevetto per una lampada a flusso variabile che aveva depositato nel 1972. Prima di questo brevetto, altre lampade seguivano lo stesso concetto, come le lampade Dalù e, soprattutto, l’Eclisse, che Magistretti aveva disegnato nel 1965. “Cambia la forma poiché è cambiata la lampadina. Prendi l’Eclisse: ha scottato due o tre generazioni. Oggi invece le lampadine, con la fluorescenza, non scottano più”. Per quanto Magistretti parta dal presupposto che “non si tratta di un oggetto sofisticato dal punto di vista della tecnologia”, la sofisticazione sta piuttosto nel modo in cui il disegno devia dalla geometria regolare, costruita intorno a due semisfere che ruotano sullo stesso asse, da cui è partita l’idea del movimento. Ai disassamenti e le dissimmetrie della forma a elmo Magistretti è arrivato per progressivi aggiustamenti, lavorando direttamente sul corpo della lampada. Per quanto composta di parti mobili, essa non mette in mostra alcun elemento meccanico che ne renda esplicito il funzionamento. La forma è percepita nel suo insieme come corpo mobile articolato, che cambia in funzione della posizione reciproca delle sue parti nello spazio. Resta da chiedere a Magistretti se il disegno consegnato all’epoca del primo brevetto alludesse alle ricerche dell’arte cinetica in voga in quel periodo: “Sono cose alle quali non penso mai. È semplicemente una luce da comodino, che si muove in modo da poterla chiudere un po’ e regolare così il flusso di luce”. F.P.

Ross Lovegrove
System X per Yamagiwa, Tokyo

La trama luminosa concepita da Ross Lovegrove per misurarsi con la scala dell’architettura mostra quel tipo di sofisticazione che nasce dalla relazione del progetto con l’industria. Nelle finiture, nella soluzione dei dettagli, nell’uso dei materiali, esprime quel tipo di perfezione che può essere solo il frutto di un approccio industriale al progetto nel quale ogni parte è risolta in ogni dettaglio perché sottoposta a un minuzioso processo di sperimentazione e verifica (come racconta la relazione tecnica di Toshiyuki Miura). Ne è prova il disegno della leggera curvatura del tubo fluorescente (realizzato appositamente dagli ingegneri illuminotecnici di Yamagiwa e ora in attesa di brevetto) grazie al quale i moduli si aggregano tra loro senza compromettere l’uniformità dell’emanazione di luce. È la sofisticazione di questo rapporto che Lovegrove mette in scena nel creare un sistema che si pone nei termini di “dispositivo architettonico”. In questo modo, aprendo un confronto tra industria e architettura, il design non può far a meno di esprimere il piacere di sperimentare con l’industria (“Loro hanno un accesso alle tecnologie che noi non abbiamo; inoltre hanno l’orgoglio della soluzione ben fatta”, dice Lovegrove). Ripetibile ipoteticamente all’infinito e aperto a illimitate possibilità di combinazione, il modulo a X si aggrega diffondendo una presenza di luce che si svolge lungo la superficie come una pelle luminescente che ha il potere di regolarsi in intensità e colore. A creare una condizione di uniforme luminescenza ha contribuito l’accurato controllo dell’intensità delle riflessioni o delle zone d’ombra lungo le superfici, causate dall’inevitabile opacità della materia e delle strutture di aggancio. La ricerca di questo equilibrio di luce è stata oggetto di approfonditi studi da parte dei tecnici impegnati a togliere materialità al corpo degli oggetti illuminanti. Il modulo a forma di X si aggrega secondo un principio cellulare a creare strutture di luce ‘regolabili’, poiché è possibile creare zone di differente temperatura di colore controllate da un sistema computerizzato, direttamente dalla rete di alimentazione. Il progetto del corpo illuminante, le sue strutture di connessione, i giunti, i materiali, le minuterie metalliche sono pensate soltanto in funzione della luce o, meglio, della capacità che possiedono nel diffonderla, rifletterla o contrastarla. L’impegno dei tecnici e degli ingegneri è stato quello di alterare la percezione della materia non tanto nella sua idea di pesantezza quanto nella sua opacità – ostacolo al passaggio della luce – per ottenere quell’uniformità che fa percepire l’illuminazione come l'emanazione di una energia misteriosa contenuta all’interno della materia. F.P.

Richard Sapper con Nicole Sargenti
Halley lamp per Lucesco Lighting Inc, Palo Alto, CA
Qualche commento sul disegno della Lampada Halley Nell’autunno del 2003 una giovane società della Silicon Valley, che si proponeva di sviluppare la tecnologia dei LED per applicazioni di luce, mi ha chiesto di disegnare una lampada. Non so perché si siano rivolti a me, ma una ragione può essere che trent’anni prima avevo disegnato la lampada Tizio. Da allora non avevo più disegnato una lampada da lavoro. Quando mi rivolsero questo invito ero scettico, perché i LED bianchi che avevo visto fino ad allora davano una luce molto ‘antipatica’, mentre il colore della luce per me ha un’importanza fondamentale… Infatti non posso soffrire le lampade fluorescenti poiché mi fanno sentire come se fossi avvolto nella nebbia, a causa della sorgente di luce che non è concentrata ma diffusa. Questo tipo di sorgente di luce non possiede quel carattere di “piccolo sole” che invece ha una lampadina tradizionale. Non era questo il problema nel caso dei LED; rimaneva però la questione del colore che ritenevo imprescindibile. Così, quando i tecnici della Lucesco mi promisero che con la loro tecnologia sarebbero riusciti a modificare il colore della luce – ed infatti siamo riusciti ad ottenere una luce la più naturale possibile – mi sentii disposto a intraprendere il disegno di una nuova lampada. Malgrado non mi fosse stato posto nessun limite, mi sembrava interessante tornare ad esaminare lo stesso problema che avevo affrontato trent’anni prima: quello della lampada da lavoro. Ripensando a questo problema e al modo in cui avevo affrontato il disegno della Tizio, ricordavo che il progetto era nato per soddisfare una mia esigenza personale: posso dire che la Tizio sia nata per creare una lampada da lavoro che fosse adatta per me. Mi rendevo conto che le mie esigenze non erano molto cambiate da allora. Si trattava di costruire una lampada che mi permettesse di muovere la sorgente di luce il più agevolmente possibile per portarla vicino alla mia posizione di lavoro, oppure al libro che sto leggendo o al foglio su cui sto disegnando. Per questo avevo bisogno di un riflettore molto piccolo, perché uno grosso, se troppo vicino, può dare fastidio. Inoltre avevo bisogno che la base di questa lampada fosse il più lontano possibile dalla sua testa, perché sul mio tavolo di lavoro c’è sempre un gran caos… e quindi vicino a me non c’è spazio per collocare la base di una lampada. La lampada quindi doveva avere bracci molto lunghi e un movimento bilanciato e agile, non frenato da molle e frizioni ma totalmente libero: volevo poter muovere la testa della lampada con la massima leggerezza in tutte le direzioni possibili. Vantaggi dei LED Tutte queste erano state le premesse per la Tizio, e capivo che le mie esigenze non erano molto cambiate da allora. Quello che è cambiato in questi trent’anni è invece la tecnologia. Mi sembrava giusto quindi cercare di disegnare una lampada da lavoro che utilizzasse tutto quello che nel frattempo era diventato tecnicamente possibile. A partire dalla fonte della luce, i LED, che rispetto alla luce alogena presentano oggi vantaggi importanti: il primo di tutti è che consumano solo un quarto dell’energia elettrica. Poi c’è il fatto che – se raffreddati correttamente – hanno una durata di oltre vent'anni. Un altro vantaggio è che sono piccolissimi e quindi mi era possibile disegnare una testa ancora più piccola di quella della Tizio. Inoltre volevo creare una lampada molto più mobile della Tizio: invece di dare tre gradi di libertà, ne volevo sei, ma sempre con un movimento controbilanciato, completamente libero e solo il minimo di frizione per garantire la stabilità delle posizioni assunte. Così ho disegnato sei giunti a rotazione libera, che si muovono a 360 gradi; senza cavi, con connettori elettrici nascosti al loro interno, impiegando la tecnologia delle cerniere dei laptop computer che disegno da 25 anni. Potenza e raffreddamento Il vero problema dei LED ad alta potenza è il loro riscaldamento. Anche se il calore prodotto è molto inferiore a quello di una lampadina a incandescenza, tuttavia i LED riscaldano. Con la differenza che mentre la lampadina a incandescenza funziona tranquillamente ad alte temperature, invece, nel caso dei LED, il calore li distrugge in breve