Frank Lloyd Wright e il sistema di costruzione “textile block”

Le splendide ville californiane del grande maestro americano sono note. Molto meno nota è invece la tecnica costruttiva che Wright inventò e mise a punto per realizzarle.

Questo articolo è apparso originariamente su Domus 737, aprile 1992.

“I blocchi di calcestruzzo? La cosa meno cara (e più brutta) del mondo dell’edilizia. Trovano applicazione soprattutto nei cornicioni come surrogato della pietra a vista. Perché non fare qualche esperimento con questo materiale da poco? Accoppiato con l’acciaio inserito tra i giunti e il blocco stesso dava come risultato un sistema costruttivo generale pratico e di larga applicabilità; e allora perché non avrebbe potuto caratterizzare una fase dell'architettura moderna? Sarebbe stato duraturo, nobile, bello. Sarebbe stato economico.

Tutto ciò che occorreva all’idea per rendere fattibile questo progetto era un materiale plastico dove l’acciaio penetrasse in una massa inerte sostenendo i carichi di tensione. Il cemento era la massa inerte e avrebbe sopportato la compressione. Il cemento è un materiale plastico capace di ispirare la fantasia.

Avremmo preso questo reietto dell’industria edilizia – il blocco di calcestruzzo – e l’avremmo tolto alle solette e ai cornicioni, avremmo scoperto in esso un’anima prima ignorata, gli avremmo dato una vita estetica, con una trama come quella degli alberi. Sì, la casa sarebbe stata fatta di ‘blocchi’ come se fosse anch’essa una specie di albero, a suo agio tra altri sul suo terreno nativo”.

Archivio Domus n. 737, aprile 1992

Ecco come Frank Lloyd Wright descrive nella sua autobiografia la casa costruita per Alice Millard a Pasadena, in California (1923). Apprezzava molto il fatto di lavorare nuovamente per Mrs. Millard, in quanto era sempre contento quando un cliente si rivolgeva a lui per una seconda commissione (gli capitò in molti casi nel corso della sua carriera).

“I Millard avevano abitato in una casa che gli avevo costruito quindici anni prima a Highland Park, vicino Chicago. Ero orgoglioso che un mio cliente fosse sopravvissuto alla prima casa e mi chiedesse di costruirgliene una seconda.

Pieno di gratitudine decisi che la signora avrebbe avuto il meglio del mio repertorio. Il che significava, tanto per cominciare, qualcosa che fosse in relazione con il terreno su cui sorgeva. Gradualmente sviluppai lo schema della casa a lastre di cemento testurizzate che mi si andava formando gradualmente in testa da quando l’avevo riportato dal Giappone. La signora non si fece spaventare dall’idea”.

Entusiasta di aderire a un’idea totalmente nuova nel campo dei metodi costruttivi e di sostenere il suo architetto in questa impostazione innovativa dei blocchi di calcestruzzo, Mrs. Millard si mise alla ricerca di un terreno a Pasadena.

Veduta di casa Millard. Archivio Domus n. 737, aprile 1992

“Andammo a vedere una deliziosa piccola gola, con uno specchio d’acqua in fondo. Su entrambi i versanti c’erano terreni in vendita, e la gola non sembrava avere una destinazione particolare. Così invece di acquistare un costoso lotto di terreno su ciascun versante, acquistammo la gola, di cui i proprietari furono lieti di liberarsi. Non immaginavano che qualcuno ci avrebbe costruito sopra, ma noi lo facemmo”.

Il sistema che aveva in mente, e che sarebbe sbocciato per la prima volta in questa casa che chiamò, con un nome italiano, “La Miniatura”, era quello che aveva battezzato “costruzione a blocchi di calcestruzzo intessuto”.

Invece che usare i consueti blocchi di conglomerato, grezzi e di aspetto sgradevole, Wright progettò dei blocchi da gettare in loco in forme differenti, alcune piene, altre forate per ospitare inserimenti di vetro, altre forate con aperture a giorno. I blocchi erano di peso e di dimensioni tali da poter essere agevolmente maneggiati da una sola persona, in grado di sollevarli e sistemarli uno sull’altro, per poi versare nei loro bordi scanalati della malta liquida, legando l’intera parete senza bisogno dei consueti corsi di malta da muratura. Questo metodo costruttivo evitava la necessità di impiegare muratori esperti; le pareti potevano essere costruite da manodopera relativamente non specializzata. 

Archivio Domus n. 737, aprile 1992

Lloyd Wright, il figlio maggiore di Frank Lloyd Wright che esercitava la professione di architetto nella regione di Los Angeles, stava utilizzando i blocchi di calcestruzzo armati con l’acciaio in certi elementi di una casa che stava costruendo in quel periodo. Questo esempio di Lloyd fu sviluppato da Wright nelle tre case che costruì in seguito – quella per John Storer, quella per Samuel Freeman e quella per Charles Ennis – in un sistema a rinforzo continuo.

Sottili barre d’acciaio vennero inserite, corso dopo corso, sia in senso orizzontale che in senso verticale, a mano a mano che la parete si alzava. Poi si colava nelle scanalature della malta liquida, ottenendo un robusto insieme di blocchi e acciaio legati in una struttura globalmente rinforzata. L’intero procedimento dette origine all’espressione “blocchi intessuti”, in riferimento diretto alla sua idea di intessere i blocchi di calcestruzzo in una trama e in un ordito di acciaio di rinforzo.

