La pratica di Costantino Nivola, una figura che per comodità definiamo scultore, ha abbracciato una tale complessità di riferimenti e ispirazioni, e una tale molteplicità di campi, da potersi dire vicina al Gesamtkunstwerk, a quell’opera d’arte totale che tormenta i sogni di molto di quel Novecento di cui Nivola stesso incarna la storia. Scultore, ma anche pittore, anche grafico, art director di Olivetti dal 1937, emigrato poi a New York, divide un lungo e celebre pezzo di strada con Le Corbusier, e con Saul Steinberg, e passa poi ad insegnare alla Graduate School of Design di Harvard: la sua è una figura globale che porta però sempre con sé le radici della Sardegna dove nasce, delle sue tecniche e dei suoi saperi. Nell’ottobre del 1952 Domus raccontava un Nivola intento ad abitare la sua opera, in quella casa-giardino a Long Island pensata assieme a Bernard Rudofsky, tra oggetti che da soli evocano luoghi, vere sculture-pitture-architetture. Il numero è il 274.
Scultura dipinta all’aperto, da Domus 274, ottobre 1952
Abbiamo già presentato a chi ci legge, Costantino Nivola, con alcune sue sculture modellate in negativo sulla sabbia e poi gettate in cemento ed un muro nel paesaggio, un muro dipinto, una palizzata di pittura all’aperto (Domus n. 262). Si è pure detto di una sua mostra alla Tibor de Nagy Gallery di New York (Domus n. 264-65) e infine della sua partecipazione alla edificazione del rudofskiano “giardino da abitare” che abbiamo presentato due numeri fa (Domus n. 272). Là Rudofsky e Nivola hanno costruito e formato a mano, lavorando loro stessi, i muri di una “stanza all’aperto” con pavimento di erba e sabbia di cui Nivola ha dipinto l’esterno, come ha dipinto il muro-quinta che definiva in mezzo al verde la ideale e magica misura di una stanza.
Qui diamo una documentazione più larga dell’opera di Nivola e del suo mondo: e si può dire del suo “mondo” in senso quasi letterale, in quanto, come ben si vede, Nivola e la sua famiglia sono i primi ad abitare in carne ed ossa — per polemica e per divertimento — l’ambiente fantastico che Nivola istituisce quando pone un suo muro, una scultura, un palo, una piattaforma, in mezzo a un paesaggio naturale.
L’oggetto spaesato ha un provato effetto magico, sia la pianta dentro una stanza, sia il muro di una stanza in mezzo al verde, all’aperto. L’effetto si ha per l’inatteso nuovo rapporto fra l’interno e l’esterno: basta porre una contraddizione per capovolgere il valore di tutto; basta porre una parete vera isolata, perchè altre cinque ideali ne vengano alluse, di cui una è il cielo, il cui intervento nella composizione è magico abbastanza. Basta dipingere un occhio sul dorso di una mano, per creare di essa un’animale fantastico.
La fantasia di Nivola, a quanto vediamo da questi suoi pezzi, ha due modi: uno geometrico, astratto, grafico, l’altro plastico, allusivo, e di carattere primitivo, quale appare nei muri - sculture qui riprodotti in bianco e nero, simili a dei totem, vagamente riprendendo forme umane in misure non umane: Nivola del resto ha rifatto alcuni oggetti, come il bel forno cilindrico all’aperto, per il pane, direttamente dall’antica abitudine di certi luoghi nel suo paese, che è la Sardegna. Questi suoi pezzi sono un suggerimento al vero, di quell’impiego combinato di pittura-scultura-architettura verso cui ora ci si orienta.