tempo. Infatti tutte le lampade che vediamo oggi sul mercato impiegano LED a bassa potenza che illuminano poco, perché è difficile raffreddare i LED ad alta potenza. Il problema è simile a quello di raffreddare il chip di un computer: in genere si usa un ‘heatsink’ costituito da un grosso profilo di alluminio alettato. Questa strada mi era preclusa: la testa sarebbe stata troppo ingombrante e pesante per il mio scopo. Infatti, per creare un sistema a bracci multipli controbilanciati, la testa deve essere leggerissima per non moltiplicare i pesi necessari per la bilanciatura progressiva del sistema. Come risolvere allora questa contraddizione? Ancora l’esempio della tecnologia dei notebook computer mi è venuta in aiuto. Infatti, anche lì ci sono i chip da raffreddare, anche lì ogni grammo di peso è prezioso, anche lì ogni millimetro è conteso. Così, la lampada dispone oggi di un sistema di raffreddamento molto sofisticato: i LED sono montati su una sottile piastra di alluminio che è solidale con un cosiddetto ‘heat pipe’, cioè un sottile tubo di rame con all’interno un liquido di raffreddamento che porta il calore al radiatore. Nonostante anche il radiatore sia piccolissimo, funziona come quello di un’automobile, con una ventola per muovere l'aria attraverso le alette di raffreddamento. Un particolare interessante è il fatto che il liquido va e torna nello stesso tubo senza mescolarsi: all’andata va lungo la parete, al ritorno nel centro. Analogia astronomica La testa a me sembra un po’ come una cometa, perché ha una testa luminosa e una coda. questo l’ho chiamata Halley, in onore dell’astronomo che è diventato famoso per la cometa che porta il suo nome. Questa allusione alla cometa non si limita alla forma della testa ma ritorna nel movimento per come è stato concepito. Rispetto alla Tizio, che ha una struttura simmetrica e due bracci appaiati e si muove un po’ come una gru, questa lampada ha un sistema di bracci singoli asimmetrici. C’è un’asimmetria di base che presiede alla sua costruzione, e permette un movimento completamente libero. Per ottenere un perfetto equilibrio avevo bisogno di un contrappeso laterale che compensasse il peso del braccio finale. Questo contrappeso è una sfera cromata che nel mio quadro astronomico immaginario rappresenta la Terra attorno cui Halley, come una piccola cometa, gira. Tratto da una conversazione con Richard Sapper
L'idea del mix, da cui il nome, deriva anche dalla mescolanza cromatica dei LED, necessaria per arrivare alla purezza di bianco
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Alberto Meda, Paolo Rizzatto, Lampada Mix per Luceplan
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Vico Magistretti 
Lampada Tikal per FontanaArte
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E' evidente l’analogia con la lampada Eclisse disegnata nel 1965 per Artemide. Nell’immagine, il confronto tra l’Eclisse e il modello di studio in polistirolo della versione ‘aggiornata’. Foto di Paolo Imperatori
E' evidente l’analogia con la lampada Eclisse disegnata nel 1965 per Artemide. Nell’immagine, il confronto tra l’Eclisse e il modello di studio in polistirolo della versione ‘aggiornata’. Foto di Paolo Imperatori
Ross Lovegrove , System X per Yamagiwa
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Halley lamp per Lucesco Lighting Inc. Sedici LED ad alta potenza producono un’intensità di luce equivalente a quella emessa da una lampadina alogena di circa 35 Watt di potenza, mentre consumano effettivamente solo una potenza di 20 Watt
Halley lamp per Lucesco Lighting Inc. Sedici LED ad alta potenza producono un’intensità di luce equivalente a quella emessa da una lampadina alogena di circa 35 Watt di potenza, mentre consumano effettivamente solo una potenza di 20 Watt
I LED sono raffreddati da una ventola, uno scambiatore di calore e un canale di raffreddamento (Heat Pipe). Usando la stessa tecnologia dei laptop computer, il calore è trasferito dal microprocessore con i LED verso un radiatore di dimensioni ridotte costituito da sottili lamelle metalliche che a sua volta è raffreddato da un piccolo ventilatore
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La Halley ha vinto il massimo riconoscimento per l’illuminazione al recente Neocon di Chicago
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