Avremmo preso questo reietto dell’industria edilizia – il blocco di calcestruzzo – e l’avremmo tolto alle solette e ai cornicioni, avremmo scoperto in esso un’anima prima ignorata.

In un territorio soggetto ai terremoti appariva il sistema di prevenzione più attento. Wright aveva sperimentato con successo questa concezione nell’lmperial Hotel in Giappone. L’albergo era sopravvissuto nel 1923 al terremoto di Kanto soprattutto grazie al principio del rinforzo strutturale in acciaio, che Wright spesso definiva “la capacità di un edificio di andare avanti e indietro” e di ritornare alla posizione normale una volta che la forza avversa fosse cessata.

Dettaglio del muro di Casa Storer. Archivio Domus n. 737, aprile 1992

Queste quattro case, quindi, presentavano il principio costruttivo dei blocchi di calcestruzzo armati come un linguaggio formale e strutturale, all’interno e all’esterno dell’edificio; e Wright lo utilizzò per la prima volta per rispecchiare il carattere di questo particolare territorio. Si opponeva alla tendenza prevalente dello “stile Missione spagnola” in ogni ramificazione, adattamento e variante, che aveva così insidiosamente invaso la California meridionale. Gli pareva assurdo che una cultura del Ventesimo secolo, che godeva di tutti i benefici dell’era della macchina e della tecnologia dell’era della macchina, continuasse a imitare gli stili del Cinquecento. Inoltre, questa superficiale imitazione aveva poco a che fare con un’architettura democratica, o con un’architettura adeguata al territorio su cui sorgeva.

Un commento all’esperienza costruttiva di Frank Lloyd Wright nelle quattro case a blocchi di Los Angeles si trova nei suoi ricordi di trent’anni dopo, a proposito della costruzione della “Miniatura”; “Non avevo licenza edilizia, e allora arrivarono quando eravamo a metà del lavoro e ci fermarono. Dovetti andare a trovare il funzionario dell’ufficio tecnico comunale, lo caricai in macchina, lo portai sul cantiere e gli feci vedere quello che stavamo facendo. “Beh”, disse, “caro Wright, è la cosa migliore che sia mai stata fatta a Los Angeles. È bellissima, è a prova di terremoto, a prova di termiti, a prova d’incendio e poco costosa; lei ha preso dei blocchi di calcestruzzo e ne fa fatto una cosa non solo interessante, ma perfino bella”.

Archivio Domus n. 737, aprile 1992

E io pensai: “Bene, mi pare che ce l’abbiamo fatta, e adesso otterremo la li cenza”. E poi dissi: “D’accordo, allora abbiamo il permesso di costruire la casa?”; “Beh”, rispose, “questa è un’altra faccenda. Non posso darvi una licenza, non c’è nessun presupposto. E se voleste rivolgervi alla commissione edilizia non l’otterreste”. Ribattei: “Perché no? Lei ha detto che è la cosa migliore che sia mai stata fatta nella zona; perché non posso costruirla?”. “Ma non capisce? A Los Angeles vige quello che chiamiamo un equilibrio economico. Ci sono i produttori di mattoni, che vendono mattoni da costruzione; ci sono i produttori di legname, che vendono legname. Quello che lei ha fatto è stato di dare al cemento il diritto di scavalcare tutte queste persone. Perché se non fossero sul mercato, dopo un po’ non si venderebbe più nulla se io le dessi il permesso di andare avanti con questo affare. Non vede qual è la situazione dell’edilizia?”

Il cemento è un materiale plastico capace di ispirare la fantasia.

“Santo cielo”, risposi, “e io che faccio?”. Lui masticò un filo d’erba, lo sputò, si guardò intorno e disse: “Vada avanti a costruire!”. E io costruii – ne costruii quattro – senza obiezioni da parte dell’autorità, da parte del Comune. Tutto fuori legge. Costruii casa Storer in cima a una collina, un piccolo palazzo. Pareva un palazzetto veneziano. Poi costruii casa Freeman, e infine casa Ennis, che segnò la fine del metodo dei blocchi di calcestruzzo. Penso che lo portasse troppo in là. È quello che succede, sapete, quando si procede in una direzione, e si va tanto avanti da uscire dai limiti. E io credo che casa Ennis fosse fuori dei limiti, per una casa a blocchi di calcestruzzo”.

Dettaglio dell’interno di Casa Ennis. Archivio Domus n. 737, aprile 1992

A prescindere dalle osservazioni a posteriori di Wright a proposito di queste costruzioni, compresa la sua osservazione su casa Storer e su casa Ennis, esse rimangono tra i progetti più belli e interessanti della sua opera di architettura residenziale. Visitarle, studiarle, significa restare affascinati dall'indescrivibile sensazione di suggestione e di magia che esse, sommessamente ma indubbiamente, emanano.

Bruce Brooks Pfeiffer è nato nel 1930 a South Natick, Massachusetts, e iniziò a studiare come apprendista sotto Frank Lloyd Wright nel 1949. Negli anni ’50 frequentò una scuola d’arte a Parigi per poi fare ritorno all’ovile di Wright. Divenne direttore degli archivi della Fondazione Wright nel 1959 e in seguito fu vicepresidente e fiduciario del gruppo.

Immagine in apertura: Foto del cantiere della casa Storer. Archivio Domus 737, aprile 1992