Addio a Fernando Campana, anima dissacrante del design internazionale

Il grande designer ci lascia a 61 anni. Domus lo ricorda tornando a una conversazione di vent’anni fa con lui e il fratello Humberto a Brasilia, su spontaneità, imperfezione, vitalità e vita di strada.

Prima dei Campana lo potevi chiamare postmoderno, dopo è stato più facile chiamarlo sogno. Prima dei Campana era “informale”, dopo è stato innovazione e poetica dell’imperfetto. Fernando, uno dei due fratelli brasiliani che hanno reso più divertente scrivere di design , è morto lo scorso 16 novembre a 61 anni. Dalla fondazione di Estudio Campana nel 1984, Fernando assieme al fratello Humberto ha portato una cifra vitale e irriverente nel mondo del design, intrecciando grandi rettili di velluto nei 7 metri quadri dell’ibrido Boa, con la stessa ricercatezza con cui le schegge di legno si assemblano randomicamente a formare una seduta iconica come la Favela.
Domus ha passato molto tempo con Fernando e Humberto, come quella volta nel giugno del 2003 — era il numero 860 — in cui i fratelli inauguravano una mostra sul loro lavoro nella capitale brasiliana, mentre il loro Paese si preparava a voltare pagina con la prima presidenza di Lula. 

Non è casuale che proprio una mostra sul lavoro dei fratelli Campana sia uno dei primi eventi culturali che ha messo in scena la città di Brasilia, ancora in festa per l’elezione del nuovo presidente Luiz Inácio Lula da Silva: quasi a celebrare la ritrovata fiducia in se stesso di un intero popolo, l’esposizione intende far conoscere un lavoro che non potrebbe esistere se non fosse intimamente radicato nel contesto brasiliano, nello stesso tempo però guarda lontano e parla un linguaggio universale.

Capitato sul finire degli anni Ottanta, in una cultura pervasa da modelli globali, stili internazionali, prospettive high-tech responsabili di diffondere oggetti industriali neutri, insensibili a singolarità geografiche, climatiche, di costume, il lavoro dei fratelli Campana ha offerto la certezza che qualcosa di diverso era possibile e che le icone della modernità potevano anche non essere l’unico universo di riferimento.

“L’opera di Fernando e Humberto Campana si fonda sull’osservazione” dichiara Nicola Goretti, curatore della mostra sostenuta dal Banco do Brasil. “Il loro design implica un’enorme capacità di contaminare la propria visione narrativa (senza vergogna e orgogliosa di se stessa) con altri racconti, incorporando culture estranee, e allo stesso tempo enfatizzando la propria realtà a tratti seducente, ma anche insopportabile: nello stesso modo si caratterizza la storia brasiliana e la sua condizione di cultura ‘cannibale’”. E di fatto questa mostra, con la sua collezione di oggetti ispirati alla vitalità della realtà quotidiana del Brasile, anche al limite del banale, si presta ad essere guardata come celebrazione della sensibilità di un intero popolo. 

Domus 860, Giugno 2003
Domus 860, Giugno 2003

“Il Brasile mi dà una gioia di vivere molto grande. È un paese giovane, che non ha il peso della storia sulle spalle, dove è molto forte il sentimento di potersi inventare la vita”, afferma Fernando Campana quando gli si chiede da cosa si può riconoscere l’intima appartenenza del loro lavoro a questo paese. “Il Brasile è una fonte di ispirazione preziosa per il nostro lavoro: essere costantemente in contatto con situazioni al limite dell’assurdo, giorno dopo giorno, è uno stimolo formidabile. Adesso, con questo nuovo governo, la speranza nel domani è ancora più forte: un sentimento forse ingenuo, naïf; malgrado si senta il peso di una differenza sociale troppo grande, oggi si pensa al domani con una speranza nuova”. 

L’affiliazione all’universo indigeno, inteso come cultura che vive in intima interdipendenza con il proprio ambiente – e che si definisce nell’opposizione a quella industriale vissuta come antagonista – è quanto mai viva nel lavoro dei Campana: un’affermazione di diversità ma anche la coscienza che il progetto non può che nascere dalla necessità di adattarsi all’ambiente – sia esso umano o tecnologico – e di vivere in simbiosi con esso. 

Domus 860, Giugno 2003
Domus 860, Giugno 2003

Di universale il loro approccio ha la capacità di pescare nel profondo della nostra immaginazione e raccontare di un mondo nascosto nella nostra memoria: il luogo d’origine, quello di un’infanzia mitica dove tutto è ammantato dello strano potere di vivere sempre nuove vite e raccontare nuove storie. Ogni loro oggetto è singolare, ogni loro forma è una ripetizione che attinge continuamente ad uno stesso modello e nel farsi di questo processo acquista i caratteri di una storia sempre diversa. 

Forse, proprio per questa libertà inventiva, i loro progetti hanno bisogno di riferirsi a un universo tecnologico semplice, immediato, spontaneo, accessibile a tutti. I temi dell’intreccio, del groviglio, dell’accumulo, della catasta, che ricorrono nel loro universo formale, sono in realtà l’emblema della costruzione basata su una tecnologia elementare: il problema centrale diventa quello di tenere insieme, con qualsiasi mezzo, siano essi legacci, chiodi, elastici, fili di ferro, nodi. In questo modo i due Campana si prendono la libertà di far crescere le forme per accumulo, seguendo solo la regola di un controllo estetico e percettivo. Attraverso la sequenza dei gesti necessari a far evolvere le forme, il metodo di lavoro è risolto a monte: la forma prende corpo nel suo farsi, nel corso della costruzione, senza aver bisogno di essere del tutto definita a priori.

