Nel mondo degli oggetti

Diagrammi, allievi, ricordi, schizzi, pettegolezzi, ironie, progetti, perplessità, incazzature, silenzi e alcune fulminanti idee da cinque grandi esploratori del mondo degli oggetti. A cura di Maria Cristina Tommasini. Fotografia di Ramak Fazel.

L’idea. Una sera d’inverno, a Milano, a discutere di design.

Gli invitati. I grandi maestri del design italiano.

Il luogo. Un ristorante, meglio una saletta privata, forse è preferibile una casa… La casa del direttore di Domus.

L’organizzazione. Una settimana per individuare partecipanti e spettatori attivi, definire i dettagli tecnici, scegliere il menù…

10 marzo 2004, ore 20,30

La tavola è apparecchiata, i microfoni ben mimetizzati, i cavalletti piazzati nei punti strategici, le lampade accese… Gli invitati arrivano alla spicciolata. Bicchieri di vino, stuzzichini e qualche chiacchiera per superare piccoli imbarazzi e ingannare l’attesa. Ci sono tutti.

Il ritratto. Nello studio professionale del direttore. Stesso pianerottolo. Come sfondo, una parete dipinta per l’occasione di grigio. Due ‘maestri’ disegnano con un gessetto sulla lavagna improvvisata. Gli altri tre fanno gruppo a sé. Ridono, si raccontano aneddoti. “Non mi sono mai divertito tanto come quella volta…” (Quando?).

Flash e sorrisi. L’unico teso, ma non troppo, sembra essere il fotografo. O forse il cuoco. Il risotto è pronto… Una piccola folla di spettatori assiste alla recita dei cinque. Tutti hanno la percezione che il ritratto sarà fantastico.

A tavola. Il direttore distribuisce i posti a tavola. Più del previsto! Qualcuno si rifiuta di cominciare. “Se siamo in 13, io non posso mangiare!”. Si trova un altro commensale e subito il problema cessa di esistere.

Parole. Una forchettata di risotto e il direttore lancia il sasso. “Cosa ne pensate della nuova Domus?”. “Mi piace moltissimo”. “Grafica pornografica”. “È molto coraggiosa!”. “Non capisco il fotoromanzo”. “È fluida, ma i testi sono poco leggibili, il corpo è troppo piccolo…”. La passione cresce, l’argomento infervora tutti. La discussione si allarga a temi più generali.

Design e disegno industriale. L’Italian design è opera degli architetti e di pochi imprenditori appassionati. Tutto è design, niente lo è. I prodotti reali del design italiano sono le scuole e le riviste. Il design non è moda. Certi oggetti di design sono diventati forme vacue. Imitano la moda senza averne la forza. Il design è un mood. Il design non è industriale. La Cina sarà in futuro il luogo del design e dell’alta tecnologia. I luoghi del sapere? Gli studi professionali…

Disegni. I fogli di cartoncino usati come segnaposto e le matite messe a tavola insieme alle posate servono a spiegare meglio i concetti. Si improvvisa un diagramma della qualità. I numeri spiegano perché la qualità non possa essere un fenomeno di massa. D’accordo, ma…

Ricordi. Giunti al filetto, la discussione è avviata e accesa. Un po’ di polemica, qualche ricordo, illuminanti parole, svaporati silenzi. “A me piace incontrare i miei clienti, conoscerli. Prenderne le misure. Come fa un sarto quando deve cucire un abito”. “Frequentavo una latteria. C’era poesia in quelle pareti, in quei semplici tavoli in laminato plastico…”. “Di tutti i miei alunni in ventidue anni d’insegnamento, ne ricordo solo cinque o sei. Uno di questi era un giapponese. Aveva progettato un pianoforte con la tastiera in verticale. Gli ho dato ospitalità nel mio studio per qualche tempo”.

Riflessioni. “Non si deve dare peso al denaro. Se non ci pensi, il denaro si ingelosisce e ti corre dietro”. “Il futuro dell’uomo sarà determinato dalla fisica e dalla biologia”. “Ci sono tante risposte e nessuna domanda”. “In India la gente è poverissima. Per mangiare si usano le mani, il vestito è un rettangolo di tessuto. Le foglie di banano servono da piatto. L’unico oggetto a cui nessuno può rinunciare è la ciotola”.

Convitato di pietra. Al dessert, una ciotola di crema bianca guarnita di un solo lampone, la discussione si catalizza nuovamente su Domus. “Viviamo sotto un continuo bombardamento d’immagini. Che ci invitano ad acquistare merci. È necessario frenare il ritmo delle immagini”. “I lettori si aspettano di vedere i progetti con piante e sezioni”. “Riportare l’arte sullo stesso piano dell’architettura significa continuare la tradizione originaria di Domus”.

Commiato. Dopo che i commensali si sono spontaneamente suddivisi in gruppi più ristretti, alcuni continuano infervorati a discutere, altri se ne vanno. Non ha più senso tenere accesi i registratori e scattare fotografie. È stata una bella serata.

Grazie a tutti.

11 marzo, ore 0,45

Su Domus 869, in edicola da aprile, Branzi Magistretti Mari Mendini Sottsass discutono di design. A cura di Maria Cristina Tommasini.
Ettore Sottsass
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Vico Magistretti
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Enzo Mari
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Alessandro Mendini
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Andrea Branzi
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Il cartoncino segnaposto con gli schizzi di Enzo Mari
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Schizzi di Andrea Branzi sul cartoncino segnaposto
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Hans Ulrich Obrist: un’architettura di parole e concetti
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I disegni di Ettore Sottsass durante la cena
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