Che cos'è una Biennale di architettura?

Nel dicembre del 1996, Domus pubblica la conversazione che si svolse tra Dietmar Steiner e il direttore della VI Biennale di architettura di Venezia Hans Hollein, come riflessione generale sul ruolo delle esposizioni.

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Pubblicato in origine su Domus 788 / dicembre 1996

Che cos'è una Biennale di architettura? Colloqui di Dietmar Steiner con Hans Hollein

Per la prima volta nella storia della Biennale di architettura il suo direttore non era italiano, e questo può essere visto come un segno evidente dell'internazionalizzazione e della rivalutazione di questa manifestazione. Originariamente la VI Biennale di architettura era stata programmata in maniera da svolgersi all'interno delle manifestazioni complessive in occasione dei 100 anni della Biennale nel 1995, poi è stata rinviata a quest 'anno, riprogettata, annullata e infine realizzata nel più breve tempo possibile. Il compito di Hans Hollein, in qualità di direttore, concerneva perciò non soltanto la responsabilità dell'allestimento, ma anche la questione della definizione e della collocazione di questa Biennale nel contesto generale della Biennale di Venezia e delle sue branche e sezioni. Da un lato i singoli settori – arte, cinema e architettura soprattutto – si rendono sempre più autonomi, dall'altro si assomigliano sempre più nelle loro strategie culturali e di politica dei media.

In maniera simile a quanto accade per la Biennale d'arte, esiste anche per la Biennale di architettura l'aspirazione comune a una "esposizione universale dell'architettura", ali 'interno della quale con la rassegna principale sia assegnato un tema legato al futuro e a cui i singoli Paesi si sentano più o meno vincolati per quanto riguarda i contenuti. Inoltre, analogamente a quanto accade per la Biennale del cinema, anche il mondo della cultura architettonica assegna un'ampia serie di riconoscimenti e premi, che dal punto di vista contenutistico cercano di coprire l'intero spettro della produzione architettonica. Da questa ridefinizione della Biennale di architettura emergevano per il mondo culturale della architettura – cultori e mass media – due questioni importanti: in primo luogo il ruolo del 'direttore', che avrebbe dovuto suggerire da subito con chiarezza la direzione in cui si muoverà il mondo dell'architettura nell'immediato futuro, e successivamente indicare il tema da lui scelto. Questi sono i temi della conversazione che Dietmar Steiner, circa un mese dopo l'inaugurazione della Biennale, ha avuto con il direttore Hans Hollein.

In apertura: Padiglione Italia, l'ingresso alla mostra curata da Hans Hollein, <em>Sensori del futuro. L'architetto come sismografo</em>.  Qui sopra: Padiglione francese (commissario Frédéric Migayrou), la facciata realizzata da Claude Parent.
In apertura: Padiglione Italia, l'ingresso alla mostra curata da Hans Hollein, Sensori del futuro. L'architetto come sismografo. Qui sopra: Padiglione francese (commissario Frédéric Migayrou), la facciata realizzata da Claude Parent. Domus 788 / dicembre 1996; vista pagine interne
Dietmar Steiner: Il titolo della VI Biennale di architettura di Venezia è "Sensing the Future - The Architect as Seismograph". Prima ancora di occuparmi di questo tema sono rimasto colpito, nell'ambito di questa manifestazione, da un elemento grafico che compariva continuamente: la mano dell'architetto. È un simbolo basato sul contrasto: tra l'immaginazione artistica individuale da un lato, quasi privata e intima, l'architetto che "disegna", visionariamente 'progetta', e dall'altro lato il fatto tragico che questo, nel processo produttivo dell'architettura contemporanea, non avvenga più. A proposito, di chi è la "mano" sul manifesto?
Hans Hollein: La risposta è sorprendente: casualmente si tratta della mia mano. E nella "mano dell'architetto" non c'era alcuna intenzione esplicita per quanto riguarda i contenuti. Era soltanto l'idea di mostrare, una volta tanto, non il ritratto, il volto del progettista, ma di pregare ognuno di essi di mandare delle foto delle loro mani. Alcuni poi hanno visto questo invito come un vero e proprio progetto. Con questo una semplice richiesta si è trasformata in un progetto con dei contenuti. In realtà molti degli architetti interpellati per un particolare poco importante hanno osservato che attraverso questa immagine inviavano già un messaggio che riguardava sia la propria visione individuale sia l'architettura in generale.
Padiglione nordico (commissario Marja-Riitta Norri), <em>Domus</em> 788 / dicembre 1996; vista pagine interne
Padiglione nordico (commissario Marja-Riitta Norri), Domus 788 / dicembre 1996; vista pagine interne
Dietmar Steiner: Una questione successiva, che naturalmente è stata molto dibattuta, è quella della selezione degli invitati alla mostra principale. È un dato di fatto politico-culturale che non si discuta più sul valore dell'opera in sé, ma solamente su chi è presente, rappresentato, esposto, pubblicato, e chi non lo è.
Hans Hollein: È nella natura dell'effettuare una selezione di personalità che essa non possa essere accettata facilmente da tutti. C'è sempre, in questi casi, una zona grigia. Noi però abbiamo cercato di ottimizzarla strategicamente. Sembra semplice, ma la divisione in due gruppi in questo caso era essenziale. Se ci fosse stato un solo gruppo, la selezione sarebbe stata ancora più discutibile, e molti progettisti nuovi e finora sconosciuti non sarebbero mai stati presi in considerazione. Ma se si dividono i potenziali partecipanti in due gruppi, uno – la cui composizione è stata discussa all'interno del comitato scientifico – di architetti oggi indiscutibilmente importanti, e uno di "emerging voices", non tutte conosciute, che sono state proposte anche dai commissari dei padiglioni dei singoli Paesi assumendosene il rischio e la speranza, allora si ha la possibilità di un'apertura strategica e democratica verso il futuro dell'architettura. Alle presentazioni ci sono state discussioni con alcuni Paesi, relative al fatto che alcuni architetti non sono stati presi in considerazione nell'esposizione principale perché dovevano essere messi in mostra all'interno delle esposizioni nazionali. Il fatto che in definitiva questo sistema non abbia sempre funzionato è un rischio ulteriore. Tuttavia c'era un atteggiamento di fondo importante. Noi viviamo in un mondo pluralistico per quanto riguarda gli stili di vita, la cultura e di conseguenza anche l'architettura. È completamente privo di senso propagandare una sola linea di tendenza – Hi-tech, decostruttivismo, nuova semplicità, regionalismo e così via.

Dietmar Steiner: E con ciò torniamo al tema "Sensing the Future - The Architect as Seismograph". Una metafora che è stata molto criticata. In questo modo è stata disconosciuta agli architetti nel loro insieme la facoltà di essere competenti riguardo al futuro. Il futuro risiede oggi negli sviluppi del settore tecnologico e delle telecomunicazioni, molto al di fuori cioè dell'architettura; e l'architetto reagisce come un sismografo, come un apparecchio, solo a eventi che hanno luogo da un'altra parte, causati da qualcos'altro.
Hans Hollein: Io continuo a vedere l'architetto, la storia di questo secolo lo conferma, come un generalista, che è in grado di riassumere e assemblare molteplici e differenti linee di tendenza – sociali, tecnologiche, spaziali, figurative – in una forma concreta. In ogni progetto continua a esserci una paternità evidente da parte dell'architetto: il teatro dell'Opera di Sidney di Utzon è in questo senso un esempio – storico – di come attualmente una forma architettonica possa diventare il simbolo di un'intera città. O qualcuno ha in mente un'altra immagine di Sidney? E quando osserviamo le nuove realizzazioni architettoniche – centri commerciali, aeroporti, nuovi centri urbani notiamo che si tratta sempre di singoli progettisti che hanno innalzato dei segni espliciti, ai quali poi si adegua la produzione architettonica di massa. Senza le torri svettanti di Foster e Pei a Hong Kong non ci sarebbe stato certamente, in Asia sudorientale, nessun exploit simile nel campo dei grattacieli. Sono sempre i singoli progettisti che esprimono un segno, che poi è seguito successivamente da investitori e speculatori immobiliari. Anche questo fa parte del potere di sismografo degli architetti: sentire che ci sono nuove esigenze sociali ed economiche che potrebbero trasformarsi in un segno, in un oggetto.
Per la prima volta nella storia della Biennale di architettura il suo direttore non era italiano, e questo può essere visto come un segno evidente dell'internazionalizzazione e della rivalutazione di questa manifestazione
Padiglione giapponese (commissario Arata Isozaki con Miki Okabe e Chiharu Takemoto), <em>Domus</em> 788 / dicembre 1996; vista pagine interne
Padiglione giapponese (commissario Arata Isozaki con Miki Okabe e Chiharu Takemoto), Domus 788 / dicembre 1996; vista pagine interne
Dietmar Steiner: In questa maniera lei sottolinea la soggettività artistica dell'architetto. È una visione tipica del XIX secolo che l'architetto sia in grado non soltanto di soddisfare dei programmi economico-sociali, ma addirittura di trascenderli. Tuttavia appare evidente che essi restano ampiamente all'interno dei rituali del dibattito architettonico, secondo cui l'architetto deve soddisfare delle esigenze pratiche. Nuovi campi, come il turismo di massa, la questione dell'architettura dell'intrattenimento sono affrontati senza entusiasmo, come nel caso degli Stati Uniti che hanno presentato per la prima volta un committente come la Disney. Contemporaneamente in questa Biennale vedo il tentativo di scrivere una nuova toria dell'architettura della seconda metà del secolo che sta terminando, come è avvenuto con la presentazione dei 'Radicals'.
Hans Hollein: Effettivamente con la rassegna storica dei 'Radicals' degli anni '60 e '70 volevamo fare riferimento a un periodo di sviluppo, quando architetti di diverse parti del mondo formulavano nuove idee tutti insieme come se si trattasse di un 'movimento' - idee che oggi sono divenute realtà. E devo confessare che oggi non riesco a vedere tendenze paragonabili a quelle. AI contrario, vedo all'interno del movimento quasi collettivo di questi anni un'estrema frammentazione in posizioni individuali. Su questo, così penso, si dovrebbe riflettere quando si guarda questa retrospettiva.

Dietmar Steiner: Oggi, di fronte all'evoluzione delle telecomunicazioni, parliamo della condizione di "villaggio globale". Tuttavia l'esposizione rivela un'egemonia dell'emisfero settentrionale, del triangolo Europa-Nord America-Giappone, che non a caso coincide con il potere economico e mediale sull' intero pianeta.
Hans Hollein: in questa Biennale di architettura ho cercato di superare questi confini. Solo inizialmente, e lei ha ragione, questa scelta è stata, come sempre, un problema. Si tratta di andare oltre la semplice questione di dove, nel mondo di oggi, la professione di architetto venga esercitata di più. Si tratta di un impegno civilizzatore a studiare le altre culture, i loro messaggi e le loro tradizioni.

Dietmar Steiner: Lei è stato il primo direttore non italiano della Biennale di architettura di Venezia. Come si può riassumere questa esperienza? La Biennale di architettura è anche una "manifestazione italiana". E da parte di molti visitatori è stata criticata proprio la fastosa rassegna italiana. Come si può pensare, a partire da questa constatazione, il futuro della Biennale di architettura?
Hans Hollein: Il direttore della Biennale di architettura è sempre stato contemporaneamente anche commissario della sezione italiana. Non ho voluto accettare questo incarico, in quanto straniero, e l'ho perciò delegato. Il contributo italiano, con la partecipazione degli sponsor, è piuttosto degenerato dal punto di vista materiale, ma in maniera comprensibile dato che si tratta di una presentazione nazionale. Per quanto riguarda l'intero allestimento non va dimenticato che soltanto nell'aprile di quest'anno si è presa la decisione definitiva di organizzare la Biennale. In febbraio era stata annullata per mancanza di risorse, per essere poi realizzata, con lo stesso budget, in neppure sei mesi. Il successo è stato impressionante. La risonanza sui media e il numero di visitatori sono attualmente superiori a quelli della Biennale d'arte. L'architettura è una tematica essenzialmente contemporanea; il mio intento era di far esistere la Biennale di architettura con pari diritti a fianco delle altre Biennali veneziane, e questa aspirazione potrebbe valere per le prossime Biennali di architettura.

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