Domus 860, Giugno 2003
Domus 860, Giugno 2003

In questo approccio spontaneo, quasi più interessato alle relazioni che alle forme, i fratelli Campana hanno saputo evitare ogni forma di compiacimento; prendendo le distanze da ogni retorica del “fatto a mano” come espressione nostalgica di un mondo in via di estinzione, hanno saputo imporre una visione vitale, positiva del progetto come libertà: libertà di reinventare il mondo di forme che ci circonda, lavorando con le proprie mani, lentamente, prendendosi i propri tempi, selezionando, ribaltando, mescolando temi, forme e materiali, senza preclusioni e timori. 

La strada ci ha insegnato a accettare l’imperfezione, l’errore, e ridere della vita, conservando il buon umore.

“Quando abbiamo incominciato, in Brasile, non c’erano le industrie, i modelli venivano da fuori, non c’erano molti mezzi a disposizione”, ricorda Fernando. “All’inizio volevamo fare il design pulito, preciso, poi abbiamo capito che non eravamo tedeschi. Abbiamo fatto nostro il processo della mancanza, prendendolo a prestito da chi vive per la strada, è costretto a reinventarsi la vita senza avere a disposizione molti mezzi. La strada ci ha insegnato a accettare l’imperfezione, l’errore, e ridere della vita, conservando il buon umore. Quando osservo il design occidentale, riconosco che c’è sempre una logica, una filosofia, una profondità… noi applichiamo un processo inverso. Incominciamo prima dalla raccolta dei materiali: sono i materiali a spiegarci cosa loro vogliono essere”. 

La visione del mondo immaginato dai Campana era affidata già proprio a una delle prime mostre che contribuì a fare conoscere il loro lavoro, nel 1989. I 40 oggetti realizzati per la mostra “Desconfortáveis” (Sconfortevole) erano la trasposizione reale, fisica, concreta, di un manifesto poetico: di fronte al rigore asettico dei funzionalismi sostenere il partito dell’errore e raccontare la poesia contenuta in esso. A quasi quindici anni di distanza, è ancora una mostra a raccontare il seguito del loro lavoro. I progetti inediti che i fratelli Campana hanno realizzato ora, appositamente per la mostra di Brasilia, possono essere considerati la continuazione ideale di quella prima produzione, per introdurre un punto di vista inedito. 

Domus 860, Giugno 2003
Domus 860, Giugno 2003

“Rispetto ai mobili ‘sconfortevoli’, questi nuovi progetti sono un modo per affrontare il tema del comfort e comunicarlo attraverso il nostro linguaggio”, dichiarano. L’imbottito, la dimensione esuberante, voluttuosa della comodità è ottenuta con l’accumulo, la sovrapposizione di oggetti o semilavorati industriali che hanno già risolte dentro di sé le prerogative del tema: peluche, bambole, tessuti di spugna, striscioline di neoprene, sono l’immagine semplice, diretta della comodità e dei connotati legati al concetto intimamente borghese di comfort; un’idea moderna che è servita ad irregimentare bisogni e abitudini. 

L’affermazione sembra essere quella che l’ambiente umano e tecnologico (attraverso la libera combinazione di semilavorati, espressione di un reale processo di industrializzazione) non può che essere l’universo di riferimento imprescindibile per il progetto, e che è possibile offrire un’alternativa alla dimensione astratta, rifinita, perfetta, senza vita degli oggetti che alludono ad un’idea di produzione industriale ancora ammantata di mistificazioni. È proprio il rapporto inedito che hanno saputo instaurare con il mondo della produzione a segnare una svolta nella carriera dei fratelli Campana. 

In questo approccio spontaneo, quasi più interessato alle relazioni che alle forme, i fratelli Campana hanno saputo evitare ogni forma di compiacimento.

Quando Massimo Morozzi, in qualità di art director di Edra, decise di mettere in produzione la sedia Vermelha, quintessenza della lavorazione fatta a mano, artigianale, spontanea (espressione più tipica della costruzione eseguita con lentezza e sapienza manuale, quasi una giaculatoria per scacciare spiriti maligni) questa apertura da parte del mondo della produzione che veniva da Milano, luogo da cui erano irradiati i modelli più copiati, ebbe l’effetto di un segnale di riscatto, di una fiducia nuova da riporre in se stessi. Che un simile universo poetico trovasse posto nel mondo della produzione, fu un segnale di speranza non solo per i fratelli Campana, ma per chi si sentiva ai margini di un mondo percepito come inavvicinabile e insensibile alle diversità. 

Domus 860, Giugno 2003
Domus 860, Giugno 2003

“La produzione della Vermelha, l’attenzione di Marco Romanelli sulle pagine di Domus, sono arrivati in un momento in cui eravamo sul punto di abbandonare tutto; nessuno sembrava credere in noi, e non avevamo più animo di continuare”. La libertà nel rapporto con le logiche dell’industria segna ora anche due nuovi progetti: lo studio di una nuova linea di pannelli OSB per la ditta Masisa (il più grande produttore di pannelli Oriented Strand Board del Sud America) e la produzione della sedia Favela per Edra. 

Nel caso dei pannelli, la sperimentazione fatta direttamente lungo i 45 metri della pressa in linea che incolla e ‘compatta’ le scaglie di legno di cui sono fatti i pannelli, ha richiesto un ampio repertorio di tentativi, per valutare il comportamento delle scaglie di legno nell’inglobare oggetti estranei e il loro risultato estetico. Con Edra, invece, i Campana perseguono l’impegno per trasporre nel mondo della produzione industriale progetti nati da una forma di pensiero che si sostenta col “fare a mano”: la sedia Favela è un omaggio alla natura spontanea della crescita che ha come ispirazione quello delle periferie povere del Brasile.

Ultimi articoli d'archivio

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram